L’ ALBERGO SUL MARE DEVASTATO DALL’ ATTENTATO ISLAMICO Un rifugio af ricano per i turisti in fuga dagli orrori della guerra Il « Paradise» accoglie quasi esclusivamente una clientela braica
venerdì 29 novembre 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
L'Hotel Paradise di Mombasa è (ovvero, era prima dell'attentato) un
miraggio
di palme, sabbia bianca, mare blu, il tetto della grande hall che ora
non
esiste più coperta di paglia grigia a ciuffi sopra i pali di legno,
le mura
porose e chiare inseguite da sedili su cui i viaggiatori si buttano a
riposare, in attesa che venga loro assegnata una camera, quando
arrivano la
mattina presto da Israele. Fuori, un vasto prato verde su cui il
vento
marino sbatte le altissime palme. Il rito si ripete ogni otto giorni:
un
gruppo arriva, fugge dal terrorismo, dal conflitto
israelo-palestinese, 100
turisti e più si riversano all'alba nella hall dopo qualche decina di
chilometri di viaggio in pullman dall'aeroporto; poco prima, il
gruppo
precedente parte, torna alla prigione del conflitto dopo un po'
d'aria
aperta, calda, africana.
Non importa se anche in Africa ormai la politica è fatta di sangue e
di
terrore: per gli israeliani è come un film, come un romanzo di Karen
Blixen.
Un albergo quasi solo per israeliani, di proprietà israeliana, che
arrivano
con la loro tipica rumorosa voglia di divertirsi, di vivere, di
dimenticare,
che protestano come italiani, cantano in coro, lasciano far danno ai
bambini; famiglie intere, parecchi viaggi regalo dopo il bar mitzva,
la
maggiorità religiosa. La mattina nella hall è il momento topico del
viaggio:
un obiettivo ideale per chi ha voluto colpire più ebrei possibile in
un
colpo solo, forse un'indicazione pervenuta dall'interno dell'albergo.
Tutti
sanno in città che quello è l'albergo degli israeliani. Come tutti
sanno che
nel piccolo, mal custodito aeroporto di Mombasa, un altro gruppo di
israeliani parte: quello appunto che sull'aereo Arkia appena
decollato è
preso di mira con i missili terroristi.
Si aspetta almeno un'ora, tutti ammassati, proprio come i turisti
feriti ed
uccisi ieri dall'auto bomba, prima di ricevere la chiave. Ma poi le
camere
sono tutte affacciate su terrazze che guardano le palme su cui
saltano le
scimmie, e a cui camerieri neri si presentano a ore impensate per
fare i
letti o portare una bottiglia d'acqua a caro prezzo. La cronista,
prima
dell'inizio dell'Intifada ha condiviso la settimana di vacanza
all'Hotel
Paradise che un numero notevole di israeliani sceglie perché si fugge
lontano, perché costa poco, perché durante un safari non si pensa
altro che
alle zebre e ai leoni, e perché è lontano dagli scoppi quasi
quotidiani
degli attentati. C'è chi a volte ha protestato perché la qualità del
servizio è bassa, perché la prima colazione non è regale, perché
uscire a
piedi è pericoloso, data la criminalità locale; c'è chi si è sentito
infastidito dal tentativo di convincere i clienti raccolti in Israele
a
comprare case di vacanze in multiproprietà .
Ma in genere, per tutti alla fine è incantevole partire la mattina
per un
safari, o semplicemente girovagare sulla spiaggia di Kikambala dove,
proprio
davanti all'albergo, si vendono sculture di legno. Ed è difficile
sovrapporre al ricordo della vacanza l'immagine frammentata e rossa
di
sangue che si incontra così spesso in Israele. « Eravamo venute in
vacanza -
ha detto alla radio una ragazza, Linoy - eravamo arrivate da poco,
parlavamo
di com'era bello là e di come ci sentivamo pronte a una settimana di
divertimento, e proprio mentre siamo uscite per andare alla nostra
camera e
il cameriere ci aveva preso il bagaglio, c'è stata l'esplosione. Ci
siamo
messe a correre mentre ci rincorrevano le urla» .
L'edificio non è di cemento: ci si può immaginare l'esplosione fare a
pezzi
le fragili strutture, come un gioco distrutto, lo spostamento d'aria
portare
via la paglia e il legno, il fuoco divampare in mezzo ai turisti
feriti o
uccisi con i camerieri dell'albergo. Ci si può anche immaginare, come
in un
flash back, prima del mattino il viaggio in pullman del gruppo
precedente,
40 chilometri prima di imbarcarsi sul volo Arkia 582 (stavolta si
tratta di
271 viaggiatori). I terroristi con i missili da spalla, come gli
Hezbollah;
spareranno fra poco verso l'aereo. Intanto sulla jeep vicino
all'albergo si
stanno preparando i terroristi suicidi: distruggeranno l'ultimo
paradiso
degli Israeliani.
Era tanta la voglia di uscire dai confini di Israele, completamente
circondato da Paesi o nemici, o poco affidabili dal punto di vista
della
sicurezza (sono davvero pochi gli israeliani che viaggiano nel Sinai
egiziano, e tantomeno al Cairo, o in Giordania dove l'incitamento è
violento) che gli israeliani si sono interrogano ben poco
sull'integralismo
islamico crescente nell'est africano. Adesso quella porta di
spensieratezza
si è chiusa su quindici morti e decine di feriti.