INVESTIMENTI MIRATI E NON ELARGIZIONI PER IL TERZO MONDO I Grandi sono d’ accordo: « Salveremo la Terra» Kofi Annan: il documento è dinamic o, ricco di iniziative e controlli
giovedì 5 settembre 2002 La Stampa 0 commenti
                
I fischi che Colin Powell si è preso a Johannesburg sull’ energia e 
sugli 
alimenti geneticamente modificati sono in realtà solo una delle 
conclusioni 
di questo vertice, che ha lasciato ieri la metropoli sudafricana 
avvolta nel 
suo smog. Il segretario di Stato americano ha proseguito il suo 
discorso 
impassibile, dopo 5 interruzioni, e tuttavia vibrante di orgoglio 
mentre 
ripeteva la supremazia americana nell'aiutare i poveri e annunciava 
che il 
presidente Bush proporrà al Congresso altri cinque milioni di dollari 
per 
gli aiuti. 
Molti media, molta Africa e parecchio mondo islamico, molti gruppi 
ambientalisti sono stati, fin dall'inizio del vertice, costanti 
profeti 
della sventura americano-occidentale, ovvero della tesi per cui gli 
Usa sono 
i continuatori di quell'egoismo europeo da cui nacque la 
colonizzazione e la 
conseguente rovina del Terzo Mondo. L'Europa, invece, sarebbe, sempre 
secondo questa visione del vertice, il mondo che aiuta i poveri 
rinunciando 
a parte della sua ricchezza tramite l'adozione delle misure « di tipo 
uno» 
stabilite a Rio de Janeiro, in cui vince la pianificazione e 
l'elargizione 
diretta. Quest'Europa sarebbe, secondo la lettura « fischi a Colin 
Powell» , 
la perdente del summit insieme al Terzo Mondo, e quindi al Pianeta 
intero. 
Gli Usa avrebbero schiacciato il vertice sul profitto dei privati e 
sulla 
partnership del « tipo due» , sempre secondo Rio. 
Ma non è andata così : il documento concordato è dinamico, anche se 
scritto 
con fatica di mediazione, ricco di iniziative, come ha detto Kofi 
Annan, 
denso di finanziamenti e di controlli. La vera conclusione della 
conferenza, 
è un'altra: Rio, Johannesburg, New York, come ha osservato il 
segretario 
dell'Onu, viaggiano sulla linea di un concreto, programmato impegno 
per 
superare la povertà , per ancorare l'impegno non all'elargizione ma 
all'investimento pubblico e privato, a partner affidabili. 
In assoluto, il risultato più importante di Johannesburg è il disco 
verde 
dato al protocollo di Kyoto. Con l'adesione di Cina e Russia i paesi 
favorevoli alla ratifica superano complessivamente la soglia del 55 
per 
cento del totale delle emissioni di gas che provocano l'effetto 
serra, una 
percentuale necessaria per rendere operativo l'accordo firmato nel 
'97. Dal 
confronto su questo tema gli Stati Uniti escono praticamente isolati. 
Per 
George Bush una brutta sconfitta, mitigata solo dal fatto di essere 
riuscito 
- almeno sugli altri documenti approvati - a far pesare la posizione 
americana. 
« C'è un tempo per l'idealismo e uno per l'impegno nella realtà » ha 
detto, 
molto tranquillo, Annan. Sembra che Johannesburg sia la svolta dal 
vecchio 
schema conflittuale terzomondista, dagli aiuti legati ai sensi di 
colpa a 
quelli riversati secondo criteri di quella che tutti chiamano la 
« good 
governance» , ovvero la garanzia che i governi che ricevono il denaro 
lo 
mandino a buon fine. 
« La realtà è che non c'è stato un conflitto con gli Stati Uniti, ma 
un 
complesso intreccio di trattative che ha molto migliorato la 
situazione 
rispetto al documento di preparazione uscito a Bali circa tre mesi 
fa» dice 
il direttore del Ministero dell'Ambiente Corrado Clini, che ha 
seguito 
insieme all'ambasciatore Valerio Astraldi tutta la trattativa sul 
documento 
finale. 
La vera storia del summit non disegna un autentico contrasto, ma 
delle 
discussioni più o meno accesse, già sul terreno dai tempi di Clinton, 
e 
quindi non frutto dell'attuale amministrazione americana. Bush però 
non è 
venuto a Johannesburg, e tutto il mondo protesta. Ma il presidente 
presto 
compirà una visita personale in Africa, e non intende mescolare le 
strategie 
americane - in questo momento particolarmente delicate data l'ombra 
dell'11 
settembre e la prospettiva della guerra contro Saddam - con la 
compatibilità 
dell'ambiente. Gli Usa non lasciano perdere, nè si mettono in una 
posizione 
di guardia chiusa: sono venuti al vertice con la loro posizione 
liberista. 
Il fatto che il Congresso non abbia approvato il vincolo di Kyoto non 
significa che gli Usa non si siano impegnati, o disprezzino il 
problema del 
cambiamento del clima. Come l'Europa, per sua tradizione e cultura, 
preferisce i vincoli, le leggi e gli stati, così gli Usa hanno scelto 
la 
libera iniziativa pur restando nello schema dell'accordo. Così hanno 
fatto 
anche a Johannesburg. 
Del resto, le scelte vantate dall'Europa e più che altro dalla 
Germania nel 
campo del ripulimento delle fonti energetiche, ha motivazioni 
storiche molto 
chiare: mentre l'America cavalca in una grande crescita di strutture 
energetiche svariate e non facili da rinnovare e smantellare, la 
Germania 
perde per strada i pezzi delle vecchie fabbriche tedesche dell'Est, 
riducendo così di molto la sua quota di inquinamento energetico. 
Usa e Europa quindi, partendo da orizzonti distanti, hanno raggiunto 
un 
accordo realistico sull'energia, che impegna a mobilitare le risorse 
compatibili usando denaro pubblico e privato, coinvolgendo società , 
Ong e 
Stati su prospettive molto concrete. « Ora - ha detto Kofi Annan - 
sarà il 
lavoro che sapremo compiere nei prossimi dieci anni a dire se questo 
summit 
è stato un grande successo» . Il vero summit ha visto un colloquiale 
possibilismo di molte Ong, che capiscono che il vecchio 
antioccidentalismo è 
obsoleto, che le organizzazioni non governative dovrebbero giocare un 
ruolo 
di controllo all'interno dei progetti, e non dalla piazza. Ancora, il 
summit 
reale racconta anche e soprattutto di una complicatissima funzione 
dei paesi 
in via di sviluppo. Per esempio, i paesi produttori di petrolio, così 
come 
gli arabi, si guardavano bene dall'affiancare l'Europa nella sua 
battaglia 
per una crescita sorvegliata internazionalmente dell'energia 
rinnovabile. 
A questo immenso carrozzone, in definitiva, non è andata male: questa 
conferenza con quarantamila delegati, i ristoranti e gli alberghi 
superaffollati, l'11 settembre all'angolo era davvero a rischio. Ma 
la forza 
del pericolo che il mondo corre è evidente, e gli Usa non sono più 
pronti a 
farsene dare una colpa che non è loro, ma di tutti. Come di tutti è 
la 
responsabilità di metterci un qualche rimedio, compatibile con le 
divisioni 
che segnano la ricorrenza dell'11 settembre. 
            