L'anno è nuovo, ma l'Isis e l'Iran rimangono gli stessi
giovedì 1 gennaio 2015 Generico 0 commenti
Shalom, gennaio 2015Dobbiamo ammettere con dispiacere che se una sola foto dovesse mostrare l’immagine più importante, più sofferta e significativa di quest’anno, essa sarebbe quella della decapitazione del giornalista americano James Foley. Il camicione color arancio, il suo viso contratto, il mostro incappucciato poi risultato essere un disk jockey di Londra che ha aderito all’Isis e che con accento britannico spiega che la testa di Foley è necessaria all’acquisizione del sommo fra tutti gli scopi del genere umano, il Califfato Islamico, e che la colpa della morte (e che morte) di Foley è tutta colpa nostra perché tormentiamo e perseguitiamo i depositari dell’unica verità per cui valga la pena di vivere e vincere. Non sono le immagini di un fatto di cronaca ma il punto di svolta del terrorismo islamico, il segnale che ciò che abbiamo di fronte è una battaglia senza quartiere contro un pericolo molto più serio che nel passato, peggiore di quello già terribile inflittoci da Al Qaeda, comparabile a quello che ci propone l’Iran sulla strada della bomba atomica. Il terrorismo dell’Isis è molto pericoloso, quanto lo è il rischio nucleare Iraniano. Perché l’Isis è peggiore di Al Qaeda?
Ci sono parecchie e significative motivazioni. Innanzitutto, l’Isis ha tolto ogni limite alla crudeltà, niente è proibito ai più bassi istinti della natura umana in nome del Califfato Islamico: si può fare un’esibizione di teste tagliate, si può ergere in cima a una picca la testa di un bambino, ci si può giocare a calcio, si possono mettere in fila perversi gruppi di condannati a morte per le più varie ragioni, dal fatto che siano sciiti al fatto che siano yazidi, oppure che siano semplicemente abitanti di un villaggio che si vuole conquistare e si può tagliare loro le teste una dopo l’altra in serie, vantandosi poi sui social network di averlo fatto con una spada arrugginita perché il condannato soffrisse di più il fatto di essere un infedele. Si possono mettere in fila i prigionieri innocenti davanti a un fiume e ucciderli col colpo in testa mentre con un calcio li si butta nell’acqua. Si possono rapire, uccidere, torturare, stuprare, vendere al mercato le donne di un villaggio nemico, e incaricare le proprie donne di diventare le kapò e le tenutarie dei bordelli in cui le schiave vengono utilizzate.
Si può anche uccidere senza pietà i propri stessi compagni solo che si lamentino dopo essersi resi conto che il loro viaggio in Siria o in Iraq per unirsi all’armata dei mostri non è esattamente come se lo immaginavano. Anche i pentiti sono vittime di stragi immediate. In secondo luogo, l’Isis è diverso perché oltre alla fortissima scelta ideologico-religiosa, ha un piano di guerra molto preciso. Nato in Iraq sulle rovine di Saddam Hussein, impossessatosi dei suoi uomini e delle sue armi e poi avendo conquistato quelle che gli americani avevano conferito all’esercito iracheno, ha scelto innanzitutto di distruggere il confine con la Siria, è infiltrato ormai in Egitto, in Libia, in Libano... con varie alleanze come quella con una parte di Jabat al Nusra muove verso la Giordania e Israele, insomma disegna non solo sulla carta geografica ma nella realtà un nuovo spazio territoriale in suo potere, destinato ad allargarsi. Il suo esercito è in grado di combattere con armi avanzate e pesanti, mezzi corazzati, auto blindate, radar, kalashnikov. In terzo luogo, sanno come trovare soldi, molti soldi, tramite i pozzi di petrolio occupati, le banche rapinate, i contributi dei sostenitori, i ricatti per i rapiti. I loro stipendi sono abbastanza alti rispetto alla zona, il loro esercito, molto bene organizzato, non va mai all’attacco con meno di 500 uomini, ed è in parte mercenario e in parte volontario, e qui viene la quarta differenza: Isis può contare su volontari da tutto il mondo, i suoi uomini sono spesso giovani di Parigi, Londra, Roma, Boston, Ottawa, Sidney, figli di immigrati che si sentono esclusi, fanatici alla ricerca di una causa, convertiti all’Islam imbambolati dal lavaggio del cervello nelle moschee, nelle madrasse, nei caffè dotati di narghilé, e sui social networks, e anche ragazze che vedono un assassino travestito da eroe e partono per l’avventura della loro vita, magari per sposarsi. Ogni idiota, ogni persona fragile di mente, isolata, in una situazione sociale incerta, può diventare un assassino dell’Isis.
E poi tornano da noi e compiono attentati nelle nostre strade, fra le nostre mura e questo aspetto diventerà sempre più importante, come si vede dall’intensificarsi degli attacchi al grido di Allah hu Akbar a Parigi o a Sidney. E qui viene un altro elemento che differenzia questo terrorismo dagli altri. Nel passato, gli attacchi erano, per così dire, molto più complessi: si trattava in genere di un piano, il sequestro di un aereo, di una nave, di una scolaresca, si pensava l’attacco per un evento specifico, un personaggio determinato. Adesso, il social network pieno di filmetti che definirei pornografici seguita a ripetere, fra una bandiera nera e l’altra, di attaccare il nemico dovunque ti trovi con qualsiasi arma. E così se hai un’automobile, un coltello, una bottiglia di varechina sei invitato a usarli per la gloria dello Stato islamico. Questo naturalmente rende molto larga la platea dei cosiddetti “lupi solitari” che non sono identificabili per un piano che possa essere rivelato, scoperto, individuato dalla polizia o dai servizi segreti. Un ulteriore problema, gradissimo, è che noi non vogliamo ammettere ciò che vediamo, che abbiamo paura di essere accusati di islamofobia se solo qualcuno decide di prendere in considerazione il fatto che tutti gli attentatori si dichiarano in guerra per la conquista del mondo al califfato. I politici si affrettano a dichiararli degli squilibrati, dei mentecatti isolati, e quindi non cercano e non agiscono nel modo giusto.
Senza contare, che fino ad oggi le leggi contro il loro rientro nel Paese di cui possiedono un passaporto da poco usato per andare a combattere in Iraq o in Siria sono molto lasche, e prima di accusare qualcuno di terrorismo da noi ci vogliono prove che non hanno niente a che fare col garantismo, sempre sacrosanto, ma solo col politically correct, sempre sbagliato. Dell’Iran abbiamo parlato molto volte: qui mi limiterò a dire che niente può essere più sbagliato della scelta di Obama di affidare a un eventuale Iran pacificato un compito di stabilizzazione del Medio Oriente. L'Iran è il patron di Assad, degli hezbollah, di Hamas, del nuovo Yemen conquistato dai suoi, è stata la forza che con la persecuzione dei sunniti in Iraq ha di fatto spinto avanti la formazione dell’Isis. E’ un Paese che ha appena lapidato una ragazza, che era stata stuprata, per adulterio, che impicca gli omosessuali, che perseguita i dissidenti e che persegue una politica genocida nei confronti di Israele. Niente, proprio niente potrà trasformare la sua politica imperialista in una forza di stabilizzazione. Dobbiamo cavarcela da soli, con questi e con quelli, il califfato o lo stato islamico degli ayatollah hanno programmi di conquista opposti e simili. Buon 2015.