Fiamma Nirenstein Blog

IN PRIMA LINEA CONTRO GLI ATTENTATI VENDETTA Come Israele ha combatt uto il terrorismo

sabato 6 ottobre 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME OGGI è un ex parlamentare con gli occhi neri e l'eloquio lento, è stato nel ‘ 96 vice primo ministro, non è mai particolarmente di buon umore e i suoi 73 anni nemmeno li porta tanto bene; la voce nasale è un obiettivo costante degli imitatori; le sue posizioni sono semplici, dirette, severe, sempre tagliate con l'accetta. Del resto lui l'accetta la usa parecchio anche nella sua falegnameria amatoriale, e l'ha usata anche nella scelta delle sua nuova moglie: una dura senza fronzoli, rossa di capelli e di idee, politicamente super di sinistra, l'esatto suo opposto. Rafael Eitan, per tutti « Raful» , ha nella sua biografia di uomo di poche parole una serie di vittorie sul terrorismo quanto gli americani vorrebbero averne oggi. Lui è la chiave vivente di un segreto antico, ancora oggi valido: per combattere il terrorismo ci vogliono eroi, come lui, oltre che piani geniali. Il 29 dicembre del 1968 la misura era colma. Dopo una quantità di attentati terroristi, di infiltrazioni, bombe, sparatorie al Nord di Israele, un aereo El Al partito da Roma era stato sequestrato a luglio nella sua rotta verso Tel Aviv. I terroristi del Fronte Popolare per la Palestina lo costrinsero ad atterrare ad Algeri. Ordinano ai passeggeri ebrei di mettersi da una parte; gli altri, pellegrini cristiani, vengono rilasciati. Il governo algerino aiuta smaccatamente i dirottatori del Fronte Popolare, tanto da prendere esso stesso in custodia gli ostaggi ebrei e distribuirli in vari edifici; li rilascia solo dopo terribili pressioni internazionali e in cambio di 16 terroristi rinchiusi nelle carceri israeliane. I terroristi se ne tornano tranquilli a casa. Il 26 dicembre del ‘ 68 un altro aereo El Al con 41 persone a bordo, partito da Tel Aviv per Parigi e poi New York, fa tappa ad Atene: durante lo scalo due terroristi palestinesi tirano granate sull'aereo; uccidono subito un passeggero e ne feriscono un altro. La polizia greca blocca i palestinesi armati. Israele ribolle di ansia e pianifica la sua guerra al terrore. Il 29 dicembre un uomo quieto e serio, sui quarant'anni, prende il caffè al bar dell'aereoporto di Beirut, appoggiato al bancone. E' Raful, allora generale dei paracadutisti. Tutto intorno, in incognito, sono sparsi i suoi uomini, paracaudatatisi o giunti alla spicciolata. Raful è il capo del gruppo principale di un commando di 66 israeliani, divisi in gruppi, uno per ciascuno dei tre settori in cui il Mossad ha suddiviso per comodità di pianificazione l' aereoporto. Poco lontano alcuni elicotteri trasportano personale medico e paramedico. Raful parla poco, sorride ancora meno, e non si emoziona, beve il suo caffè guardando lontano sul campo d'aviazione: da quando era un teen-ager nato in una fattoria collettivista (il Moshav Tel Adashim nella valle di Jesre'el) la sua vita è stata una continua battaglia al fronte, dalle file del Palmach, l'esercito volontario e straccione che ha saputo vincere ogni battaglia, in difesa del nuovissimo Stato Ebraico. Beve il suo caffè , guarda il campo di aviazione su cui i suoi paracadutisti si sono poco prima infiltrati, sgusciando fra aereo e aereo, fra capannone a capannone. Il traffico è regolare, silenzio rotto da qualche rombo, nuvole nel cielo mediorentale. D'un tratto, come per uno scherzo della fantasia, gli aerei cominciano a esplodere uno dopo l'altro, a terra. Solo gli aerei delle compagnie arabe. Uno, due, tre fino a quattordici. Gli aerei, tutti assolutamente vuoti, sono in fiamme, sotto ciascuno sono state piazzate due bombe, una sotto il naso, l'altro all'altezza di un'ala. Sono danneggiati per sempre, in fiamme. Raful, mentre il carnevale impazza, non è più là a bere il caffè . Resta la tazzina sul bancone, calda. L'operazione dura mezz'ora. Lui e i suoi uomini infliggeranno 100 milioni di dollari di danno all'aereoporto senza toccarne le strutture e soprattutto senza uccidere o ferire neppure uno delle migliaia di passeggeri in giro per l'aereostazione. Gli Stati Arabi sono così avvertiti (questo è lo scopo strategico e il messaggio dell'attacco) che Israele non tollererà che essi (come l'Algeria) fungano da supporto per le operazioni terroristiche dei palestinesi. Coperti da uno sbarramento di bombe fumogene e da un blocco di traffico sull'autostrada dalla città che impedisce qualsiasi afflusso di esercito o polizia all'aereoporto, gli israeliani riescono a sgomberare la zona con l'aiuto di sette elicotteri Bell, due Boeing e altri sei velivoli. In mare, motonavi veloci erano pronte con i loro mezzi da sbarco e i commando della marina erano pronti a dodici miglia dalla costa, e anche a muoversi dal porto di Haifa se le cose si fossero messe male. L'audacia dell'obiettivo e la perfezione dell'esecuzione premiò l'operazione, ma la sua spettacolarità non colpì le basi operative del terrore, e forse questo fu il grande limite che oggi certo si studia nelle centrali americane della guerra al terrorismo. Gli attacchi di Fatah e delle altre organizzazioni