ISRAELE DEVE USCIRE DAL CONFLITTO CON CONFINI SICURI, HEZBOLLAH DIMO STRARE CHE NON SI PIEGA Due concezioni diverse della vittoria
domenica 6 agosto 2006 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
Ancora 24 ore e con la prossima riunione del Consiglio di Sicurezza
comincerà a disegnarsi, in un modo o nell’ altro, la conclusione della
guerra. O almeno quello che il mondo intende per conclusione: un cessate il
fuoco su cui stavolta concordano anche gli Stati Uniti (e questa è
l’ acquisizione diplomatica della Francia), che però consentirà a Israele di
difendersi (il punto su cui hanno invece insistito gli Usa).
Il negoziato vero comincerà tuttavia nella seconda fase, quando verrà
definita la Forza multinazionale che, dislocata nel sud del Libano, dovrà
consentire la realizzazione della risoluzione 1559, che prevede la sovranità
piena del governo libanese e lo smantellamento degli armamenti degli
Hezbollah. È cruciale in che fase ciò dovrà avvenire e che cosa sarà , di
fatto, questa Forza. Israele vedrebbe come una sconfitta uscire dalla fascia
in cui combatte ora finché non sopraggiungesse un contingente consistente a
sostituire l’ Unifil, la fallimentare forza di interposizione che ha lasciato
che sotto il suo naso Nasrallah costruisse un esercito di 12 mila missili e
4 mila soldati.
In tale incerto scenario ognuno dei due contendenti già si figura quello che
potrebbe essere l’ esito della guerra o, in parole povere, chi vincerà .
Cominciamo da Israele: l’ operazione di ieri a Zor, compiuta della Saieret
Mathal, l’ unità che ha operato le più difficili operazioni di Tsahal (da
Entebbe alla liberazione degli ostaggi sugli aerei sequestrati, come quello
della Sabena) con la distruzione dei lanciarazzi capaci di sparare i razzi
più grandi e l’ arresto di 5 Hezbollah, è un simbolo della percezione cui
Israele tende per uscire bene da questa guerra. Con una vittoria morale,
cioè , se non fisica, visto che i missili piccoli non verranno mai eliminati
del tutto.
Israele punta sulla sua capacità di comunicare determinazione alle
organizzazioni integraliste islamiche, all’ Iran e alla Siria. Che ognuno,
sembra dire, ci pensi molte volte prima di attaccare la prossima volta. Non
sembra sua intenzione restare a lungo sul terreno - i guai dei 18 anni di
occupazione le sono bastati - ma sa che il Medio Oriente ha regole di
vittoria e sconfitta diverse da quelle di qualsiasi altra zona del mondo. La
guerra del ‘ 73, che di fatto vinse, fu invece aggiudicata a Sadat dal
pubblico arabo tutto. La sconfitta dei palestinesi di fronte a « Scudo di
Difesa» (il calo verticale degli attentati parla da solo) è stata
trasformata in vittoria e quindi guerra da Hamas. La guerra del Libano è
stata considerata una vittoria degli Hezbollah quando Israele se n’ è andata
nel Duemila, e già vigeva l’ idea degli Hezbollah come gruppo vincente quando
nell’ 83 gli americani e i francesi se ne andarono da Beirut sull’ onda dei
loro attentati suicidi.
Quando si sentono vincenti, le forze del terrorismo trovano ricchi alleati e
masse entusiaste: di fatto Israele vede la guerra lanciata da Hezbollah il
12 di luglio come una prova generale del prossimo tentativo (più volte
annunciato) di una sua effettiva distruzione da parte di Iran e Siria nel
peggiore dei casi, e nel migliore della continuazione di uno statu quo
belligerante che terrebbe i cittadini sotto la mira delle katyusha giorno e
notte. Quindi, vuole condurre la campagna di terra ancora qualche giorno per
distruggere più che può i nidi dei piccoli missili, lo stato maggiore degli
Hezbollah e le sue linee di rifornimento di armi. E non vuole andarsene
subito per paura che si riformino.
Israele è però interessata a un cessate il fuoco: la gente del Fronte
interno vive in condizioni difficilissime, subisce continue perdite e la sua
notevole riserva di coraggio viene messa a dura prova. Tuttavia, è difficile
che esca dal Libano se la fascia sud verrà consegnato all’ Unifil, che non
disarmerà certo gli Hezbollah. Altrimenti, il partito di Dio potrebbe
dichiarare vittoria. Infatti per gli Hezbollah vittoria può voler dire una
situazione in cui essi, come sta facendo Nasrallah, non accettano neppure la
volontà del governo libanese, e anzi gli si sovrappongono con un altro
programma: niente cessate il fuoco se Israele non uscirà dal Libano senza
che venga implementata la risoluzione 1559.
Per Nasrallah la vittoria consiste nel potere seguitare a fare ciò che
faceva fino alla prossima puntata, e dire che ha battuto il grande esercito
di Gerusalemme, mentre per Israele è vero il contrario: per vincere, deve
cambiare lo scenario. Nasrallah conta con una sua proclamata « vittoria» di
galvanizzare l’ universo integralista islamico, che parte dallo sciita
Ahmadinejad ma comprende anche tutte le organizzazione sunnite (fra queste
Al Qaeda e Hamas), tutti ormai convinti di potere distruggere Israele. La
pioggia di 200 missili al giorno che Nasrallah riesce a infliggere a
Israele, in linguaggio mediorientale, significano: io sono ancora molto
forte. E Israele si sforza di rispondere con un occhio all’ Onu e senza
rischiare troppi errori come quello di Qana: io lo sono di più . Altrimenti,
e questa è la percezione del pubblico israeliano prima ancora che della
leadership, è il vero inizio della fine.