L’ ATTACCO DAL NORD L’ ESERCITO LOTTA CONTRO IL TEMPO PER POTER SRADIC ARE GLI HEZBOLLAH, CERCANDO DI COLPIRE I LEADER E LE ROCCHEFORTI DELL’ ORGANIZ ZAZIONE Haifa, la vita sotto tiro dei razzi di Nasrallah Riprende il bomba rdamento della Galilea
mercoledì 19 luglio 2006 La Stampa 0 commenti
inviata ad HAIFA
Serve tempo: l’ esercito seguita a chiedere ancora qualche settimana perché
l’ operazione raggiunga il fine di spostare gli Hezbollah dal confine. Gli
obiettivi militari si moltiplicano, sono i bunker di Nasrallah e dei suoi, i
depositi d’ armi nascosti nei boschi e nelle città , i camion carichi di armi
che l’ Iran ieri ha mandato agli Hezbollah attraverso la Siria. Solo un terzo
delle forze di Nasrallah, però , sembra sia stato distrutto. E Nasrallah
spara da tutte le parti, più lontano possibile, così da costringere il mondo
a intrevenire in tempo per salvarlo. E il tempo della gente è breve, specie
quello in cui i bambini soffrono e i vecchi si sentono male nei bunker; si
perdono i propri beni, e il proprio equilibrio, mentre i missili
distruggono.
Ma a Haifa, ieri, quando il sole sorgeva, un’ illusione aleggiava sulla
costa, a Zfat, in tutta la Galilea. Per alcune ore, niente missili. La gente
si lecca le ferite. Mette la testa fuori dopo una nottata passata
nell’ incubo delle sirene; qualcuno si avventura verso i « macolet» , i piccoli
supermarket dove si compra di tutto. Via via che le ore passano, fino circa
all’ una, è come se il golfo montuoso sul mare blu risorgesse. Le auto
ricominciano a circolare, c’ è chi cerca di raggiungere i luoghi di lavoro,
alle fermate degli autobus due o tre passeggeri, studenti o pensionati,
aspettano. La bella città di 300mila abitanti è depressa, le si arruffano le
piume. E’ stato terribile seppelire gli otto operai e tecnici della
ferrovia, uccisi l’ altro giorno da un missile. O vedere questa casa non
lontana dal mare, in un quartiere modesto, centrata in pieno: il pavimento
di cemento del secondo piano è ripiegato sul primo come una lingua
penzoloni, dentro le stanze sventrate si vede un tavolo con tutte le
seggiole, il tappeto pende nel vuoto, e con un tocco da Almodovar un mazzo
di rosse rosse appare sull’ angolo.
Anche le case intorno sono colpite dalle biglie di fabbricazione siriana
inventate per ammazzare più civili possibile. Ci dirigiamo verso l’ hangar
dove due giorni or sono un Fajr carico delle solite biglie ha ucciso otto
persone e ne ha ferito una trentina. L’ hangar delle ferrovie, quasi sulla
riva del mare, accanto a impianti piene di materiali petrolchimici,
infiammibili, esplosivi.
Bum, arriva un gran botto, un suono molto vicino di terra ferita, profondo,
rauco, grosso, che sa di morte. E’ a pochi metri; subito dopo, non prima,
parte la sirena. In mancanza di meglio, dicono le istruzioni, bisogna
addossarsi a un muro, e l’ unico a portata di mano è quello di un deposito di
benzina. Meglio rimontare in macchina e buttarsi dietro alla polizia e alle
ambulanze; la radio nel frattempo dice che non è caduto nessun missile sulla
città ; capiamo che è una maniera per depistare Nasrallah, di non fargli
sapere che cosa ha colpito. Ma dove è caduto in realtà il missile?
Stupefacente e anche orribile: esattamente nello stesso punto, lo stesso
hangar, la stessa ferrovia. E’ come se gli Hezbollah ti guardassero:
evidentemente hanno aggiustato bene il tiro sull’ obiettivo proficuo di due
giorni prima. « Via di qui» , gridano i pochi che erano andati a lavorare, e
che per fortuna sono tutti salvi, « adesso gli Hezbollah ne tirano un altro» .
Arriva un minuto dopo il sindaco Yonah Yahav, tutto rosso, scompigliato,la
sua gente è di nuovo nei rifugi, la città va in rovina. Perché , sindaco, il
missile è di nuovo caduto qui? « E me lo chiede?» , il sindaco indica gli
operatori della tv che arrivano di corsa: « Perché voi, disgraziati
giornalisti, ve ne fregate, mostrate il luogo della caduta, e gli Hezbollah
mirano» . La verità è che un Paese come Israele non fermerà mai i giornalisti
ma la prima katiusha degli Hezbollah è stata lanciata alle otto e cinque di
giovedì scorso, mentre viaggiavamo verso il nord, in tempo perché subito,
all’ apertura, i giornali radio e i tg del mattino dessero la notizia e
indicassero il luogo. Non c’ è niente da fare. « Mandali via» , dice il sindaco
a Nir Meriesh, il capo della polizia appena saltato giù dall’ auto. Nir è
sollevato: « Non si può , è proibito dalla legge. Allontanatevi un po’ perché
è pericoloso» .
Non ci sono morti e feriti, neppure dopo altri due missili caduti subito
dopo. La gente è brava, paziente, segue gli ordini. Ma qualche ora dopo, sul
Nord è piovuta la fine del mondo, a Kiriat Shmone, Zfat, di nuovo Haifa,
ovunque. Decine di missili sono piovuti su tutte le città e i villaggi; a
Naharia dopo un ennesimo allarme un uomo esce dal rifugio numero 302.
Passeggia nel giardino, un missile lo colpisce in pieno, l’ infermiere della
Stella di David Rossa che ne raccoglie i pezzi piange: « Ne ho viste tante,
ma così ... che sfortuna, a un metro dalla salvezza» . Tempo, questo chiede
l’ esercito. Il tempo di Israele è come quello di ogni Paese democratico,
nervoso, sottoposto alle rapide variazioni dell’ opinione pubblica. Ma
stavolta, dice Moris Cahan di Naharia, « siamo pronti a soffrire pur di farla
finita una volta per tutti con gli Hezbollah assettati del nostro sangue» . E
tuttavia, la ministra degli Esteri Tzipi Livni parla già di trattative.