INTERVISTA ARON LIRON STORICO EBREO DEI CRISTIANI "Ma il merito è tut to di Rabin" "Lui aprì la via andando dal Pontefice"
martedì 4 febbraio 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
CHE Bibi Netanyahu inviti il Papa in Israele, e che il Papa risponda
che intende finalmente compiere la sua visita a Gerusalemme entro
l'anno Duemila, non è così pacifico per l'opinione pubblica di
qui. I sentimenti sono forti, i ricordi cocenti: la Chiesa per gli
ebrei è un interlocutore-antagonista, un persecutore-salvatore:
"Io sono una sopravvissuta della Shoah, e sono felice che il Papa
venga in Israele. Sono stata salvata da un prete polacco che mi ha
nascosto dopo la fuga dal campo di concentramento; è tempo di
concludere una pace duratura fra le due religioni sorelle", ha
detto Yaffa di Tel Aviv durante un programma radiofonico che per
ore e ore ha raccolto le voci contrastanti degli ascoltatori. "Che
sappia - ha detto invece Yael di Natania - c'è un dettato biblico
che impone di non dimenticare. E noi non dimenticheremo le
persecuzioni; e che anche il Papa non dimentichi le colpe della
Chiesa verso gli ebrei".
Aron Liron ha appena mandato in stampa il suo ultimo libro "I
cristiani e la Terra Santa". È un volume importante, pervaso di
spirito di comprensione fra le due fedi, assai dotto e dettagliato.
Naturalmente dedica molte pagine anche al ruolo e alla figura del
Papa.
Che cosa ne pensa dell'invito di Netanyahu al Papa?
"Che senz'altro è un fatto molto positivo, e che, di certo,
incontri i desideri di Giovanni Paolo II. Questo Papa, riconoscendo
lo Stato d'Israele, ha già mosso molti passi verso la conclusione
del binomio antisemitismo-cristianesimo. E dagli ambienti vaticani,
già da tempo proviene la voce sicura che la sua visita è molto
desiderata, prevista, auspicata... Finora non si erano presentate
le condizioni politiche adatte". E certamente adesso, con la firma
del trattato di Oslo da parte di Netanyahu, la strada è stata
aperta.
"Certo ora le cose sono più facili. Ma la via maestra era stata
aperta da Rabin con la sua calorosa visita, che davvero inaugurò
un nuovo rapporto fra Vaticano e Israele. Rabin, infatti, aveva lo
stesso interesse che ha il Papa: fare presto, concludere
rapidamente il processo di pace. Invece Netanyahu è giovane, ha
più tempo davanti a sé , è meno motivato dal punto di vista
ideologico e probabilmente anche meno disposto a dare, a concedere
aperture su Gerusalemme". L'incontro con Rabin fu più caloroso?
"Penso che sia ben possibile che il Papa avesse un maggiore
entusiasmo verso Rabin". Quand'è cominciata e perché la marcia
di avvicinamento fra Chiesa e Israele?
"Anche se ci fu la visita di Papa Montini, la strada che porta ai
rapporti attuali comincia con il Concilio Vaticano II. Perché solo
con l'acquisizione sentimentale e culturale di Giovanni XXIII della
tragedia dello Shoah, che lui per primo capì fino in fondo, la
Chiesa ha desiderato di togliere agli ebrei il marchio di
traditore, di assassino di Gesù . Qui, solo qui, si cominciò a
capire che una riparazione verso il mondo ebraico rispetto
all'atteggiamento della Chiesa durante la seconda guerra mondiale
poteva ormai solo passare per un rapporto con Israele. Dunque,
innanzitutto, il rapporto fra Israele e il Papa ha il senso di una
profonda e sentita riconciliazione storica".
Mi sembra, però , solo una parte del gioco ideologico e politico
attuale. Non le pare che la venuta del Papa in Israele
cambierebbe molto anche i rapporti con i Paesi arabi? E che il
Papa punti a Gerusalemme in qualche forma?
"Tutt'e due le cose sono vere e interdipendenti. Certamente il Papa
vuole partecipare alla gestione dei luoghi santi di Gerusalemme..."
Ma Netanyahu non sembra avere intenzione di concedere una
briciola di sovranità ]
"E chi l'ha detto? Israele consentirà alle due grandi religioni
monoteiste di essere partner nelle decisioni sui luoghi santi,
almeno in qualche forma. Qualcosa dovrà essere escogitato, ne sono
sicuro, qualcosa dovrà essere concesso. E credo che chiunque ormai
se ne renda conto. Quanto ai Paesi arabi, la Siria, il Libano, la
Giordania, l'Egitto, per non parlare dei palestinesi, contano
minoranze cattoliche di cui il Papa ha sempre tenuto conto
ricevendone in cambio un buon rapporto con questi Paesi. Di
converso, se il Papa viene in Israele, questo non può che aiutare
molto il rapporto fra Israele e gli arabi. Israele ne riceverà ,
dunque, un chiaro vantaggio politico".
Fiamma Nirenstein