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Intervista con Saul Friedlander, il grande storico dell’Olocausto: il fascino perverso del nuovo nazismo Israele, i sogni e le tempeste Antisemitismo in Europa? Non va enfatizzato

martedì 26 gennaio 1993 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME SAUL Friedlander è l’intellettuale israeliano più adatto a parlare della tempesta emotiva che di nuovo alza le sue ondate tra Germania e Israele. Ha infatti raccolto in un libro indimenticabile (tradotto in italiano) le sue Riflessioni sul nazismo, dove parla della inquietante fascinazione che emana dal ormai in voga nella società contemporanea. Inoltre Friedlander è un ebreo dedito alla cultura della memoria, professore di storia dell’Olocausto sia all’Università di Tel Aviv che a quella di Los Angeles, dove insegna alcuni mesi l’anno. Nel quieto villino gerosolimitano dove andiamo a trovarlo, davanti a un camino acceso ci racconta che sta preparando una poderosa nuova storia dell’Olocausto. Un suo famoso libro su Pio XII, anche questo tradotto in italiano, discuteva il rapporto tra Chiesa e sterminio degli ebrei. Ma Friedlander non è solo uno studioso del nazismo. È una delle sue vittime dirette: bambino praghese, fuggito verso la Francia insieme ai suoi genitori di famiglia intellettual-borghese, fu nascosto ma anche battezzato da un’istituzione cattolica. Intanto i suoi cari, catturati dai tedeschi, trovavano la morte ad Auschwitz. Friedlander all’età di quindici anni, dopo aver pensato di farsi prete gesuita, con uno scatto di identità e aiutato in questo dal suo padre spirituale cristiano, s’imbarcò sulla nave clandestina , emigrando così in Israele e divenendo un membro della formazione Irgun, che combattè contro il protettorato britannico fino alla fondazione dello Stato d’Israele nel 1948. Questa storia meravigliosa, intrecciata alla visione attuale della vicenda del suo Paese, dove Friedlander milita nelle formazioni pacifiste, è raccontata nel libro A poco a poco il ricordo, che Natalia Ginzburg volle tradurre per Einaudi poco prima di morire. Israele ha litigato accanitamente sul rapporto con la Germania: alla Knesset c’è stato un vero e proprio episodio di boxe fra i deputati, alla presenza di un impassibile e silenzioso ambasciatore tedesco. Quando cadde il Muro di Berlino, Israele si spaccò tra coloro che sostenevano il carattere endemico del nazismo nell’ideologia e nella storia tedesca e quanti lo negavano; oggi se ne torna a parlare fra nuvole di memorie insostenibili, lottando con i fantasmi. Professor Friedlander, che cosa c’è ancora dentro tutta la passione che anima il rapporto tra Germania e Israele? Perché alla Knesset Shulamith Alloni chiede addirittura d’interrompere i rapporti con il Paese che è dopo gli Stati Uniti il miglior partner economico d’Israele? Perché se la ferita brucia come quarantacinque anni fa si è voluto, fin dalla costruzione dello Stato, stabilire legami tanto stretti con la Germania? Perché Ben Gurion volle incontrare Adenauer nel 1960, se ancora oggi il grido che nasce dagli episodi di neonazismo è : ? convissuto con il dilemma del rapporto con la Germania sin dagli accordi di Riparazione, ovvero dal dopoguerra, il 10 settembre 1952. Essi giunsero quando tutto quanto era ancora bollente, ma salvarono Israele dalla catastrofe economica.... Furono veramente così fondamentali? economico israeliano che ci dette l’aire fino a tutti i primi Anni 60. Con l’America, la Germania ha dato a Israele l’ossigeno per sopravvivere. Dentro le persone, tuttavia, è rimasto un doppio tracciato: quello emotivo che si esprime privatamente, nella vita quotidiana, ma a volte, in occasioni politiche straordinarie, anche in dichiarazioni pubbliche. Così , al tempo della caduta del Muro; e ora, con questo nuovo fenomeno del neonazismo. Poi, c’è il livello della ragione di Stato, che però negli ultimi quindici anni si è evoluto alquanto... Ormai si può parlare di un rapporto politico, e anche non politico, che contiene elementi di intimità , così la chiamerei. C’è molta cooperazione fra università , fra istituzioni culturali... Ormai israeliani e tedeschi hanno un rapporto che si avvicina, direi, all’amicizia. Il periodo del calcolo è finito. Non crede che le Riparazioni in marchi dopo la Shoah siano state una scelta moralmente spericolata, e che comunque crea un lato oscuro nella coscienza ebraica d’Israele? segretario di Naoum Goldmann (il presidente dell’agenzia ebraica) nel ’57, ai tempi in cui si portavano a termine gli accordi lussemburghesi del ‘52. Era più che giusto che la Germania non godesse, semplicemente, i frutti materiali dello sterminio degli ebrei, che almeno restituisse quel poco che poteva restituire. Tutto qui. Begin era contro le Riparazioni economiche che Ben Gurion invece accettò . Ben Gurion. E in genere ha avuto un atteggiamento sacrale, ha tentato una ritualizzazione dell’Olocausto. Questo tentativo, tuttavia, non ha avuto esito. Lo sterminio non è diventato il pilastro dello spirito collettivo d’Israele, non è divenuto la sua cultura nazionale, il suo nuovo