ISRAELE E IL PROBLEMA DEI PRIGIONIERI PALESTINESI LE SBARRE DELLA P ACE
mercoledì 23 luglio 2003 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
TUTTI ormai pensano, stando alle cronache che in questi giorni
riferiscono
degli alti e bassi della famosa « hudna» , la quasi-tregua nel
conflitto
israelo palestinese, che il rilascio dei prigionieri ne sia una parte
fondamentale, costitutiva. Ma mentre la piazza e gli spokesman di
tutte le
parti palestinesi (Arafat, Abu Abbas, le Brigate, Hamas, la Jihad)
hanno
fatto a gara nel dichiarare il rilascio dei prigionieri addirittura
condizione per la prosecuzione della hudna, in realtà non se ne fa il
minimo
accenno nel testo della road map redatta dal Quartetto, ovvero Usa,
Russia,
Europa, Onu. Semmai l’ unico punto in cui se ne potrebbe intravedere
la
traccia, lo si ha quando il testo richiama « la necessità di
recuperare la
cooperazione fra palestinesi e israeliani nelle operazioni di
sicurezza
secondo il piano Tenet» : il richiamo al vecchio piano fa ricordare
che esso
auspicava « il rilascio di persone arrestate... che non abbiano
rapporto con
attività terroriste» . Ma qui la storia è ben diversa, i prigionieri
sono la
bandiera e addirittura la richiesta base da cui Abu Mazen, più o meno
esplicitamente fa dipendere la sua sopravvivenza politica, bambini
palestinesi si fanno fotografare in catene, folle dimostrano con le
loro
foto per le strade. Essi sono gli eroi dell’ Intifada, moltissimi
implicati
in imprese che hanno a che fare col terrorismo o con le sue strutture
di
supporto.
In realtà , però , i prigionieri palestinesi catturati da Israele sono
molti,
e varie strade per dimostrare buona volontà sono agibili: su 6000
fermati in
operazioni antiterroriste e anticrimine di largo raggio, 400 sono in
cella
da prima dell’ accordo di Oslo, 2000 non hanno « sangue sulle mani» .
Adesso
Sharon - anche se di malavoglia, come nell’ ultimo colloquio con Abu
Mazen -
non esclude il rilascio di membri di Hamas implicati nelle
infrastrutture e
non direttamente nella lotta armata. Ma fermo restando che liberare
dei
prigionieri è nella tradizione di tutte le paci e che è bene che
Sharon
faccia uso della più grande buona volontà , pure la questione non deve
immaginarsi come semplice in un Paese che ha avuto circa 1000 morti
per
terrorismo in nemmeno tre anni: prima di tutto, il fatto che il
rilascio dei
prigionieri sia diventato una condizione sine qua non per la road map
stessa, è una sorpresa infiammatoria, data la presa enorme che ha
sull’ opinione pubblica palestinese, e fuori delle norme prestabilite
internazionalmente. Hamas, Jihad e Brigate di Al Aqsa seguitano a
ripetere
persino che la hudna stessa sarà cancellata se non vengono rilasciati
« tutti» i prigionieri. Come dice il presidente dei rabbini per i
diritti
umani David Forman « Davvero il mondo si aspetta che Israele liberi un
terrorista palestinese che è entrato in una casa e ha ucciso due
bambini nei
loro letti? Oppure, qualcuno immagina che se un armato iracheno
rapisse un
soldato americano, gli americani si direbbero pronti a uno scambio di
prigionieri?» . Certo, se le clausole che prevedono, stavolta sì , nel
testo
della Road Map, una « immediata e incondizionata cessazione della
violenza» e
dell’ incitamento prendessero piede, questo creerebbe una situazione
che
renderebbe moralmente più rassicurante la possibilità dei rilasci.