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INTERVISTA SHIMON PERES Due anni fa l'assassinio del premier: "Non di mentico che lo chiamarono traditore" "Netanyahu oltraggia Rabin Con lui la pa ce è impossibile"

martedì 4 novembre 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVZIO Il 4 di novembre di due anni fa a Tel Aviv, in quella che oggi si chiama piazza Rabin, in una serata tiepida e densa di una gran folla che festeggiava la pace, Shimon Peres era a pochi passi da Yitzhak Rabin quando il primo ministro cadde per le pallottole di un estremista di destra, Ygal Amir. Da allora tutto è cambiato: sembra passato un secolo. A volte, invece, sembra che da quell'attimo terribile Israele non riesca più a staccarsi. Signor Peres, dopo due anni colpisce il fatto che la sofferenza di quel giorno resti perfettamente immanente, come se le ragioni di quell'assassinio fossero ancora tutte sospese nell'aria: il nazionalismo religioso è aggressivo, la frattura politica si allarga, la pace si allontana... "Non mi sono ancora ripreso dall'assassinio di Yitzhak, ma mi bruciano soprattutto le accuse che gli vennero rivolte: assassino, traditore. A un uomo che ha dato la sua vita per prevenire la distruzione dello Stato d'Israele. Gli hanno sparato perché superò lo schema di una verità unica, quella dell'autodifesa; e dopo cinque guerre che, anche se vinte, non sono servite a niente, capì che bisognava assolutamente prevenire la sesta, certo la più terribile di tutte e tuttavia di nuovo, anche se vinta, anch'essa priva di significato". La scelta di creare un suo "Centro per la Pace" dice che lei non ha più fiducia che la pace possa scaturire dalla politica. Come se la pace non fosse scritta, ora che il suo partito è all'opposizione, nella storia d'Israele. È così ? "Sono, certo, molto disilluso: il cambiamento del sistema elettorale (con l'elezione diretta del primo ministro e la permanenza della proporzionale, ndr) ha ridotto il valore del Parlamento. Ha ridotto quindi il rapporto fra governo e opposizione ad un mare di dichiarazioni eccitate. Io a questo mare preferisco un fiume di azioni". In parole povere: la ripresa odierna dei colloqui di Washington non porta da nessuna parte? "Le possibilità di pace, con questa coalizione e con questo governo, sono molto poche". Ha ragione Arafat a dire che è una perdita di tempo? "Certo è molto meglio parlarsi piuttosto che non farlo. Ma non si può discutere di altre discussioni; si può dialogare solo su cose pratiche, su temi specifici...". Netanyahu spiega però che la sua linea è l'approdo immediato a quello che chiama "final status", ovvero una soluzione definitiva. "In linea di principio non ho nulla contro. Ma per farlo c'è bisogno di un clima, di una strada già aperta al compromesso. Tutto questo oggi manca completamente, e al di là di ogni altra considerazione è giusto che i palestinesi siano irritati perché , contro gli accordi presi, Netanyahu non smette di costruire insediamenti. Oltretutto quando lo fai metti in piedi una situazione difficilmente reversibile; mentre si fa dall'uva il vino, il contrario è impossibile. È così che masochisticamente creiamo le premesse per uno Stato non ebraico ma binazionale; meglio, poniamo le premesse per una tragedia binazionale". La via di Oslo resta la sola anche oggi? "Sono convinto che resti la sola soluzione". Da questo si deduce che oggi Israele non può fare la pace. Bibi e la sua coalizione sono contrari. "Una strada c'è : quella di ricostruire un'unità di forze democratiche tramite un governo di coalizione. È l'unico modo per ricreare la volontà nazionale di pace e placare i conflitti interni. Ripeto: l'unico modo". Quindi lei pensa, immagina, come del resto tutti i leader del mondo dagli americani ad Arafat, che Netanyahu abbia i giorni contati, abbia già un