Israele, la tortura nel Codice Dopo un lacerante dibattito: quando è consentita
mercoledì 25 giugno 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Esiste un della tortura? Una
mentalità politically correct suggerirebbe un prolungato,
scandalizzato e certo ragionevole , coerente peraltro con la
principi stabiliti dalla commissione guidata dal giudice Moshe
Landau, magistrato della Corte Suprema, che con un rapporto
pubblicato nel novembre '87 affrontò di petto il problema. Il casus
belli era stato il dirottamento di un'auto da parte di un gruppo di
terroristi palestinesi, l'anno prima: l'autobus era pieno di civili,
e una volta che gli uomini dello Shin Bet, i servizi segreti
dell'Interno, furono riusciti con un'azione di guerriglia a salvare i
passeggeri (morì però una ragazza), due membri del commando
finirono vivi nelle mani della polizia, ma ne uscirono morti. Il
dibattito fu violento, e dura a tutt'oggi. Solo due mesi fa un serial
televisivo popolare ha messo sotto accusa tutti, da Shamir, che era
allora primo ministro, a tutti i capi dei Servizi. E tuttavia,
nonostante la pressione dirompente dell'opinione pubblica che non
poteva ammettere che lo Stato tenesse un comportamento fuori legge,
Landau uscì con un'accorata risoluzione, che dice in sostanza: le
pressioni fisiche devono essere evitate per quanto possibile, le
pressioni devono essere basilarmente psicologiche. Ma, in caso di
fallimento,
essere evitato. Questo quando sia in quel momento conosciuta
l'esistenza di una , una bomba ticchettante (per
esempio su un autobus), o l'interrogatorio serva a trovare le prove
per incriminare qualcuno di gravi attentati terroristici, appunto di
terrorismo militante. La tortura dunque così definita è di fatto
oggi ammessa nella forma dello scuotimento del corpo dell'interrogato
(senza elettricità , o botte, o piaghe, eccetera). Tuttavia, regolata
in questa forma, la tortura ha causato ancora nel 1994 la morte di un
uomo, il terrorista Habed Harisat. Il procuratore generale Dorit
Bennish disse che era il caso appunto di una e decise
di non fare un processo agli uomini dello Shin Bet. In Israele, si
sa, le bombe non ticchettano a caso: ammazzano donne e bambini che
vanno a scuola in autobus. Tuttavia è possibile che il metodo della
diventi una scusa, ed è proprio questo
il problema da controllare senza tregua. La tortura infatti non può
essere né una forma di deiezione umorale, né una vendetta, né una
crisi isterica, né un urlo di rabbia. Tanto meno può essere una
forma di lotta politica, di deterrenza a vasto raggio. E negli anni
più duri dell'Intifada, secondo i rapporti di Amnesty, Israele l'ha
usata anche in questo modo, per terrorizzare e dissuadere
preventivamente. È giusto dunque prevedere per legge l'uso di
pressioni fisiche? Non distrugge questo l'idea stessa di democrazia e
diritti civili? Di certo è tutto il contrario, per esempio, di
quello che fece De Gaulle, e con successo, contro l'Oas: una
repressione omicida, che tuttavia non fu mai teorizzata né
codificata, lasciando così intatti i pilastri della giustizia. Fu
per la Francia una buona scelta? Qui però l'esistenza di un
movimento politico e civile accanitamente determinato ad evitare la
mediorentalizzazione di Israele ha richiesto all'autorità
giudiziaria di pronunciarsi con tutto il suo peso. E l'autorità l'ha
fatto in maniera molto responsabile senza ricercare solo il consenso
delle anime belle. C'è chi dice che allora, però , Israele dovrebbe
ritirare la sua firma, data già nel 1986, alla Convenzione
antitortura. Fiamma Nirenstein
