Israele e i neoterroristi "Vivere senza aver paura dev'essere un diri tto civile"
mercoledì 31 marzo 1999 La Stampa 0 commenti
                
TEL AVIV 
IL professor Irwin Cotler dell'Università McGill di Montreal è un 
giurista cinquantenne, famosissimo per la sua leadership nel campo 
dei diritti civili. Cotler propone una ridefinizione della lotta al 
terrorismo come parte della lotta globale per la promozione e 
la protezione dei diritti e della dignità umana. 
Professor Co tler, che cosa hanno a che fare i diritti umani 
con la lotta al terro rismo? Non è molto di più un problema 
di Agenzie in ternazionali, di intelligen ce, di patti fra Stati? 
"Certamente, anche questo. Tuttavia, se consideriamo il terrorismo 
nella sua essenza, esso è l'aggressione ultimativa ed esistenziale 
alla dignità umana. Un giorno mi sono accorto che la 
considerazione del fenomeno era stata semplicemente messa a testa 
in giù ...". In che senso? 
"Al giorno d'oggi si vede la sicurezza come qualcosa di 
contrapposto alle libertà civili, qualcosa che potrebbe creare 
problemi ai diritti civili dei terroristi. Il terrorista viene 
pensato sotto il profilo dei diritti umani, mentre si guarda allo 
Stato come al principio di legge e d'ordine che può reprimerne le 
libertà civili. È semplicemente sbagliato. Il primo dei diritti 
non è quello del terrorista, ma è quello della gente a non essere 
intimidita, di poter usare mezzi di trasporto come i treni, gli 
autobus, gli aerei, a poter mandare i bambini a scuola senza paura 
e anche di non essere continuamente sottoposti a notizie che 
turbano la psiche e minano la qualità della vita stessa". Prima di 
addentrarci nelle sue soluzioni, vorrei esser sicura che si 
tratta di un problema tanto grave. 
"Il numero degli attentati non è aumentato di molto, ma ogni 
attentato al giorno d'oggi fa un numero sempre più grande di morti 
e di feriti. Si tratta ormai di centinaia di vittime ogni volta. La 
letalità del terrorismo è cresciuta e le dinamiche che lo 
governano ne fanno di gran lunga il fronte più realistico per 
quella che possiamo individuare come una possibile "terza guerra 
mondiale". L'accessibilità delle armi atomiche, chimiche e 
biologiche che sia gli Stati contrapposti alle democrazie 
occidentali (l'Irak, l'Iran, la Siria, il Sudan, la Corea e altri) 
sia gruppi come quelli di Bin Laden o quelli esoterici dei 
"culti" giapponesi o fondamentalisti cristiani preparano e già 
usano contro di noi; la disponibilità alla criminalità 
internazionale delle tecnologie e dei materiali fissili e chimici 
ex sovietici; la vulnerabilità delle società aperte e 
tecnologicamente sofisticate; l'esplosività del fronte etnico e 
religioso: tutti qusti fattori ci rendono tutti quanti possibili 
ostaggi di una minaccia esistenziale". Lei vede realistica la 
famosa ipotesi di una nave che entra nel porto di New York con 
una bomba atomica e si fa saltar per aria? 
"Risulta sempre più chiaro che, per esempio, Saddam sta preparando 
l'atomica. Il superterrorismo attuale beneficia di comunicazioni e 
trasporti globali veloci e moderni, viene istruito in reti 
internazionali, gode di rifugi in Paesi poveri e aggressivi come 
l'Afghanistan, è esperto di armi nuove, conosce a menadito l'uso 
del computer ed è molto più difficile, dunque, da trovare e da 
bloccare di quanto non lo fossero gli antichi gruppi, tipo le 
Brigate Rosse". Professore, ci parli dunque del le sue soluzioni. 
"Innanzitutto va rovesciato il concetto sbagliatissimo che "il tuo 
terrorista è il mio combattente per la liberta"' e che il diritto 
all'autodeterminazionale legittima spesso l'uso della lotta armata. 
Sono tesi invocate dai terroristi per coprire atti criminali che 
colpiscono civili innocenti. Il tuo terrorista è sempre il mio 
terrorista, e se oggi non lo è ancora, lo sarà domani; quindi la 
lotta al terrorismo va vista come componente fondamentale della 
politica estera e dei diritti umani. Deve entrare nell'agenda dei 
NGO, le associazioni non governative, nei programmi dell'Onu. Il 
terrorista, a prescindere dalla sua causa, deve diventare il nemico 
di tutti e deve essere classificato non come un criminale violento, 
ma come qualcuno che ha compiuto un crimine contro l'umanità e in 
quanto tale giudicabile anche dal nuovo Tribunale Internazionale. 
Il terrorista deve essere considerato come un mercante di schiavi, 
o un pirata: hostis humani generis. Dev'essere usato per lui il 
principio di giurisdizione universale, ovvero della responsabilità 
di ogni Stato di usare la sua legge al di là del luogo del crimine 
e della collocazione geografica e delle "ragioni" del terrorista. 
Dunque, estradizione e processo: ovvero gli Stati che prendono il 
terrorista hanno sempre la responsabilità o di processarlo o di 
estradarlo. Naturalmente la certezza del diritto non può essere 
violata per portare il terrorista in giudizio, ma non può nemmeno 
esser violata per non portarcelo, in nome di opportunità politiche 
sbagliate". Tanta severità mette a repen taglio, però , 
la politica di acco glimento di immigrati e di pro fughi. 
"No, se correttamente applicata. Nessuno deve essere mai sospettato 
per il colore della pelle o per la religione. Ma neppure il 
contrario: nessuno deve godere dell'impunità morale per lo stesso 
motivo, come Muhammad Muhammad che gode da dodici anni dello stato 
di rifugiato in Canada nonostante sia stato arrestato in Grecia per 
l'attentato all'El Al. Di casi così ce ne sono a migliaia e 
nessuno si vuole sporcare le mani ad affrontarli. Preferiamo 
lasciar aleggiare sospetti sull'intera immigrazione! Peccato! In 
definitiva, dobbiamo elevare il numero dei Paesi parte della 
Convenzione Internazionale del '96, che finora sono solo undici, 
sino a universalizzare la lotta al terrorismo, e ogni Stato deve 
rivedere le sue strutture legali e infrastrutture per riempire il 
divario tra legge e politica. È una lotta molto difficile da 
vincere, e il primo nemico è la nostra poca voglia di affrontarla, 
e di rompere le nostre stesse barriere culturali nel dirci: "sto 
lottando per un diritto civile fondamentale"". 
Fiamma Nirenstein 
            