ebraismo. Non condivide dunque la tesi per cui Israele si è costruito una religione dell’Olocausto? condivido. Negli Anni 50 la tentazione di ritualizzare la Shoah è stata forte. Ma l’altra anima di Israele, quella vitalistica, quella attivistica, ha impregnato di sé i giovani, nel bene e nel male. La letteratura (David Grossmann è un esempio noto in Italia) ci mostra numerose operazioni iconoclaste dell’Olocausto; la mentalità comune non lo ha incamerato come un fatto d’identità centrale per Israele. Forse la diaspora americana o le altre diaspore hanno compiuto in parte questa operazione. Non così Israele. Si potrebbe dire che qui da noi è stato troppo urgente vivere il presente perché il passato acquisisse l’intera forza di identificazione nel nostro popolo. Le comunità ebraiche della diaspora hanno dato molto peso al fenomeno neonazista, neofascista, antisemita. Vorrei che lei lo valutasse a sua volta. Secondo lei la reazione di grande allarme degli ebrei è adeguata al fenomeno cui assistiamo? È una questione cui ho pensato con molta intensità e con pena in questi giorni, rifiutando fino ad ora ogni intervista. Sono arrivato a queste conclusioni: ci sono due livelli di reazione, uno giusto e uno discutibile. Esistono tutte le migliori ragioni per reagire anche con furia agli attacchi agli ebrei e agli stranieri. Perché mai dovremmo starcene zitti? È logico rintuzzare certe inconsulte deiezioni. Ma se si passa al piano politico, ecco, io non credo nella possibilità di affermazione di movimenti neonazisti o neofascisti. Questo significa che è logica una reazione emotiva, ma che è solo un problema pratico bloccare le azioni sciagurate e il proselitismo dei neonazisti? Non è un problema politico? problema di polizia. E in effetti, almeno fino all’assassinio delle due donne turche, il governo tedesco non ha risposto con la grinta necessaria. L’antisemitismo non le sembra quindi un punto fondamentale di questa situazione? tutti i movimenti populisti e xenofobi usano con profitto per spiegare chi sono. Tutti lo fanno, salvo forse Le Pen.... E anche le leghe italiane. occidentale? come suggerisce l’ex capo del Mossad Harel, lascio a lui queste follie. Lei crede che gli ebrei debbano venire a stare in Israele a causa dell’antisemitismo montante? Israele fuggendo. Né penso che gli ebrei si sentano minacciati a tal punto. Semmai penso sia bello oggi per loro sapere che qui c’è un posto più vivibile, più adatto, più sensibile alle loro esigenze, soprattutto adesso che la politica d’Israele è migliorata. Sì , io penso che sia un bel momento per gli ebrei per venire in Israele, ma non per paura, bensì per avere parte in una società che si risveglia dopo anni di società politica, aver parte in una società che dialoga e si apre. Nel suo libro sul nazismo, lei descrive nuovo discorso sul passato un discorso carico anche di malefica fascinazione dove il kitsch piccolo-borghese e il tendere verso un orizzonte di morte e di distruzione formano la base sentimental-ideologica per una certa nostalgia del regime hitleriano e del fascismo. Mi dica la verità : c’è anche in Israele questa tendenza? Tournier, di Fassbinder, di Tinto Brass, di film come Cabaret... Ovvero di una cultura consapevole di se stessa, almeno in parte. Qui da noi certamente può esserci una tendenza popolar- pornografica paranazista, come ovunque nella cultura pop contemporanea, ma mi pare che Israele non partecipi, invece, di una tendenza nostalgico-romantica dell’era fascista, almeno non con la consapevolezza culturale di viverla. Molti hanno accusato Israele di rivivere nel suo rapporto con gli arabi dei territori occupati la relazione perversa tra perseguitato e persecutore legata alla memoria del passato. Ovvero, di farsi per così dire inconsapevole portatore del suo carico di nazismo. È una sciocchezza colossale. Un’assurdità pseudo-psicanalitica. Quando c’è una situazione d’occupazione (pensi ai francesi in Nord Africa) si crea uno spazio anche per la brutalità , per la violenza. E allora il cittadino può arrabbiarsi, lottare, combattere per la pace. Ma non deve dire idiozie di questa stazza] . Professore, George Mosse nel suo studio sul dialogo ebraico-tedesco ha posto un accento terribilmente emotivo sul rapporto tra questi due popoli, quello ebraico e quello tedesco, così speciali. Lei che ne pensa? certa esagerazione quando Mosse vede nella Bildung, ovvero nell’idea dell’educazione, della cultura, della formazione dell’uomo moderno, un legame così stretto. Una parte importante dell’intellettualità ebraica emancipata della Germania degli inizi del secolo fu certamente una colonna della cultura tedesca. Ma questo dipese anche dal fatto che il sogno di un’appartenenza tedesca fu per gli ebrei molto affascinante. Tuttavia ciascuno mantenne in definitiva la sua identità . Dunque la famosa e tragica immagine delle signore ebree tedesche che leggono Goethe mentre le caricano sui vagoni piombati verso i campi di sterminio è un’immagine forzata? anche molti tedeschi leggevano Goethe. Fiamma Nirenstein

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