INSEDIAMENTI, IL NODO CHE PIÙ PESA SULLA PACE TRA ISRAELIANI E PALE STINESI COLONI Il ritiro ora è possibile
lunedì 29 luglio 2002 La Stampa 0 commenti
                
HEBRON 
IN fondo, a Kiriat Arba, sopra Hebron, una delle cittadine più dure 
nei 
Territori, non dispiace l'indagine di « Pace Adesso» , il più antico 
movimento 
pacifista israeliano, il nemico di sempre. « Lo vede - dice Shlomo, 
grande 
barba sulla camicia bianca - non siamo poi quel diavolo che si ama 
immaginare» . C'è qualcosa di epico nel fatto che « Pace Adesso» , il 
movimento 
che certo più odia i coloni al mondo, stia adesso svolgendo, certo 
nolente, 
una funzione di loro riabilitazione agli occhi del mondo. 
L’ indagine compiuta in Cisgiordania e a Gaza dimostra che i settler 
non sono 
220 mila pazzi guerrafondai, decisi per motivi egoistici a trascinare 
nel 
fuoco l'intero Medio Oriente. Sono invece, per quasi il 70 per cento, 
persone normali, che dopo la guerra del '67 (quando Israele occupò i 
Territori, che poi l'accordo di Oslo riconsegnò , almeno in parte, 
all'Autonomia palestinese) a ondate successive sono andate a vivere, 
per 
motivi più che altro ecologici, in zone rocciose o punteggiate di 
ulivi, in 
gran parte dure e desertiche ma immensamente affascinanti. Oppure 
persone 
che non avevano i mezzi per vivere in zone meno fuori mano. 
Tutti, comunque, oggi sono spaventati dalla strage di innocenti che 
si 
compie nelle loro file, soprattutto i padri e le madri con tanti 
bambini. E, 
per quasi il settanta per cento, se ne vogliono andare, purché il 
governo lo 
chieda con le buone maniere, ovvero fornendo casa e lavoro altrove. 
Si può 
credere a questo quadro? La ricerca è molto attendibile, molto ampia, 
costruita su 3.200 gruppi familiari in 127 insediamenti diversi. E 
anche se 
ieri, piangendo il suo amico Elimelek, 43 anni e otto figli, ucciso 
dai 
terroristi in un agguato all'alba, e la famiglia Dickstein - padre, 
madre e 
uno dei loro nove figli, uccisi in un altro agguato vicino al loro 
insediamento - un capo dei settler, Benzi liebermann, diceva che mai, 
mai 
lui e i suoi amici se ne andranno e che l'inchiesta è viziata, « Pace 
Adesso» , sicura di sé , gli ha mandato a dire: « Facciamo l'inchiesta 
insieme, 
con i criteri scientifici da voi prescelti. Tanto è chiaro che a 
farsi 
ammazzare come anatre da bersaglio, i vostri compagni non ci stanno 
più » . 
La verità , è che sia « Pace Adesso» sia Benzi Liebermann hanno 
ragione. E’ 
vero che molti coloni se ne vorrebbero andare, ma è anche vero che 
esiste un 
nocciolo duro di irriducibili, che abitano soprattutto nelle zone di 
Hebron 
e di Nablus. E poi ci sono i giovani - circa il 7,7 per cento - che 
hanno 
fatto aumentare il numero degli abitanti degli insediamenti da 203 
mila a 
219 mila, inducendo la creazione di nuovi insediamenti avamposto. Là 
il 
pericolo di essere uccisi è grande, ma sono luoghi da cui davvero, 
come dice 
Liebermann, la gente dovrà essere, al momento di un'evacuazione 
decisa in 
parlamento, strappata via con la forza. 
Per avere un’ idea di quei luoghi e di quelle persone, immaginate di 
vivere 
in alto, contro il cielo, su una collina di pietre e stoppie nel 
mezzo al 
deserto, in un luogo chiamato, ad esempio, Tzur Shalem: un luogo 
estremo, un 
insediamento vicino a Karmei Tzur. Pochissimi caravan, alcune giovani 
famiglie, gente colta, religiosa ma non vestita di nero: al 
contrario, stile 
western, abiti colorati, atteggiamento californiano verso la terra, 
la 
sabbia, le nuvole, i pascoli. Molta preghiera, molta tradizione. E’ 
un 
nocciolo duro, convinto che il fucile, sulla frontiera della vita 
d'Israele, 
sia ancora indispensabile. 
Poco lontano, in genere, nel più vicino villaggio arabo, nel cuore 
del Gush 
Etzion, una moschea chiama alla preghiera i suoi fedeli. Al tramonto, 
vedi 
sulle colline intorno giovani palestinesi con i muli e le pecore che 
scrutano l'insediamento e, prima di affrontare una nuova notte di 
paura, 
pensi che il mondo intero ti chiama « settler» , in italiano « colono» : 
una 
delle figure più vituperate dei nostri tempi. 
