Iran, Khatami vince le elezioni: il sollievo degli occidentali Il s orriso dell’ ayatollah buono
domenica 20 febbraio 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
C’ ERA una volta in Iran un ajatollah buono di nome Mohammed Khatami,
e uno
cattivo di nome Ali Khamenei. E quello buono ieri ha vinto le
elezioni, e
anche di larga misura. Noi occidentali la viviamo così . Per quante
analisi
si possano fare del futuro, per quanto si possa sperare che alcune
riforme
democratiche adesso prendano la loro strada oppure paventare che la
struttura conservatrice e clericale del Paese non consentirà agli
uomini di
Khatami di lavorare, è la nostra grande sensazione di sollievo il
primo
elemento certo in cui ci imbattiamo.
Il risultato di Khatami è un’ evento ancora tutto in fieri di cui
tuttavia ci
appropriamo con grande voracità : non riguarda solo la pur grande
distesa
ideologico-demografica dei cittadini iraniani, ma fa baluginare alla
psiche
occidentale una luce verde. Dunque si può entrare; si può
contemplare,
almeno da lontano, la fine dell’ incubo dell’ impenetrabilità di un
pianeta
immenso, il pianeta Islam; la fine della paura di un aggressività
sostanziale, quali che siano i rapporti diplomatici aperti o
semiaperti, o
quale che sia l’ importanza dello scambio commerciale (l’ Italia è al
primo
posto nell’ interscambio Iran-UE) che è inutile in ogni caso gabellare
per
simpatia. Era il desiderio di tutti: gli Stati Uniti da tempo
mandavano
messaggi di riconciliazione a Teheran, un anno e mezzo fa Madeleine
Albright
aveva annunciato che gli USA erano pronti a riprendere « rapporti
normali» .
La risposta è stata praticamente nulla, anzi, gelida, salvo che per
qualche
accenno di Rafsanjani. Anche l’ Europa si è molto esposta nella
sponsorizzazione di una ripresa di relazioni con un mondo che proprio
grazie
alla sua terribile intransigenza religiosa, alla sua ferocia politica
interna, al suo odio antioccidentale e alla sponsorizzazione del
terrorismo
è diventato un paradossale oggetto del desiderio, una cittadella da
espugnare, la cittadella simbolo dell’ intero mondo musulmano, anche
se la
verità storica è diversa e più sfumata. Siamo destinati ad avere
soddisfazione nel desiderio di riconciliazione con l'Islam? La
risposta non
può che essere cauta, anche se oggi un po’ di ottimismo è di
prammatica. La
protesta iraniana è sostanzialmente interna, e anche qui il muro è
difficile
da sfondare. Ogni legge del parlamento viene passata al vaglio di una
commissione che ne giudica la bontà islamica e che può comunque
bocciarla;
ogni cespite di lavoro e di sopravvivenza in un mondo di miseria è
legato a
istituzioni statali o parastatali, dalle Guardie della Rivoluzione,
alla
polizia, all’ esercito, alle fondazioni e alle associazioni di
assistenza,
alla tv, ai giornali.
Il diritto è quello islamico; i motivi di espulsione dal consesso
civile, le
incarcerazioni, le condanne a morte sono legate alla decisione di
gruppi che
non si faranno scardinare tanto facilmente, e certo non per rispetto
alle
regole della democrazia. E tuttavia, il voto è il risultato di una
ormai
incontenibile impazienza socio-culturale che già nel luglio scorso
era
esplosa nelle università dove invano i conservatori avevano
preventivamente
cercato in questi anni di stipare giovani provenienti dalle Guardie
Rivoluzionarie o dai paralamitari, i Basij, o i figli dei mullah.
Proletari
inquadrati e figli della media borghesia ligia, naturalmente
religiosa, non
hanno tuttavia scampato gli effetti della più pericolosa incubatrice
di idee
occidentali, il campus. E persino il fatto che Khatami allora non si
sia
esposto per gli studenti (anche quando sono morti in piazza), non ha
fermato
la fiducia del movimento per quest’ uomo dal sorriso di persona
normale. I
giovani insieme alle donne sono la parte più disgraziata in un Paese
per
l’ 80 per cento a livello di sopravvivenza, perché a loro molto più
che a
ogni altro mancano due tipi, e non uno, di nutrimento essenziale: il
pane di
grano, e quello della libertà .
Ora la libertà - niente da fare - si chiama liberalizzazione
dell’ informazione, apertura di vita sociale cui partecipino le donne,
diritti umani, fine del sostegno al terrorismo, in cui l’ Iran
eccelle. Fine
quindi dell’ odiosa dichiarazione preventiva di repulsa e di
aggressività
verso i valori occidentali, di rifiuto del processo di pace. È qui il
maggiore punto interrogativo: perché se la spinta sociale può portare
lentamente a liberalizzare i rapporti interni e il mercato, può
l’ Iran
permettersi di perdere la sua leadership nella guerra dichiarata a
Israele
prima di tutto con le armi del terrore fisico e verbale, e poi agli
Stati
Uniti con quelle del disprezzo culturale? Può ammainare la bandiera
della
leadership di una vasta parte dell’ Islam, quella dell’ intransigenza?
Khatami
sa che pace e benessere sono collegati, ma sa anche che queste due
parole
generano una figlia, la democrazia, che finora non ha mai avuto per
fratello
l’ Islam. Ma la vittoria dei riformatori è qui a dimostraci che
neppure
l’ intransigenza in quel mondo paga. Siamo a un bivio. Pazienza,
attesa: il
giuoco è di vasto respiro, è bene inspirare profondo e guardare
tranquilli.