Fiamma Nirenstein Blog

ISRAELE, IL MITO E LA STORIA GERUSALEMME CELESTE

venerdì 23 luglio 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein MENTRE i soldati romani, in quella sera d’ agosto del 70 d.C. urlavano, ammazzavano, ballavano pestando il pavimento di marmo e di mosaici, incendiavano le colonne coperte d’ oro e d’ argento, razziavano i doni votivi dei re Parti e dei poveri della Galilea, rubavano le monete d’ oro con l’ emblema dei « Maccabi» , Tito scostava impaurito la cortina del Sancta Sanctorum del Beit ha Migdash, il Tempio di Gerusalemme, il monumento più maestoso dell’ antichità appena catturato dalle sue legioni e scopriva che dentro non c’ era altro che la pietra della sommità della collina (su cui oggi sorge la Moschea della Roccia) e il silenzio, il senso di solitudine del Dio degli ebrei senza volto, senza possibile effige. Flavio Giuseppe racconta lo stupore delle gerarchie dei legionari: « Sono pazzi questi ebrei» . Tanto monumento, tanto oro tanto argento e legno di sandalo, questo immenso terrapieno artificiale, tanto sangue pur di non arrendersi per poi proteggere che cosa? Il vuoto, il silenzio. L’ altra sera, Tisha Be Av, il 9 di Av, data ebraica in cui si ricorda la caduta di Gerusalemme, gli ebrei religiosi, digiuni, a migliaia sono sciamati ai piedi del muro del Pianto, grande ed unica vestigia del Secondo Tempio, luogo dell’ anima di duemila anni di diaspora a cui gli ebrei da tutto il mondo guardavano come alla patria anelata. E come ogni anno, il loro pianto è risuonato disperato, identico a quello degli ebrei di quasi duemila anni fa. Hanno letto buttandosi per terra il Libro delle Lamentazioni si sono cosparsi il capo di cenere. E pareva di sognare. Perché questa scena di autentico dolore è così distante dalla realtà storica circostante, in cui Gerusalemme è la capitale dello Stato ebraico, grande, sostanzialmente prosperosa, ornata della bandiera israeliana con sopra la stella di David. La realtà è che il modo in cui gli uomini si raccontano la propria storia, in cui la rivivono, in cui si disegnano a se stessi, è tutto pervaso di ideologie e di sentimenti costitutivi della propria identità molto più che di senso storico. Se gli ebrei non riescono a prendere la distanza dal proprio Grande Tempio è perché la loro ricerca d’ identità vaga ancora sulle orme di una Gerusalemme celeste, più che di una Gerusalemme terrestre. Lo Stato d’ Israele non somiglia a quel tempio meraviglioso di cui narrano con stupore tutti gli storici antichi. La sua storia tormentata non ha nulla di quel silenzio umido, scuro e perfetto di fronte al quale si sentì piccolo Tito, che da lì a poco sarebbe diventato l’ imperatore dei romani. E’ su quella vagheggiata perfezione che ieri sera il popolo degli ebrei religiosi digiunava e piangeva. E ogni popolo ha un suo simulacro interno, di fronte al quale la storia poco conta. Talvolta porta fortuna, come all’ America, uno dei Paesi più mitologici del mondo, che seguita a vedersi come un universo di frontiera; talvolta invece porta alla guerra, come è accaduto ai serbi con le loro mitologie di eroi perseguitati con un grande passato. Noi italiani, in genere ci raccontiamo tenere storie su noi stessi, storie smussate, miti di placidità . Soltanto sotto i miti nazionali che ciascuno si disegna, le realtà capaci di suggerire le mosse buone per il futuro.

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