L' del rabbino Dilaga la violenza degli ultrà
sabato 14 giugno 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV L'INTIFADA dei religiosi e anche dei poveri di spirito che
accolgono la moda oscena della violenza (una delle croci del mondo
occidentale) è diventata così importante e così popolare nel
panorama politico israeliano che alla Knesset (il Parlamento) è già
pronta una legge: deve garantire un risarcimento pubblico come ai
tempi della vera Intifada, per chi ne venga colpito. L'ha presentata
il parlamentare Ophir Pines con una semplice motivazione: il sasso di
un religioso non fa meno male, o meno danno, di una pietra
palestinese. Anche uno dei leader più popolari a sinistra, Yossi
Sarid, ha rivolto un appello ufficiale al ministro degli Interni
Avigdor Kahalani perché metta fine con misure particolari alla
violenza religiosa durante le feste. Ora, una pietra è sempre una
pietra, giusto: ma gli haredim, i religiosi vestiti di nero e i loro
epigoni, hanno una fantasia sviluppata e perversa. Per esempio,
adorano tirare ai poliziotti israeliani e ai laici che passano con le
macchine nei loro quartieri pannolini e assorbenti sporchi, fanno un
grande uso di sacchi di spazzatura di ogni genere come arma da
lancio, sono molto allenati nello sputo anche a distanza. Di questo
in particolare sono state vittime le donne di un gruppo di ebrei
riformati che due giorni or sono, a Gerusalemme, hanno tentato di
pregare mescolate con gli uomini e con il manto di preghiera leggendo
la Bibbia proprio vicino al Muro del Pianto. L'occasione era la festa
di Shavuot, quella che celebra l'ascesa di Mosè sul Monte Sinai e la
rivelazione della Legge. È una festa molto commovente, perché nella
tradizione israeliana, specie nei kibbutz, è divenuta anche una
sorta di festa laica del raccolto, una celebrazione dei fiori e della
frutta di stagione. Questa poetica non ha interessato per niente gli
haredim che vedendo le donne leggere la porzione di Torah del giorno,
si sono buttati addosso al gruppo non ortodosso con sputi, spintoni,
botte, e hanno gridato loro ripetutamente: . Ora, chi può
ripagare una persona civile, e per di più un ebreo, di una simile
accusa, per di più lanciata dappresso al Muro del Pianto, il luogo
cui da duemila anni gli ebrei pensano quando dicono
a Gerusalemme, il simbolo stesso dell'unità ebraica nel corso dei
secoli? Potrà il governo stabilire una ricompensa anche per un
oltraggio di questo genere? Certamente un problema simile non si pose
durante l'Intifada. Né capitavano eventi, come quello occorso alla
cronista (che pure ha preso molte pietre) durante la festa di
Shavuot: non si può dire che quei dieci giovanotti mezzi nudi
situati all'angolo del moshav (un villaggio agricolo comunitario)
dov'ero diretta portassero i segni esteriori dei religiosi, la kippa
o i riccioli laterali, o l'abbigliamento scuro prescritto agli
ultraortodossi. Ma avevano invece tutti quanti i segni di quella
provenienza irachena, yemenita o marocchina che segna un'appartenenza
sociale in cui la tradizione è forte, e tuttora offesa dalla
modernità , dalla preminenza ashkenazita, dall'Europa o dall'America,
dalle donne bionde al volante durante le feste religiose o chissà da
quale altro oltraggio ancestrale. Fatto sta che erano grandi e
grossi, appostati dietro la curva, muniti di secchi di un fango
particolarmente denso e scuro, e dopo averne inondato la mia macchina
in corsa per ben due volte oscurando la visibilità , insozzando,
gridavano e saltavano di gioia. E anche quando è arrivata la polizia
hanno seguitato a gridare e a far mostra di una spavalda innocenza,
di una vocazione alla vendetta contro qualcosa di molto grande e
potente, che li aveva fatti sentire oppressi per cinquant'anni. Ben
Gurion aveva torto quando pensava di assorbire illuministicamente la
povertà , l'ignoranza che l'accompagna, e anche, con l'oppressione,
il fanatismo religioso. Gli haredim che pattugliano freneticamente il
Muro del Pianto e le loro strade durante le feste e il sabato in
realtà non solleticano soltanto lo spirito revanscista dei credenti,
ma quello di tutti coloro che si sentono qui emarginati, umiliati
dalla storia di una società opulenta, troppo europea per loro,
organizzata secondo valori a cui i loro genitori e loro stessi si
sentono estranei. Un tempo li chiamavano ciarcia chim, ovvero quelli
che parlando con un accento non russo né polacco, dicevano più o
meno: . Poi non s'è detto più : è diventato
politicamente non corretto. Ma loro se ne ricordano bene, e Ygal Amir
era uno di loro. Fiamma Nirenstein
