INTRIGHI E CONGIURE DIETRO IL NEGOZIATO UFFICIALE La regia segreta araba dietro le scelte di Arafat
lunedì 24 luglio 2000 La Stampa 0 commenti
LE ultime da Camp David danno gli uomini di Clinton intenti ad
invitare a
Washington per un'eventuale cerimonia di pace re Abdullah, Mubarak
d'Egitto,
e gli altri maggiorenti del mondo arabo.Per la settimana prossima si
prevede
un incontro ad Alessandria fra Bashar Assad di Siria e il rais
egiziano.
Oltre Camp David, un lavorio incredibile investe tutti i capi arabi:
nessuno
vuole restare tagliato fuori dalla prossima pace, o dalla prossima
guerra
per Gerusalemme. Quasi di nascosto il presidente egiziano Hosni
Mubarak è
giunto ieri a Riyad: sotto l'immensa tenda di cemento ornata da uno
dei più
grandi tappeti del mondo ha bevuto il caffè in una tazzina d'oro che
gli ha
presentato Abdallah ben Abdel Aziz il principe saudita ereditario. Ma
poi,
ha anche visto il re Fahad. Il 29 giugno, nell'imminenza del summit
di Camp
David, Mubarak aveva tenuto un incontro a quattr'occhi con il novello
re
giordano Abdullah. Poi , una quantità di voli regali e ministeriali
avevano
portato a molti colloqui in galabja bianca alla maniera degli
Emirati,
oppure in giacca e cravatta, come fa Amru Mussa, il ministro degli
esteri
siriano. Un summit generale ha avuto luogo a Damasco a 40 giorni
dalla morte
di Assad,dove oltre a Bashar c'erano Emil Lahoud,il presidente
libanese, il
segretario generale della Lega Araba Esmat Abdel Meguid e
Egitto,Giordania,Yemen,Tunisia,Iran. Ed è uno e uno solo la questione
principe: la possibile pace fra Arafat e Israele, se assecondarla o
ostacolarla al di là delle rituali affermazioni pacifiste, e,di
conseguenza,
che atteggiamento tenere su Gerusalemme. Perché Gerusalemme, sostiene
il
mondo arabo, non è una città su cui possano decidere fra di loro
Barak e
Arafat. Poiché è la terza città santa dell'Islam, si sentono nel
ruolo di
giudice e di controllore per conto di 250 milioni di arabi e un
miliardo di
musulmani. Del resto ,Arafat, in un giuoco delle parti che alla fine
può
rivoltarglisi contro, dopo che Clinton l'aveva letteralmente
supplicato di
essere flessibile quanto Barak sulla Città Santa, nella notte fra
mercoledì
e giovedì scorso, dopo molte affermazioni di principio ha
chiarificato in
modo molto diretto a Clinton di non poter accettare un compromesso su
Gerusalemme senza ricevere l'approvazione dei Paesi arabi ,e
innanzitutto
del suo primo tutore e custode, Mubarak. Clinton sapeva già benissimo
di
stare pranzando con svariati convitati di pietra: e nella stessa
notte ha
telefonato lui stesso almeno a quattro leader arabi pregandoli di
fornire ad
Arafat un appoggio sostanziale per Gerusalemme, che gli consenta di
essere
flessibile e quindi di fare la pace.
Ma la cosa non è così semplice: i Sauditi sono molto compresi nel
loro ruolo
di custodi dei luoghi Santi dell'Islam, ed essendo i padroni di casa
della
Mecca e di Medina hanno bisogno di una assoluta credibilità per
quello che
riguarda le cose sacre. Si può solo sperare che gli americani li
convincano
con la promessa di vantaggi specifici, economici e militari. Per i
giordani
,che fino al 67 regnavano su Gerusalemme Est e la Città Vecchia (che,
è
forse il caso di ricordarlo, è adesso per la prima volta in questione
come
capitale di uno stato palestinese) e che anche dopo rimasero i
custodi delle
Moschee su cui hanno posto il segno della cupola ricoperta d'oro
zecchino
per ordine di re Hussein, un'eventuale sovranità di Arafat segna la
fine del
sogno di mantenere un piede nell'WAQF, l'autorità che sovrintende ai
santuari musulmani. Quanto agli egiziani, la faccenda è anche più
controversa e intricata. In due parole, la sintetizza Yaacov Bar
Siman Tov
capo dell'Istituto Leonard Davis per le relazioni internazionali
dell'Università di Gerusalemme: « Una volta l'Egitto vedeva l'Iraq
come il
suo concorrente; adesso ,soprattuto dopo l'accordo di Oslo, è Israele
che
gli fa concorrenza. Invece di vedere una pace onnicomprensova come
una
benedizione, gli Egiziani la vedono come una minaccia per la loro
egemonia
nell'area» . E aggiunge Ephraim Dubek,ex ambasciatore al Cairo:
« L'Egitto in
realtà non svolge nessuna funzione di mediazione: fingendo di mediare
,invece spesso eccita i palestinesi, dice loro cosa fare, gli spiega
la
psicologia israeliana, gli dice come negoziare..Più di una volta
quando
Arafat voleva accordarsi su l'una o l'altra cosa, hanno tentato
d'impedirlo» . Con l'aria che tira a casa sua ,con le manifestazioni
anti-accordo di Hamas anche adesso che Yassin ha detto di essere
pronto a
una tregua ma che non riconoscerà mai Israele ,mentre l'Iran tiene
riunioni
fra i suoi amici di Gerusalemme Est per preparare un piano di
resistenza
armata a ogni spartizione indesiderata ,e logico che Arafat voglia
l'approvazione dei suoi fratelli, anche di quelli malevoli. Non c'è
che
sperare nell'atteggiamento di Clinton, stavolta un vero carro armato
e nel
moderno fascino della colomba della pace.