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In un libro-intervista di Alain Elkann il rabbino capo di Roma spiega il nocciolo dell'ebraismo Toaff, aspettiamo l'età dell'uguaglianza Il Me ssia come radice del bene

giovedì 10 dicembre 1998 La Stampa 0 commenti
CHE cos'è il Messia? E verrà davvero? E come sarà ? E allora, cosa capiterà a noi essere umani? È partendo da questa curiosità metafisica che Alain Elkann, con un libro uscito in questi giorni per i tipi di Bompiani intitolato Il Messia e gli ebrei, completa quella che ormai possiamo chiamare la sua amicizia con il rabbino capo di Roma, il rabbino italiano per eccellenza, Elio Toaff. Nel novembre del '94 un'altra lunga intervista, sempre uscita per lo stesso editore, portava il titolo Essere ebreo e di questo infatti si parlava: Elkann, per circa 180 pagine, scavava allora più che altro nella sapienza teologica di Toaff, chiedendogli spiegazioni sulla dottrina e sulla pratica dell'ebraismo, dalla Torah al cibo casher, fino ai misteri della Kabbala. Adesso nonostante la maestosità dell'argomento che dà il titolo al libro, il dialogo fra Elkann e Toaff si fa molto più personale, più intimo, entra nella struttura mentale stessa dell'uomo che più di ogni altro ha definito l'immagine dell'ebraismo italiano come ebraismo dolce, moderato, in definitiva una religione costruita pragmaticamente dall'uomo e per l'uomo. Forse per la prima volta si legge in controluce in questo libro come l'ebreo italiano sia stato addirittura costruito, dal dopoguerra in avanti, dalla personale natura di questo ex partigiano di Livorno, figlio a sua volta di un grande rabbino esperto della Bibbia, e che da ben 46 anni è il rabbino capo della capitale: un uomo con gli occhi gentili ma taglienti come una lama, che sorride sempre ma non dimentica mai dove è riposta l'autorità (e non l'ha mai ceduta a nessuno), che è benevolo e identificato con la propria patria di origine, l'Italia, ma che di sicuro, afferma che "gli ebrei sono diversi", e certo non gli dispiace. Attraverso le 117 pagine che con brevi domande e risposte percorrono tutte le angosce e le gioie morali e religiose dell'uomo (la morte, il sesso, il bene, il male, la famiglia, la scienza...) Elkann costruisce un codice di comportamento dal tono familiare ma solenne, come se avesse chiesto a un padre: "Dimmi, qual è dunque la verità ?"; e il padre gli rispondesse, oltre che con la sua sapienza, anche con un abbraccio, e con la confessione dell'impotenza dell'uomo a spiegare tutto. E appunto la spiritualità , e anche a volte l'eroismo del buon senso, del restare sulla via mediana, del resto teorizzata dagli antichi sapienti, che disegna in questo libro il nocciolo dell'ebraismo. Anche sul Messia, che alla vigilia del Duemila è entrato quasi nella nostra quotidianità , le risposte mostrano la natura dubitativa e umana della sapienza ebraica, e anche la personale cautela del rabbino capo nell'ostentare un'eccessiva sicurezza su questioni tanto delicate. A Toaff non piace, certo, manifestare un'aspettativa eccessiva, come fanno per esempio i membri della setta dei Lubavitcher, verso la venuta del Messia. E tuttavia ci tiene, lo aspetta "con fede perfetta" come dicono le preghiere, sia pure a modo suo... Fin dalla prima pagina, per Toaff l'idea dell'epoca messianica è quella della pace universale, e quindi la fine del modo in cui attualmente il mondo vive i suoi conflitti. È l'auspicio al ritorno a un mondo in cui regnava incontrastato Dio Padre, e in cui tutti gli uomini erano uguali e fratelli. E poiché al giorno d'oggi le leggi di Dio appaiono così lontane, allora non c'è che piegarsi, dice Toaff, all'idea che il Messia sia molto lontano. Chissà , forse è addirittura una metafora del bene assoluto, quella promessa di perfezione che il genere umano insegue in tutti i suoi più ideologici e spesso esaltati disegni. "Noi ebrei" dice chiaramente Toaff a Elkann "abbiamo un'idea del Messia che non è uguale per tutti. Qualcuno ritiene che sia un uomo, altri, invece, e sono la maggioranza, che sarà un'epoca... quella in cui... "Ci sarà un solo Signore che avrà un solo nome"". Quando poi, più oltre nel testo, il rabbino Toaff ci dice come sarà l'uomo nell'era messianica, lungi dal lanciarsi in descrizioni esornative, prima di tutto spiega in maniera molto semplice e diretta che un essere umano diverso, ovvero buono, oggi come oggi non è possibile immaginarlo. E poi ripete la sua metafora del Messia: ciò che possiamo dire è che sarà l'epoca dell'uguaglianza. "Non sarà noioso?" gli chiede Elkann. "Non mangeremo di nuovo la mela come Adamo ed Eva?". "Se la mela è buona..." risponde ironico e sorridente Toaff. In sostanza, il suo sdrammatizzare il Messia, è teso a togliergli ogni alone mistico ed apocalittico: l'uomo può migliorare se stesso, può arrivare forse, un giorno, alla radice del bene. Questo forse si chiama Messia. È bello, a parte questo argomento, accompagnare Toaff lungo le strade del santo buon senso ebraico, che non condanna il divorzio ma cerca di evitarlo in tutti i modi; che non teme la morte, ma non promette nessuna vita ultraterrena; che spinge alla liberalità nell'uso della scienza, preoccupandosi più che del suo sviluppo che dei suoi limiti. Ed è bello anche l'orgoglio ebraico di Toaff, che si guarda bene dall'avvicinarsi ad astratte teorie del genere "il popolo eletto" limitandosi a vedere l'elezione dell'ebraismo nel fatto di essere la prima religione monoteista che ha, per così dire, inventato le altre due; Toaff è orgoglioso di essere ebreo perché "occhio per occhio" non vuole affatto dire punizione feroce a chi ti aggredisce, ma al contrario, è la prima legge che impone ritegno e senso della proporzione nella giustizia umana; perché gli ebrei hanno fatto sì tante guerre, ma poi e poi mai guerre di religione per convertire chi è diverso da loro, a differenza degli altri due monoteismi; e poi, soprattutto perché gli ebrei hanno un meraviglioso senso della famiglia e dell'amore coniugale. Si sente, attraverso tanti altri argomenti basilari trattati nel testo che forniscono altrettante lezioni di vita come, tutto sommato il rabbino capo di Roma abbia soprattutto un messaggio di affettuosità da comunicare al mondo. E Elkann, come ogni interlocutore di Toaff, forse come ogni lettore, se ne esce da questo dialogo con una mano benedicente sul capo. Fiamma Nirenstein

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