L’ ATTENTATO DI IERI UN LABORATORIO IN CUI L’ ISLAM PIU’ ESTREMO SPERI MENTALE FUTURE STRATEGIE In lotta per la leadership del terrore
martedì 18 aprile 2006 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
Quello di ieri è stato il primo grande attacco terrorista suicida che ha
travolto decine di persone innocenti dall'avvento al potere di Hamas;
un'azione politica molto precisa, una specie di provetta in cui possiamo
vedere, in sospensione, tutti gli elementi dei rapporti interni dei
palestinesi, delle intenzioni di Hamas e della temperatura dello scontro fra
palestinesi e Israele.
I rapporti interni: sia la jihad islamica che le Brigate di Al Aqsa hanno
rivendicato l'attentato. Sembra acclarato che Sami Hammada, il giovane
terrorista suicida, appartenesse alla prima organizzazione, gruppo
integralista islamico che ha compiuto gli ultimi sette attentati importanti,
che dipende economicamente e strategicamente dall'Iran, che ha la sua sede
estera a Damasco insieme ad Hamas dove gode del supporto strategico della
Siria e di cui vari membri per meglio comprovare la loro fedeltà alla
matrice iraniana sono passati dall’ appartenenza sunnita a quella sciita. Ma
la rivendicazione comune è simbolica ancor prima che fattuale, e inoltre
ormai da tempo tutti i gruppi lavorano insieme. Quindi può considerarsi
attentibile anche la rivendicazione delle Brigate (mano armata del Fatah,
mentre Abu Mazen tiene il fronte moderato ed ha condannato l'attentato) che
già da tempo conducono una battaglia per i molti cuori estremisti mantenendo
aperto quel fronte cui anche Arafat affidava un compito di galvanizzazione e
di cooptazione: la lotta armata. Hamas con la priorità della lotta armata ha
vinto le elezioni su un'onda entusiastica; la Jihad volentieri firma un
attacco come quello di ieri per condividere la leadership dell'ispirazione
religiosa integralista islamica; le Brigate di Fatah cercano di
riconquistare il loro elettorato, che ormai vede il Fatah come una banda di
politicanti. Al contempo, tuttavia, Abu Mazen si qualifica per una
leadership che combatta il terrorismo e riprenda la road map: è una
richiesta a Israele e al mondo intero di confidare su una sponda moderata
disposta a parlare.
Invece Hamas approva l'attacco, e ne loda i fini e le modalità , lo dichiara
naturale e lodevole. Non è una sfida, o una follia del nuovo governo. E' una
scelta strategica: Hamas resta alla leadership del fronte della violenza,
gli fornisce una conclamata copertura politica. Siamo al di là della luce
verde logistica: è piuttosto una forte e decisa indicazione di compattezza,
una forma di controllo, un segnale che i compiti sono suddivisi, e bene.
Hamas non porta avanti in proprio attacchi terroristici per motivi tattici,
ma coloro che li mettono in atto rispondono alla sua linea dichiarata, sono
parte della sua storia e della sua strategia. La fase attuale è fatta di
piccoli movimenti mentre si compie una preparazione più ampia. Due giorni or
sono i rappresentanti del nuovo governo palestinese hanno partecipato a una
conferenza sulla Palestina a Teheran promossa da Ahmadinejad: in pratica,
una riunione sulla cancellazione di Israele (uno scopo ripetuto dai
partecipanti iraniani e palestinesi). Là Hamas ha ricevuto 50 milioni di
dollari di aiuto dal regime degli ajatollah. La dichiarazione di ieri
lumeggia il significato politico dell'offerta e dell'accettazione di aiuto:
non è aiuto caritativo, è alleanza le cui condizioni erano peraltro già
scritte nella carta di Hamas. La nuova alleanza che è religiosa ed ha una
visione del Medio Oriente intangibile, dettata dal Cielo e che quindi non
può contemplare nessuna pace con Israele, si avvia a fare di Israele un
terreno sperimentale, il campo di gioco della parte più estremista del mondo
islamico, uno spazio rovente, un campo di battaglia in cui la strategia
jihadista, che solo in parte ha avuto fino ad oggi a che fare con la lotta
palestinese, diventi invece la bandiera. Israele diventa, con Hamas al
governo e l'unificazione fra la sua strategia di lotta totale e quella
internazionale (anche Bashar Assad ha annunciato, dopo Ahmadinejad, il suo
aiuto) la zona di scontro che tiene alta l'eccitazione nel mondo
integralista promettendo, tramite l'uso di attentati, una guerra che diventa
un faro sempre più brillante, che non contempla moderazione o trattativa ma,
al contrario, un continuo fuoco di artificio che svegli e rallegri
l'integralismo. La prospettiva che si apre con questo attentato è dunque
quella di una nuova Intifada dai caratteri anche internazionali.
Israele dovrà cercare, per parlare con i palestinesi, di attaccarsi alla
debole mano che gli porge Abu Mazen, e chiedere a Usa e Europa di non
parlare con Hamas, ma di scavalcarla nel porgere aiuti. E certo, si
difenderà , arrestando i membri della Jihad Islamica, delle Brigate e anche
di Hamas: la riunione di Gabinetto di stamane affronta il problema.
Importante ricordare che nei documenti che poche ore prima dell'attentato
avevano presentato la Jihad e le Brigate, si minacciava di rapire ebrei
della diaspora, oltre a israeliani per ottenere la liberazione dei
prigionieri. Il terrorista che si è fatto saltare per aria ha detto a sua
volta che agiva per lo stesso scopo. La campagna iniziata è larga,
complessa, internazionalmente supportata. Per Israele si apre una fase
difficile.