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Israele celebra Rabin senza la sua pace Vacilla la nuova tregua: due palestinesi uccisi nei Territori

sabato 4 novembre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME OGGI è il quinto anniversario dell'assassinio di Yitzhak Rabin. Nonostante la pallida tregua appena inaugurata, è una commemorazione imbarazzata, tiepida. All'appuntamento manca il convitato principale: la pace promessa dall'accordo di Oslo. Quando la notte di mercoledì Shimon Peres è andato a trovare Arafat a Gaza e l'ira del tradimento patito in questi due mesi lo rendeva pallido e invecchiato, gli ha però detto una frase affettuosa: « Nei prossimi giorni Israele celebrerà il quinto anniversario dell'assassinio di Yitzhak Rabin: come amico di Rabin mi rivolgo a te perché lo si possa fare nella calma» . Più che un appello politico, è un richiamo generazionale, una voce che chiama da lontano. Vuol dire: « Noi settantenni che sappiamo chi era Yitzhak, che cos'era il processo di Pace, che cosa fu l'Accordo di Oslo, cerchiamo di ricordarlo anche ai leader attuali e ai giovani» . Ma Israele saluta il suo eroe da lontano, come attraverso un vetro. Una fidanzata abbandonata che poi ha scoperto anche di essere stata tradita. Piena dei segni della sua avventura, anzi segnata per sempre dall'incontro fatale, ma sola con i suoi ricordi. Il processo di pace non abita più nelle vie di Tel Aviv cariche di orpelli del benessere senza averne la sostanza. I caffè espresso e i sushi bar così ingenuamente fieri di essere l'Israele normale dei tempi nuovi, adesso sono melanconici, i cinquantenni semicalvi ma con la coda di cavallo si preoccupano per i figli diciottenni al fronte. Fin da piccoli hanno insegnato loro a considerarsi a mezzadria con gli arabi in questo fazzoletto di terra, e i coinquilini non desiderano stare sullo stesso pianerottolo. Adesso Gilad, Yoram, Ofer hanno diciott'anni e il fucile in mano in qualche anfratto di Gaza, e conoscono solo le canzoni di Aviv Gefen che è un obiettore di coscienza. A Gerusalemme la notte le strade di pietra bianca echeggiano di canzoni rock provenienti dai pub dotati di neon spavaldi, rossi e blu, se solo si passeggia al Russian Compound: ma a Ghilò , tutta case moderne e giardini arredati con giochi educativi per bambini, si spara. Rabin è un eroe del secolo scorso, come Garibaldi per noi, o come Ben Gurion. Hanno un bel fare i gruppi pacifisti a organizzare, e così hanno fatto ieri sera, manifestazioni di massa in Kikar Rabin, dove Rabin è stato assassinato. E Barak può proclamarsi senza tregua, come anche ha insistito a fare nelle varie occasioni pubbliche della commemorazione, il prosecutore della politica di Oslo, a dire che i suoi due numi tutelari sono Ben Gurion e Rabin. Adesso appaiono parimenti lontani. E quando dice Oslo, ormai quel nome ha una sua assonanza con la parola fine. Chi amava Rabin comincia a dire che Oslo non fu una sua creatura, ma piuttosto un'invenzione di Peres e di Yossi Beilin: la memoria di Rabin comincia ad essere ridisegnata sui suoi caratteri più personali e meno sui suoi rapporti con Arafat, sotto la cui ala i bambini vengono mandati in prima linea e si sono linciati degli uomini: Rabin era un grande primo ministro, come dice la storica Anita Shapira, una famosa accademica di sinistra che dirige il Centro Rabin, che come Lincoln è passato alla storia « come un leader positivo ucciso dall'elemento reazionario della società » . Oppure, suggerisce Doron Rosemblum, un commentatore del campo della pace, Rabin merita tutto il rimpianto come un personaggio che « non insisteva (come Barak ndr) per essere fotografato sullo sfondo di una panoplia di bandiere israeliane; lui stesso era l'incarnazione dello Stato... Non andava in giro con il make up televisivo pronto per l'uso» . Insomma, Rabin ridiviene l'uomo che quando dette la mano ad Arafat nel ‘ 93, ebbe ragione a esprimere col suo linguaggio corporeo tutta la sua ritrosia: la mano tesa in avanti, il busto indietro. Il simbolo del sabra israeliano, duro di fuori e dolce dentro alle generazioni future e anche un vero uomo, un soldato israeliano che fu sempre dedito oltre che al processo di pace anche al bene della sua patria. Eppure questa restaurazione della parte classico-conservatrice del carattere di Rabin difficilmente può funzionare: essa cade su una società che in grande misura ha cambiato l'intero quadro dei suoi riferimenti morali in questi anni. I libri di scuola dei ragazzi hanno in gran parte assorbito le tesi dei nuovi storici per cui Israele è nata da una sorta di peccato originale che la rende costantemente debitrice verso i palestinesi; la memoria dei grandi, come Ben Gurion o Golda Meyer è seppellita sotto una valanga di caustiche ricostruzioni; soprattutto, la figura del combattente è stata screditata attraverso una critica rodente al machismo e al concetto di guerra stesso. La società di Rabin è , lo si voglia o no, quella della destrutturazione dell'idea di un'Israele che si difende a ogni costo o che dice « non osare toccarmi, perché sono forte» . Eppure, Rabin era forte.

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