JHIAD E DESTRA ISRAELIANA HANNO UN SOGNO COMUNE: VEDERE FALLIRE GLI SGOMBERI DEI SETTLER La « solitudine» di Sharon
giovedì 14 luglio 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
FRA le lacrime dei familiari delle vittime, indizi e ancora indizi che la
prospettiva dello sgombero dei settler dalla Striscia di Gaza incontrerà una
somma di difficoltà mediorentali generiche, come quella del terrorismo, e
specifiche, come quella dell’ organizzazione antisgombero della destra
israeliana.
Cominciamo dalla prima, e certo la maggiore. La Jihad Islamica, che ha
compiuto martedì l’ attentato di Netanya in cui hanno perduto la vita quattro
cittadini innocenti fra cui due ragazze di sedici anni, è la più
internazionale fra le organizzazioni terroriste palestinesi: molti dicono
che sia una sorta di piccola formazione di Hezbollah, della qual cosa i
militanti sono assai fieri, dato il potere dell’ organizzazione sciita
libanese, che Rumsfeld una volta definì « una squadra di serie A a fronte
della quale Al Qaeda è in serie B» . La Jihad può destare molta tempesta in
Medio Oriente, perché porta, oltre che morte, segnali di oltre confine,
sullo sgombero e sul desiderio di vederlo fallire miseramente. Infatti gli
ordini, come certo anche in questo caso, la Jihad Islamica li riceve
direttamente da Damasco dove risiede la leadership, che a sua volta, come
accade anche per gli Hezbollah, viene foraggiata e regolamentata dall’ Iran.
Hamas che ha radici molto più larghe fra la popolazione di Gaza risponde di
più a logiche interne ed è molto interessata a uno scontro di potere con Abu
Mazen che le porti risultati elettorali. Invece la Jihad islamica, no:
Haaretz ha scritto che « ha sputato in faccia» al Presidente. Essa segue una
linea che intende, tout court, fare apparire la prossima uscita di Israele
da Gaza come una fuga, esattamente la stessa linea che gli Hezbollah
applicarono quando Ehud Barak decise di uscire dal Libano. Quindi, vuole
ricreare un clima di ferro e fuoco per cui il Medio Oriente intero, e tutto
l’ Islam estremo, possano gioire della fuga dell’ esercito e dei coloni, e
rinfocolare l’ idea che col terrorismo si ottengono risultati strategici. La
Jihad Islamica ha anche compiuto l’ attentato di febbraio del pub Stage, a
Tel Aviv, in cui persero la vita 3 persone. Dal settembre 2000 è riuscita a
portare a termine 6 attentati terroristi suicidi contro il numero
complessivo di 143. Nell’ agosto dell’ anno scorso ha fatto saltare per aria,
unendo le sue forze a quelle di Hamas, due autobus a Beersheba, uccidendo 16
passeggeri innocenti. Il finanziamento medio che riceve la Jihad per un
attentatore è , secondo fonti israeliane, di 15.000 dollari a terrorista: per
lo Stage ne ha ricevuti 30.000. Martedì , poco prima dell’ esplosione di
Netanya, ha anche cercato di mettere a ferro e fuoco un insediamento di
Gaza. Una vera gara con Hamas a qualificarsi come il nemico di Abu Mazen e
dello sgombero.
E’ molto interessante notare che due mandanti dello Stage furono presi in
custodia dall’ Autorità Palestinese: per interposta persona, si rinnovarono
le richieste ad Abu Mazen da parte di Sharon perché desse forza al suo
programma di sgombero dimostrando una certa determinazione a punire i
colpevoli. Abu Mazen li fece rinchiudere in galera, per poi, recentemente,
rimetterli tranquillamente in libertà . E qui viene avanti un altro punto
dolente: a fronte di quest’ ultimo attentato proveniente dalla zona di
Tulkarem recentemente sgomberata (e ieri rioccupata) e riconsegnata ai
palestinesi, si riapre la discussione, molto dolorosa in verità , su che cosa
stia aspettando Abu Mazen a schierarsi decisamente contro il terrorismo. Se
il leader dei palestinesi fosse abbastanza forte o abbastanza volenteroso da
agire preventivamente, disarmandoli, contro le organizzazioni terroristiche,
creerebbe un patrimonio di forza per se stesso a fronte di un nuovo processo
di pace con nuove concessioni territoriali, che per Sharon di fronte alla
destra riottosa. Ma non lo fa, e questo porta a due sospetti rovinosi: il
primo, molto diffuso e consueto, che sia troppo debole per rischiare il
consenso e persino la vita stessa contro le organizzazioni islamiste; il
secondo, che non sia nelle sue corde rinunciare alle posizioni che optano
per la distruzione di Israele, anche se ritiene che il terrorismo sia
« dannoso» come ha detto più volte, alla causa palestinese.
Su questa questione, ed ecco l’ ultimo guaio in vista, si rafforza, specie a
destra, la sensazione che lo sgombero di Sharon sia un’ inutile dono che non
porterà la pace. Dopo l’ attentato i settler hanno certo più amici; ma è
proprio per questo che Sharon, ieri, in anticipo sul previsto, ha bloccato
tutti gli ingressi a Gaza, per evitare cioè che una marea di destra si
riversi dentro la zona principale, la Striscia, da sgomberare, a fianco
degli 8000 coloni.
In risposta i settler che hanno in programma per lunedì una enorme « zaadà » ,
una camminata da tutte le parti di Israele verso Gaza, stanno già da ieri
avviandosi per forzare i posti di blocco. Sharon è di nuovo solo di fronte a
questa marea di problemi che si avventano sulla sua scelta del 15 agosto.