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Intervento in Commissione Esteri sulla pena di morte

giovedì 18 settembre 2008 Attivita parlamentari 0 commenti
Intervento in Commissione Esteri, sede referente:
Ratifica del Protocollo n. 13 CEDU relativo all’abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza (esame C. 1551 Governo, C. 267 Mecacci - Rel. Nirenstein)


Gentile Presidente,
il mio è un ringraziamento non formale per avermi permesso di trattare un tema così cruciale per la storia della nostra civiltà: tutta la storia, dalle sue origini, è punteggiata dall’orrore delle pene di morte, con tutto il peso iconografico di patiboli, lame, corde, sedie elettriche e del boia, figura negativa in tutta la letteratura occidentale.
Nel corso della convocazione odierna siamo chiamati a ratificare il Protocollo n. 13 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. Il Protocollo n. 13 è stato firmato a Vilnius il 3 maggio 2002. Gli Atti Camera 1551 (di iniziativa governativa) e 267 (dei deputati Mecacci e altri), constano entrambi di 3 articoli e non comportano oneri finanziari aggiuntivi a carico dello Stato. Gli articoli recano rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica, l'ordine di esecuzione del Protocollo e l'entrata in vigore della legge (fissata al giorno successivo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
L'analisi tecnico-governativa allegata al disegno di legge del Governo sottolinea che l'entrata in vigore della legge di ratifica del Protocollo 13 comporterà l'abrogazione implicita della legge di ratifica del Protocollo 6 (legge n. 8, 2 gennaio 1989), limitatamente all'articolo 2 dello stesso Protocollo, articolo che prevedeva la possibilità di applicare la pena capitale in situazione di guerra o di pericolo imminente di guerra. L'abrogazione implicita deriva anche dal fatto che l'ordinamento giuridico italiano, sia a livello costituzionale che legislativo, è già in totale sintonia con le norme stabilite dal Protocollo 13, e ciò dal momento che, con la legge 589/1994, l'Italia ha abrogato la possibilità di comminare la pena di morte in determinate circostanze anche dal codice penale militare di guerra. Inoltre, la legge costituzionale del 2 ottobre 2007, numero 1, ha emendato l'articolo 27, comma 4 della Costituzione, eliminando il riferimento alla possibilità di applicare la pena di morte nei soli casi previsti dalle leggi militari di guerra. 

Oggi ci troviamo quindi a confermare una realtà che di fatto è già ben radicata nel nostro ordinamento giuridico, in perfetta linea con il resto d'Europa – eccetto la Bielorussia che continua ad essere un paese mantenitore e che infatti il 18 dicembre 2007, si astenne durante la votazione in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una Moratoria Universale delle esecuzioni capitali. Ecco, è stata quella una vittoria - 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti - per la quale l'Italia si è adoperata in primo piano, grazie anche all’impegno del Partito Radicale, di Nessuno Tocchi Caino che hanno fatto propria per oltre 13 anni la battaglia per la moratoria.

Eppure, è stato quello solo un punto di partenza. Il panorama mondiale è purtroppo ancora orribilmente macchiato dalla pena capitale a tutte le latitudini. Nel 2007, in Cina, dove esistono una settantina di reati capitali, le esecuzioni sono state almeno 5000; in Iran almeno 355; in Arabia Saudita almeno 166; in Pakistan almeno 134; negli Stati Uniti 42; in Iraq almeno 33; in Vietnam almeno 25 e la lista continua. Le esecuzioni, anche di minorenni, anche con le modalità più barbare come la lapidazione pubblica, continuano ad essere diffuse in una certa parte di mondo. Questa ratifica, che per noi può rappresentare una mera formalità, ha un valore morale che ci deve essere da lume: abbiamo il dovere di tradurla in un impegno politico anche verso quei Paesi che continuano a comminare la pena capitale, la maggior parte dei quali, come in Cina, Iran, Sudan, sotto la copertura del segreto di Stato, la qual cosa ci impedisce di accedere a dati esatti, a volte nemmeno approssimativi, relativamente al numero delle esecuzioni.

La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fu firmata a Roma il 4 novembre 1950, entrando in vigore in Italia nel 1955, con lo scopo di sancire diritti e libertà fondamentali, tra cui il "diritto alla vita". L’Europa, appunto in quegli anni, cercava la sua rinascita morale dall’orrore immenso in cui aveva trasformato il suo continente, rendendolo una cella di morte per donne, uomini, bambini innocenti, condannati a morte a causa di motivi etnici, religiosi e politici. Nasceva allora la necessità nelle nostre legislazioni di affermare “il diritto alla vita”. Oggi, a quasi 60 anni di distanza, possiamo guardare con orgoglio alla regolamentazione che le nostre democrazie libere si sono date, all'omogeneità della legislazione europea in questo senso e alla cooperazione in sede internazionale per l'approvazione della moratoria universale. Dobbiamo ora impegnarci per esportare queste libertà e garantire il "diritto alla vita" anche al di fuori dei confini dell'Europa.


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