L’ AMBIZIONE FRUSTRATA DEL SUCCESSORE DI NETANYAHU Il premier e la p elle dell’ orso Il peso di tre scadenze difficili da rispettare
mercoledì 12 aprile 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL massimo di ansia malcelata, una sensazione di pericolo imminente,
la
depressione che prende quando ce la metti tutta e non ce la fai lo
stesso, e
anche una vaga fede nei miracoli. Se fossimo in un thrilling,
sentiremmo sul
sottofondo una risata proveniente dal deserto mentre vediamo Ehud
Barak
entrare con un sorriso fisso sulle labbra nell’ ufficio di Bill
Clinton. Le
cose non vanno bene: Barak da otto mesi è primo ministro dello Stato
d’ Israele e nonostante la sua micidiale determinazione a entrare nei
libri
di storia come il premier che donò a Israele nel 2000 la pace
onnicomprensiva, arriva invece a Washington con tre problemi, uno più
pesante dell’ altro. E li porta a Clinton che a sua volta vede così
allontanarsi il Nobel per la Pace a coronamento di una carriera.
I guai di Barak si chiamano Libano, Siria, palestinesi. Non è certo
una
novità , tuttavia oggi le cose hanno preso un andamento più severo che
nel
passato, anche perché Barak stesso si è inventato il gioco di una
serie di
scadenze autoimposte, fra cui l’ accordo-cornice onnicomprensivo con i
palestinesi per il mese prossimo, la conclusione delle trattative a
settembre, a luglio il ritiro dal Libano, la pace con la Siria per
l’ anno
prossimo... Per ora, invece, di quest’ ultima tappa non si parla
proprio più ,
a meno che Clinton non abbia in tasca qualche sorpresa.
I palestinesi. Barak viene a dire a Clinton che è pronto a
riconoscere e
persino a sostenere lo Stato che Arafat proclamerà a settembre. Vuole
cedere
il 60% della West Bank, trattabile, più Gaza. Ma quello che è più
importante, promette la continuità territoriale tra le città
palestinesi.
Promette anche le zone arabe popolate intorno a Gerusalemme, ma sulla
capitale c’ è ancora tanto da discutere. Comincia a trattare
volenterosamente
il rientro di una parte dei profughi. Vuole tuttavia tenersi una zona
della
West Bank dove sono concentrati gli insediamenti dei coloni, in modo
da
evitare sgomberi e un forte dissenso interno. Arafat però , al
momento,
seguita a chiedere, senza compromessi, l’ interao West Bank e
Gerusalemme per
capitale. Tuttavia, chi gli è vicino sa che non è lontanissimo dalle
proposte di Barak. In generale, ad Arafat non dispiace che la
questione
palestinese torni a far parlare di sé in termini infiammati, che
agiti di
nuovo tutto il mondo arabo, mentre ci si affaccia ai negoziati
definitivi. E
questo, a Barak certamente crea grandi problemi.
Il Libano. Barak chiede a Clinton di aiutarlo il più possibile nello
sgombero dal Libano meridionale che verrà concluso in tre giorni nel
luglio
prossimo. E’ una legge già votata dalla Camera, e non ci sono
discussioni.
Ma con un supremo paradosso, di fronte a questo gesto di buona
volontà degli
israeliani, i libanesi hanno detto che se gli israeliani se ne vanno,
per
loro non cambia nulla, anzi, che forse è meglio che restino sinché
non si
ritireranno in un accordo onnicomprensivo con la Siria. Questo perché
la
Siria - e veniamo all’ ultimo problema - che domina il Libano, usa gli
attacchi degli Hezbollah come una carta per trattare anche il ritiro
d’ Israele dal Golan, e vuole che Barak non le tolga le carte di mano
anzitempo. Inoltre i siriani sanno che una volta che se ne saranno
andati
gli israeliani, il mondo comincerà a chiedersi insistentemente cosa
ci
facciano i siriani, con il loro grande esercito e il loro apparato,
su tutto
il territorio libanesi.
Infine, Assad con la sua richiesta di un pezzo di spiaggia del lago
di
Tiberiade, ha buttato all’ aria in modo drastico una trattativa che
gli
consegnava gratis e per intero le bellissime alture del Golan
(l’ unica zona
ad appartenergli dal tempo in cui fu stabilito il confine
internazionale del
1923; la parte del lago che Assad richiede la conquistò in guerra nel
‘ 48).
E’ con questa realtà , e i sorrisi contano poco, che Barak e Clinton
si sono
confrontati ieri.