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INTERVISTA DA A PACIFICATORE I pi ani dello stratega segreto d'Israele

sabato 18 marzo 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Piccolo, compatto, un po' misterioso come si conviene a un personaggio che è stato per tredici anni un alto ufficiale del Mossad, Joseph Alpher è probabilmente l'uomo che ha portato a definizione quello che sarà lo stato definitivo del compromesso territoriale fra israeliani e palestinesi. Dopo molti studi e incontri con figure centrali dell'una e dell'altra parte ha stabilito i possibili confini, cioè , del futuro Stato palestinese. Alpher, immigrato dagli Stati Uniti a 21 anni, ha passato i primi quattro anni nell'Intelligence dell'esercito. Poi è passato al Mossad, e successivamente ha diretto fino a due mesi fa il Centro Jaffee per gli Studi strategici, un istituto di studi mediorientali i cui lavori hanno sempre interagito con le scelte politiche israeliane. In che cosa consiste sostanzialmente la sua idea? dimostrato che, annettendo il 12 per cento dei territori occupati, Israele può tenersi il 70 per cento dei coloni all'interno dei suoi confini definitivi. La mia mappa include Gerusalemme con la sua cintura urbana, ovvero quella che è detta la grande Gerusalemme, la parte degli insediamenti di Malei Adumim, una parte della Samaria, la zona delle grandi città di sviluppo come Ariel e Immanuel, nonché una piccola zona vicina alla linea verde dove si trovano i bacini acquiferi sotterranei vitali per Israele. Tuttavia è previsto dal mio piano che un accordo consenta l'utilizzo dell'acqua ad ambedue le parti. Inoltre Hebron, che resta nella parte palestinese, verrebbe collegata a Gaza attraverso una via a carattere extraterritoriale, potrebbe essere una galleria, un viadotto o quant'altro. Insomma, il massimo della popolazione ebraica resterebbe agli ebrei; la grande maggioranza della terra ai palestinesi. La sua soluzione nasce nel vuoto. Non c'è progetto governativo di assetto finale... costruire. esigenze di assetto definitivo. Faccio due esempi uno opposto all'altro: nella cintura di Gerusalemme le nuove costruzioni dicono chiaramente che il governo non ha intenzione di abbandonare la capitale; invece, la costruzione di strade nelle parti più distanti della Giudea e della Samaria parla di prossimo ritiro dell'esercito. Visto che il governo non si è mai espresso, su che base di consenso politico può contare il suo piano? gradimento da tutte le parti, israeliane e palestinesi, da destra e da sinistra. Oslo contiene una grande contraddizione che deve essere superata: l'esperimento politico, dato che all'interno della futura area dell'autonomia palestinese ci sono 130 mila settler, non può suggerire soluzioni positive per la sicurezza. E per ora si dice che solo la sicurezza dei settler e la separazione dagli arabi sono le strade che portano al futuro assetto definitivo. Ma da dove dovrebbe uscire questa sicurezza? Una cosa è un unico insediamento come per esempio, Net zarim a Gaza: là puoi pensare di usare anche cinque soldati per ogni colono, e di difenderlo così per sempre. Ma certo non puoi far lo stesso con 130 mila settler nel West Bank. Quanto all'altra soluzione che Rabin suggerisce, quella di mettere degli steccati, dove li metti? Lungo la Linea Verde? E poi? Al momento giusto vorrai affermare unilateralmente che quello è il confine? Oppure, peggio, dirai che ti sei sbagliato e vorresti tenertene un altro pezzettino?. Cosa fare del 30 per cento dei coloni, quelli più duri, quelli di Hebron, che il suo piano lascia dentro i confini palestinesi? marchingegno della segretezza israeliana, di piantarla con tutti questi , come vengono chiamati qui quelli che, a una domanda appena un po' delicata, che si trovino nell'esercito o nella cucina di casa, fanno un viso serio serio e subito esortano: il nemico ci ascolta. Ormai lo scrivono anche i quotidiani seri come : tutta la mitologia inattaccabile dei servizi segreti - non solo del Mossad, che opera all'estero, ma anche dello Shabbach, ovvero lo Shin Bet che lavora dentro i confini d'Israele e dei Territori - è ormai poco consona a uno Stato democratico in marcia verso la pace. Non solo: gli agenti segreti, che lo vogliano o no, non possono restare tali a lungo in un Paese di poco più di 4 milioni di abitanti fra i quali migliaia di giornalisti televisivi e della carta stampata, sguinzagliati per ogni dove, in una