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Islam e democrazia: un’equazione possibile?

venerdì 1 aprile 2011 Diario di Shalom 0 commenti

Shalom, aprile 2011

Il futuro delle rivoluzioni in Medio oriente sembra passare attraverso la Siria. Se si abbatterà la dittatura di Bashar Assad si spezzerà anche il tentativo di egemonia iraniana.

Adesso che la Siria, dopo l’Egitto, è percorsa da moti rivoluzionari, è sempre più legittimo domandarsi che cosa ne sarà di Israele. In questo periodo, in un grande mare in tempesta, questa piccola nave viaggia a vista, cercando di vedere oltre le onde, cercando di evitare i gorghi. Il grande mare è il Medio Oriente, nella sua parte asiatica e in parte del continente africano. I popoli che si sono sollevati chiedono libertà e giustizia dopo decenni di tirannia selvaggia. Se questi due concetti coincidano con quello di democrazia e di pace con i propri vicini, è difficile dirlo oggi: in generale, si può affermare col grande storico Bernard Lewis che la democrazia è costruzione molto distante filosoficamente e politicamente da quello che può agitarsi nella testa di un giovane arabo mentre chiede legittimamente la libertà. La sua libertà può talora figurarsi simile a quella occidentale, la nostra, appresa nelle letture universitarie in casi rari, molto più speso nei modelli televisivi o dei social network come facebook.

Ma in moltissimi casi seguono un modello a noi del tutto estraneo, sulla scia della promessa che “l’Islam è la risposta” a tutte le loro sofferenze sociali, alle loro delusioni politiche. E allora il loro modello di vita comprende un senso di superiorità su tutto il resto del mondo, su tutte le religioni, la battaglia per stabilire il califfato mondiale, una condizione di profonda disuguaglianza della donna, l’obbedienza alla shariah, la legge codificata dal Corano che impone fra l’altro la lapidazione, il taglio della mano, la morte per apostasia, e il compito di convertire o sottomettere i cristiani ed ebrei, tanto più se vivono nello Stato di Israele, considerato un’effrazione alla Ummah dei credenti, anche territorialmente.

Per la legge islamica, ambedue gli appartenenti a queste religioni devono vivere come dhimmi, ovvero da sottomessi. Dobbiamo dunque legittimamente preoccuparci del momento in cui la vicenda prenderà un contorno più definito. In Egitto per esempio i Fratelli Mussulmani che hanno messo fuori la testa dopo la cessazione delle leggi di Mubarak che ne contenevano l’azione, giudicata ai suoi tempi dannosa per lo Stato, potrebbero diventare una forza predominante, e lo si vede da molti segnali. Per ora l’Egitto dà piccoli segni: si è limitato a non rinnovare il contratto di vendita del gas che scorreva nel gasdotto proveniente dal Sinai proponendo prezzi più elevati, e anche a cancellare dalla carta geografica dove sono segnate le rotte dell’aviazione egiziana, lo Stato d’Israele in toto; segnali negativi, ma non decisivi. Ma domani, poiché in molti e non solo la Fratellanza lo minacciano, potrebbe cancellare il trattato di pace con Israele. Anche in Siria la rivoluzione in corso può avere in gran parte un carattere religioso sunnita. Ma se c’è una situazione in cui, a parere di chi scrive, in ogni caso sarebbe un’utile evenienza se il dittatore in carica venisse deposto dagli scontri in corso, quella è la Siria di Bashar Assad. E’ vero che in questi anni la questione del Golan, la cui cessione la Siria ha sempre posto come premessa fondamentale a qualsiasi trattativa di pace, è stata soltanto oggetto di minacce verbali e non di attacchi bellici sin dalla guerra del ‘67. E’ vero che l’orribile antisemitismo di Bashar Assad (che io ancora ricordo a Kuneitra in piedi accanto a un attonito Giovanni Paolo II costretto ad ascoltarlo mentre dice “Gli ebrei tormentano i Palestinesi come già tormentarono Gesù”) è uno dei più truci del Medio Oriente. Ma potrebbero essere solo parole.

La verità è che sono i fatti ciò che rendono auspicabile che lasci il campo libero a qualsiasi altro regime. Assad ha cercato di costruire centrali nucleari segrete a scopi bellici: quello bombardato da Israele nel settembre del 2007 a Deir al Zour, costruito con i soldi iraniani e con tecnologia nordcoreana, è solo il picco dell’iceberg dell’ambizioni nucleari della Siria di cui i satelliti hanno esposto il tentativo di mettere a punto altri quattro siti. Assad ha una grande quantità di armi chimiche e biologiche, e si sospetta che una parte siano eredità del regime di Saddam Hussein che le avrebbe fatte trasportare, come si disse, “nel cortile di Assad” nei suoi ultimi giorni. I missili che la Siria ha collezionato con l’aiuto iraniano e anche russo e cinese possono raggiungere tutti gli angoli di Israele. E tutta questa potenza bellica non è gestita autonomamente dalla Siria soltanto: la sua pericolosità è proprio dovuta invece alla caratteristica della Siria come odierno snodo di potere iraniano e terroristico. Qualcuno forse si ricorda quel 25 febbraio dell’anno scorso in cui Assad ospitò in un raro simposio il presidente iraniano Ahmadinejad, accolto come un antico re persiano, e con lui il capo degli Hezbollah Nasrallah, eccezionalmente fuori dal suo bunker e il capo di Hamas Khaled Meshaal. La riunione proseguì poco dopo a Teheran dove erano presenti anche svariati capi palestinesi della Jihad islamica e del FPLP.

La tela iraniana di cui la Siria è al centro ha implicato anche una rinnovata primavera di rapporti con Turchia, con cui invece nel passato si era quasi giunti allo scontro bellico. E anche la Turchia è divenuta grande amica dell’Iran. La Siria è il Paese che ha consegnato agli Hezbollah qualcosa come 40mila missili per colpire Israele, che in funzione antioccidentale ha fatto da ponte per il terrorismo esportato in Iraq da vari Paesi del mondo, ha ospitato per decenni Hamas e altre organizzazioni terroristiche a Damasco. Non è un caso che i dimostranti siriani, che ormai lamentano centinaia di morti, abbiano sentito le guardie che cercavano di fermarli con spari e botte che scambiavano battute in Parsi; la gente in piazza ha anche parlato di una evidente presenza di Hezbollah fra le forze della repressione. L’Iran non sarebbe più lo stesso senza lo snodo siriano, e lo dimostra graficamente il fatto che le due navi entrate trionfalmente nel Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez per la prima volta dalla rivoluzione degli Ajatollah e che probabilmente trasportavano armi per gli Hezbollah e Hamas, abbiano attraccato nei porti siriani.

Se la tela di ragno iraniana viene spezzata nel suo nodo mediorientale questo comporterà non solo la fine di uno dei regimi più repressivi, ben armati e antisemiti dell’area, ma anche una sconfitta notevole per l’Iran nel suo tentativo di approfittare della situazione odierna. E questo, rispetto al futuro delle rivoluzioni in Medio Oriente è il vero punto strategico. Si vede quanto l’Iran stia cercando di avvantaggiarsi della confusione e della violenza in corso per accrescere le sue possibilità egemoniche. Ma esse subirebbero un colpo cruciale senza l’appoggio della Siria, e con esse, il suo disegno di distruggere Israele e di costruire il califfato mondiale.

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