INTERVISTA LO STRATEGA DEL NUOVO MEDIO ORIENTE
venerdì 30 giugno 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME SHIMON Peres, Premio Nobel per la Pace, ministro degli
Esteri israeliano, ex capo di Stato, l'uomo che ha sconfitto nell'85
un'inflazione al 445 per cento, che ordinò il ritiro dell'esercito
israeliano dal Libano, che ha avviato con Rabin un rivoluzionario
processo di pace e lo sta portando a termine.
vista il fine, non farsi mai prendere dalla logica del potere è la
sua ricetta. La storia lo ha già incoronato fra i benemeriti della
nostra epoca. Ora il processo da lui avviato passa uno fra i suoi
momenti più difficili. In questo momento lei ha due tavoli
negoziali aperti, uno più importante dell'altro: quello siriano e
quello palestinese. Talvolta sembra che quello siriano rischi di
offuscare quello palestinese. Ma per lei, quale trattativa è il
primo pensiero della mattina?
con i palestinesi. Perché ? Perché qui la situazione è finalmente
quasi conclusa. Siamo vicini al secondo accordo. È fatta. Lei vuol
dire che al primo di luglio, come promesso, saranno fissate sia la
data delle elezioni nei territori occupati sia il ritiro
dell'esercito israeliano? Può darsi che ci sia una settimana o due
di ritardo. Ma non è certo una catastrofe. Grossomodo, i tempi
verranno rispettati... L'importante è definire i contenuti in modo
che in seguito divengano un successo politico. Com'è accaduto a
Gaza. Gaza crea ancora molta angoscia e paura.
depressione storica, si sta sviluppando un umore pieno di speranza.
Sono rimasto molto colpito, proprio in questi giorni, dal paesaggio
di Gaza, così cambiato: più di cento nuovi edifici ne ridisegnano
la linea all'orizzonte. Ci sono caffè pieni di gente, buoni
ristoranti. Prima dell'accordo di Oslo, i corvi che fissavano Gaza a
un pozzo di miseria, una fonte perenne di terrorismo, erano
innumerevoli. La vedevano come un inferno senza speranza. Invece la
speranza è qui, l'ho vista coi miei occhi, anche se ancora serve
molto impegno economico. Gli aiuti economici, è questo è valido
per tutta la storia del Terzo Mondo, non sono mai stati decisivi per
determinare in pieno il futuro politico. Perché lei ne parla così
spesso, perché crede che cambino a fondo il destino palestinese?
tempo politico brevissimo. Eppure c'è stato un salto di speranza e
di forza dell'Autorità palestinese che oggi riesce a controllare
molto meglio il territorio. Del resto, di che cosa fidarsi? Della
storia passata o del futuro? Delle pastoie della tradizione o dello
sviluppo?. Fra poco inizierà il ritiro delle truppe. Che ne sarà
dei settler?
dove sono. Il problema non è la loro dislocazione geografica, ma
piuttosto, in generale, i rapporti fra palestinesi ed ebrei. Con i
nuovi rapporti, si creeranno nuove condizioni di vita.... Lei
sottovaluta l'aggressività esistente.
attengo all'esistente. Da noi vivono ottocentomila arabi israeliani,
in pace. Nel West Bank vivranno 220 mila ebrei contro un milione e
250 mila palestinesi. I rapporti cambieranno. Per sopravvivere
bisogna togliere il deserto dalla terra, il sale dal mare, la
violenza dagli uomini. Il popolo palestinese, se condo lei, è
desideroso di sviluppare una democra zia? Sarebbe una novità
straordinaria nel mondo arabo! E Arafat non è piut tosto un
ostacolo su questa strada?
che fa le scelte ultime. È il leader prescelto dal suo popolo.
Comunque le elezioni diranno la loro. E Arafat vincerà ? Molti di
cono che questo non è positivo per il futuro palestinese.
bisogna mai dimenticare che Arafat è il primo leader palestinese che
ha abbandonato il terrorismo per un dialogo di pace. Quando ci sarà
lo Stato pa lestinese?
confederazione giordano- palestinese. Veramente Arafat parla sempre
e soltanto di uno Stato palestinese!
esisterà uno Stato palestinese, sarà già in piedi la discussione
per creare una confederazione giordano-palestinese. Passiamo al
secondo tavolo: la Siria. Prima ancora dell'attuale incontro di
Washington fra generali lei ha dichiarato che il Golan è
territorio siriano. Non è uno strano modo di giocare, in una
trattativa?
ha ceduto all'Egitto tutto il Sinai in cambio della pace? Non ha mai
sentito dire, Assad, che dopo il 1967 dichiarammo che eravamo pronti
a ritirarci da tutti i territori occupati in cambio della pace? Il
Presidente siriano sa benissimo come stanno le cose. Magari, mi sono
solo sforzato di renderle più evidenti, più chiare. La vostra
opposizione è al l'attacco: dice che il Golan è vitale per
Israele.
stessa, a fare la pace senza arabi. L'Iran è il maggior esporta
tore di terrorismo islamico, il maggiore, oggi, fra i nemici giurati
di Israele. Perché Assad gli ha mandato il suo vice in visita
ufficiale proprio alla vigilia degli incontri?
delle carte piuttosto ostiche al nostro modo di pensare. Tuttavia è
con lui, e proprio con lui, che dobbiamo trattare. Non è prevedibile
quanto sarà lunga la strada. Quanto è grande il pericolo del
fondamentalismo islamico? È immenso. Stiamo passando da una fase in
cui c'erano dei nemici a quella in cui esiste un problema. Ed è un
problema universale, investe tutto il mondo. La minaccia è duplice:
economica e atomica. Se l'Occidente non lo capisse, lo
sottovalutasse, l'errore sarebbe mortale. Come quello che i liberali,
che in genere desiderano guardare la faccia buona delle cose, fecero
al tempo dell'ascesa di Hitler al potere. Come si batte un
terrorista suicida che ha già deciso di morire?
deciso, ma non i suoi genitori; e neppure lui desidera che essi
muoiano. Bisogna tentare tutte le strade, quelle della repressione,
ma anche quelle dell'aiuto sociale a un mondo povero e quindi più
ricattabile. Ed anche quella del rapporto fra le tre religioni che
devono spogliare la loro spiritualità da qualsiasi rivendicazione
territoriale e politica. È importante la visita del nostro ministro
degli Esteri Susanna Agnelli il 4 di luglio?
l'Italia può essere di grande aiuto al processo di pace. Può
aiutarci a realizzare infrastrutture, viadotti, canali. Inoltre ho
avuto recenti contatti con l'Olivetti (De Benedetti è un mio buon
amico) per realizzare un mio grande sogno, la computerizzazione del
Medio Oriente. Con la signora Agnelli ho anche un'amicizia personale:
a Roma, durante una mia visita, mi offrì uno splendido incontro con
artisti italiani che mi donò grande piacere. Perché ha ricevuto
Andreotti? Perché me lo ha chiesto. Nelle democrazie un uomo sotto
processo non è un uomo già condannato. Lo conosco da quando, negli
Anni Cinquanta, da sottosegretario agli Esteri, compì gesti
amichevoli che non posso dimenticare. Non si può accettare un
personaggio perché è al vertice, e più tardi voltargli la
schiena. Fiamma Nirenstein