fame di scoop di stampo americano. Tutto questo si discute dall'inizio del processo di pace: ma il problema si è fatto cocente quando, dopo la nomina, il 20 febbraio scorso, del nuovo capo dello Shabbach, che tutti chiamano K, ovvero secondo l'alfabeto ebraico, qualcuno ha scritto sui muri di Gerusalemme il suo nome a lettere cubitali; poi, su Internet, la rete di informazioni telematiche che ormai una decina di migliaia di israeliani consulta regolarmente, sono apparsi, con il nome e il cognome del destinatario, i migliori auguri per la sua nuova nomina a capo dei servizi segreti. In quegli stessi giorni, fra una ridda di criptiche iniziali ormai divenute ironiche a se stesse, i giornali annunciavano che Aleph, Ghimel, Nun, Chet, Resh, più un alto ufficiale dello Shabbach, si erano precocemente ritirati dai Servizi segreti in concomitanza con l'avvento del nuovo capo. La sensazione è stata grande: lo Shabbach, in questo periodo di frequenti e terribili attacchi terroristici, dovrebbe costituire per Israele la maggior difesa, perché il suo compito istituzionale è proprio quello di scoprire le trame, trovare i terroristi, disinnescare la catena che porta il tritolo e le armi da Gaza e dai Paesi arabi ai Territori occupati e poi dentro Israele. Gli uomini dello Shabbach, per capirci, sono quelli che rapidamente trovarono il rifugio dove i terroristi islamici avevano sequestrato il soldato Nachshon Wachsman; che sono probabilmente i responsabili dell'esplosione dell'automobile che ha ucciso il leader della Jihad islamica Hani Abed nella striscia di Gaza; che cercano di arruolare alleati palestinesi anti-Jihad; che s'infiltrano travestiti nelle file di Hamas o della Jihad stessa. In una parola, gran parte del processo stesso di pace è nelle mani dello Shabbach il quale, quanto più agisce in modo efficiente e indolore contro il terrorismo, tanto più consente al governo di impegnarsi in concessioni politiche di pace. Forse, proprio per questo, Rabin e Peres hanno voluto che la nuova guida dello Shabbach fosse un giovane intellettuale (44 anni) di ottima famiglia gerosolimitana che ha scritto la sua tesi di laurea sul pericolo che la destra integralista ebraica porta alle strutture dello Stato ebraico. Ma qui cominciano le contraddizioni: un uomo di sinistra come K innanzitutto trova forti contrapposizioni in un mondo che, per una ragione o per l'altra, si muove ai margini della legalità democratica. È facile pensare che sia stata proprio la destra israeliana a far uscire il suo nome. Inoltre un tipo come K, diversamente dal suo predecessore Yaacov Peri, si sente di certo assai vincolato dalla sempre maggiore attenzione che i media e l'opinione pubblica dedicano ai metodi dello Shin Bet; per esempio, K sentirà fortemente il problema del nuovo progetto di legge secondo cui il Consiglio di gabinetto e il Parlamento israeliano soprintenderanno ad ogni singola azione dei Servizi; il controllore dello Stato dovrà intervenire ad ogni sospetto che gli agenti abusino dei loro poteri; e l'Ombudsman risponderà ad ogni pubblica rimostranza contro lo Shabbach. La legge previene anche l'uso politico dello Shin Bet, ovvero il rischio che un partito al potere se ne possa impossessare per creare uno Stato di polizia. Dunque Caf avrà vita dura, ma soprattutto troverà immense difficoltà nel riciclare politicamente una struttura che Peri aveva adeguato agli stilemi dell'Intifada: penetrare gli integralisti islamici è molto più difficile che entrare nel mondo palestinese dei territori fra il 1987 e il 1992; penetrare in genere il mondo palestinese alla vigilia della creazione di uno Stato sembra quasi impossibile. Che cosa può guadagnare un arabo da uno Stato occupante che sta per portarsi via le sue truppe e le sue strutture? Inoltre, le tecniche stesse di prevenzione delle azioni suicide degli integralisti sono ancora assai lontane dall'esser chiare agli israeliani come a tutto il resto del mondo che fronteggia per la prima volta gli estremisti islamici. I tempi mitici dello Shin Bet restano legati all'occupazione dei Territori nel 1967. Da allora tutto è cambiato: più speranze di pace, più democrazia, più media e la prospettiva ravvicinata di uno Stato palestinese. Nessuna voglia di morire in guerra. Se ne sono accorti anche i mitici agenti israeliani. Speriamo se ne accorgano anche i guerriglieri di Allah. Fiamma Nirenstein

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