Se per caso l'insediamento di cui stiamo parlando è proprio Tzur 
Shalem, 
allora sono passate poche settimane da quando Yael Sorek, di origine 
italiana, incinta di nove mesi, e suo marito Eyal sono stati 
attaccati e 
uccisi a sera insieme a un soldato che aveva tentato di difenderli, 
Shalom 
Mordechai. Un episodio che fa di questo piccolissimo insediamento un 
luogo 
in cui il paesaggio pastorale, vuoto, premoderno, s’ impasta con la 
paura, e 
la tensione. Yael e Eyal erano due giovani decisi a vivere con 
determinazione la loro scelta ideale. E la loro decisione di 
solitudine e di 
scabra essenzialità aveva tratto una motivazione politica più 
bruciante 
dall'attuale Intifada. Per tutto il mondo, o quasi, essi erano una 
delle 
cause determinanti del conflitto israelo-palestinese, più volte 
stigmatizzati come l'ostacolo principale sulla via della pace. 
Questo ripetono tutto il tempo gli europei; questo ha detto anche 
l'ambasciatore americano in Israele Dan Kurtzer, suscitando un'ondata 
di 
proteste. Ma Yael, che tutti ricordano come una ragazza dolcissima, e 
anche 
Eyal, vedevano se stessi come un avamposto contro gli attacchi 
terroristici. 
Nella pervasività degli attacchi a Netanya o a Tel Aviv vedevano la 
conferma 
del loro credo ideologico: che l’ Israele biblica è un tutt'uno con il 
resto 
del Paese. 
Se si vanno a trovare, per esempio, Efi e Echia Katz, in un remoto 
sperone 
della Giordania, e li si guarda distrarre con qualche giocherello i 
loro 
quattro bambini fuori della baracca, mentre alla sera scrutano in 
lontananza 
i fuochi dei pastori palestinesi; se si ricorda la strage di 
un’ intera 
famiglia, compresi due bambini nei loro lettini, in un insediamento 
poco 
lontano, si capisce che quelli, come dice Lebermann, non se ne 
andranno, che 
credono davvero che la sopravvivenza di Israele sia legata a loro. « E 
comunque, che differenza c'è fra deportare noi da qui e il 
trasferimento 
degli arabi che tutto il mondo paventa? Anche noi siamo cittadini, 
anche noi 
vogliamo essere protetti proprio come gli arabi» , dice Efi. 
Altrove, però le cose vanno diversamente. La gente che, senza 
possedere 
un'auto blindata, percorre strade come quella che passa lungo 
l'insediamento 
di Ofrà - curve, deserto, case palestinesi, facili nascondigli sul 
bordo -, 
la gente che ha contato a decine i morti riversi sul volante, la 
gente che 
vive verso Gaza, a Dugit, un insediamento di mare, in gran parte non 
ideologico, sente avvicinarsi il momento di cambiare. Una famiglia ha 
avuto 
la figlia uccisa e con lei il fidanzatino ventenne, che era andato a 
trovarla per il week end. La loro casa adesso è serrata, nessuno ci è 
più 
tornato. 
Hebron è un caso diverso. Ci sono ancora i discendenti delle famiglie 
giunte 
qui nel 1492, quando la regina Isabella di Spagna spedì in esilio 
tutti gli 
ebrei. Famiglie ebree che non si sono più mosse, neppure dopo il 
pogrom 
arabo del 1929. Dice il vecchio Ephraim, ritto sulla porta della 
tomba dei 
Patriarchi: « Guardate che cosa hanno fatto i palestinesi alla tomba 
di 
Giuseppe appena l'abbiamo lasciata: l'hanno distrutta e sopra hanno 
costruito subito una moschea. E qui, che altro potrebbe succedere se 
noi ce 
ne andiamo?» . Sono dunque molto reattivi e nervosi i coloni di 
Hevron, come 
hanno dimostrato anche ieri scontrandosi, durante il funerale del 
soldato 
ventunenne Elazar Leibovitz, addirittura con l’ esercito israeliano 
venuto a 
fare da cuscinetto tra coloni e palestinesi. 
Un argomento cui i settler sono sensibili, come dice Hana, 
dell'insediamento 
di Netzarim a Gaza, è che i soldati rischiano la vita per loro, e la 
società 
israeliana comincia ad essere molto preoccupata per questo grande 
sacrificio 
di vite umane. « Non lo sottovalutiamo affatto, e vorremmo davvero 
evitarlo 
dice Hana -. Speriamo che sia possibile. Ma contrariamente a quello 
che si 
pensa e che i giornali suggeriscono quando mettono solo nella pagine 
interne 
la notizia di “ coloni” uccisi, (come è successo con l'autobus pieno 
di 
innocenti qualche giorno fa o con un'intera squadra di calcio di 
ragazzi) 
anche noi, finché non si trova un accordo di pace con i palestinesi, 
siamo 
cittadini israeliani che non vogliono diventare profughi per 
l'ennesima 
volta. Noi, semplicemente, speriamo in una soluzione politica che non 
metta 
in pericolo Israele. Siamo noi, oggi, a proteggerla con il nostro 
corpo» . 
            