piede fuori della porta, che potrebbe andarsene ad ogni istante. Ma non basta il biasimo internazionale per far dimettere un primo ministro. Bibi ne ha già passate di tutti i colori, ed eccolo sempre là . "Netanyahu ha il sostegno dei partiti della coalizione che hanno paura delle elezioni; ma non ha più o quasi dei sostenitori. E il biasimo che lo circonda per tanti, troppi episodi, ha un effetto cumulativo. La politica è una Alice nel paese delle meraviglie, per cui tutto è possibile". Qual è per lei il guaio più serio di Netanyahu? "I discorsi senza sostanza. Con quelli puoi impressionare ma non convincere". Non le dispiace che il suo Paese sia tornato ad essere considerato un fomentatore di guerre? "Io non ho votato per Netanyahu. Comunque questo Paese, lo ricordo, è diviso esattamente a metà . Io ho perduto le elezioni di pochissimo, e la situazione è tale per cui si può rovesciare in una o due settimane". Con questo veniamo al terrorismo: lei perse le elezioni a causa degli attentati di Hamas. Eppure ritiene oggi che Netanyahu sbagli ad anteporre la lotta al terrorismo alla pace. "Quando ci sono dei moscerini, è molto più sensato prosciugare la palude piuttosto che inseguirli ad uno ad uno. Netanyahu dà ai terroristi il diritto antidemocratico a decidere la sorte della maggioranza". Ma lei che invece voleva prosciugare la palude con una politica di buona volontà anche sul piano economico, è stato lo stesso perseguitato dal furore ideologico e religioso e del terrorismo. "Sì , ma Rabin ed io non abbiamo mai bloccato il processo di pace dopo un attentato. Perché , semplicemente, non c'è nesso, il terrorismo non cesserà mai completamente. Ma se la maggioranza dei palestinesi sente che dal terrorismo le viene un danno, e non un aiuto, gli attentati possono diminuire". Dice Michael Waltzer che un assassinio politico resta pericoloso quando trova una giustificazione ideologica che riflette il senso comune pubblico o privato. Oggi ci sono inchieste che dicono che molti giovani approvano il gesto di Ygal Amir. "Ne sono rimasto choccato anch'io. Ma non è un problema religioso. Il problema consiste nel fatto che la destra religiosa è diventata una destra politica e la destra politica si è sottomessa ai partiti religiosi". Non le sembra che ci sia stato all'inizio dello Stato d'Israele un equivoco sulla legittimità di inglobare certe norme religiose? I religiosi oggi sono così sempre più avidi del potere secolare, e nessuno gli ha spiegato che questo distrugge il senso stesso della democrazia. Gli autobus che di sabato non viaggiano sono solo un minuscolo esempio. Oggi lei approverebbe di nuovo questa legge? "Noi ci figuravamo che lo status quo fosse il modo migliore per disegnare una società in divenire, fatta di tante componenti. Dicevamo: rispettiamo tutti, e poi si vedrà . Oggi che la situazione è più complicata, mi sembra sia bene che al sabato gli autobus seguitino a non viaggiare nei quartieri religiosi; ma ad Haifa, per esempio, lascerei decidere al Comune. Nessuno deve schiacciare gli altri con le sue opinioni". Cosa le manca di più di Rabin? "Due persone quando sono legate come lo eravamo noi, sono molto di più di due persone... E una, quando rimane sola, è meno di una persona". Vuol dire che senza Rabin non si può fare la pace? "Vuol dire che la pace oggi ha bisogno di uno sforzo doppio, ma più passa il tempo più tuttavia sento che l'eredità di Rabin è più forte di ogni governo, la storia più della politica". E se la pace non riesce a vincere? L'area mediorientale è già tutta in subbuglio] "Allora le conseguenze saranno: crescita del terrorismo; boicottaggio; corsa al riarmo; rovina economica. Le armi non convenzionali spunteranno come funghi. L'alternativa alla pace è l'odio". Fiamma Nirenstein

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