palestinesi agli aerei continuarono: già nel febbraio del ‘ 69 quattro terroristi a Zurigo aprono il fuoco contro un aereo El Al in fase di atterraggio; il pilota Yoram Peres viene raggiunto da una sventagliata di mitra e si accascia moribondo sul suo sedile. Un bel giovane bruno, Mordechai Rahamim, seduto in prima classe, finora assorto nella lettura del giornale, vestito in giacca e cravatta, non appena viene sparata la prima pallottola si rivela per quello che nessuno degli altri passeggeri sospettava fino a quel momento. Un agente segreto che, come su tutti i voli El Al fino ai giorni nostri, siede in incognito: ordina a tutti i passeggeri di buttarsi a terra, rompe un vetro si spenzola dall'oblò e apre il fuoco sui terroristi. L'aereo rallenta: Rahamim salta dall'aereo, insegue i terroristi, ne uccide uno, gli altri tre fuggono e vengono catturati dalla polizia svizzera. Ha salvato la vita dei passeggeri del suo aereo dando una lezione di professionalità antiterrorista e di coraggio; ma qui viene un'altra lezione oggi molto importante. Nel combattere il terrore è rischioso violare le leggi del Paese in cui si agisce. Le autorità svizzere arrestano Rahamim e lo processano per omicidio. Resta di questo processo una citazione del giovane israeliano: « Se qualcuno viene a ucciderti, agisci tu per primo» . Rahamim tornò assolto in Israele. Gli attacchi terroristici si susseguono senza tregua: l'aereo Swissair in volo da Zurigo verso Tel Aviv esplode in volo uccidendo tutti i passeggeri. Poi, il 10 febbraio, il figlio di Moshe Dayan, Assi, sulle orme dell'eroismo paterno, sventa con la sua prontezza l'attacco a tutti i passeggeri israeliani in transito su un autobus nell'aereoporto di Monaco. Vede tre figuri, nota strani movimenti: avverte con lo sguardo e i gesti il comandante Uri Cohen che si butta addosso a un terrorista facendogli esplodere la granata in mano. Un passeggero viene ucciso e 11 restano feriti, ma Uzi Dayan ha salvato da morte certa un gruppo decine di persone. Anche il comandante è ferito. Ma questa è un'altra lezione: prontezza, agire subito anche di fronte a un grande pericolo. Israele si domanda senza sosta come fermare gli attentati: i bambini sono bersaglio continuo di attacchi. Quelli del kibbutz Avivim, uccisi in 12 il 22 maggio ‘ 70 su un'autobus scolastico; i 21 ragazzini fra i 14 e i 17 anni di Maalot, massacrati nella loro scuola fra i 105 scolari presi in ostaggio il 15 maggio del ‘ 74 dopo ore di trattative con i terroristi; la famiglia di Bei't Shean uccisa con i vicini. La lista sarebbe ben più lunga. Ma il terrorismo aereo è fin da quei giorni la grande scoperta tecnologica del terrore: niente è meglio, come mezzo per richiamare l'attenzione del mondo intero, di quel fragile eppur poderoso oggetto in volo, capace di uccidere tante persone in un colpo solo . Nel ‘ 72 25 persone vengono trucidate e 72 ferite da tre terroristi giapponesi al servizio della causa palestinese all'Aereoporto di Tel Aviv. Erano stati addestrati in Libano dal Fronte Nazionale per la Liberazione della Palestina. Ma la storia in cui addirittura insieme troviamo come eroi in una rischiossima operazione addirittura Ehud Barak e Benjamin Netanyahu è quella della liberazione degli ostaggi sull'aereo Sabena. Cento persone rinchiuse sotto la minaccia delle armi nella pancia del’ aereo belga atterato a Lod (Tel Aviv) da Bruxelles. Il giovane Ehud Barak, capo della Saieret Mathal, unità magica delle operazioni più rischiose, si riposa nel pomeriggio nel suo kibbutz, a Mishmar Hasharon, dove è nato e cresciuto con i suoi genitori di origine polacca e i suoi compagni. Forse sta suonando il pianoforte, la sua passione e la delizia del kibbutz. Ma ecco il telefono. « Ehud - dice senza bisogno di presentazioni la voce di Moshe Dayan, allora Ministro della Difesa - vieni subito a Lod. La tua unità è già allertata. I palestinesi hanno sequestrato l'aereo della Sabena. E’ stato fatto atterrare qui da noi dai terroristi; da quel momento parliamo incessantemente con loro, Golda vuole tentare di trattare fino alla fine. Chiedono la liberazione di 317 terroristi di Fatah detenuti nelle nostre prigioni, ma come sai la linea è quella di non cedere mai alle richieste dei terroristi, altrimenti è la fine» . « Corsi all'aereoporto - racconta Barak - e mettemmo in atto un piano d'emergenza. Ci travestimmo in dodici da tecnici, con le tute bianche dell'aereoporto. Intanto, avevamo fatto sgonfiare le ruote dell'aereo per evitare che potesse decollare e rapire gli ostaggi. Fingemmo di rispondere alle richieste dei terroristi: benzina, verifiche di strumenti vari.. Riuscimmo così a salire sulle ali. Intanto le richieste dei terroristi si facevano durante le ore sempre più pressanti, minacciavano di far saltare per aria l'aereo. Passò la nottata così , in estenuanti trattative. Alle quattro del pomeriggio prendemmo la decisione: assaltammo le porte, entrammo e in 90 secondi di fuoco avevamo ucciso due terroristi maschi e preso prigioniere le due donne con loro. Tre passeggeri rimasero feriti, e uno di essi più tardi perse la vita» . Barak, più tardi divenuto il primo ministro che si è giocato tutto sul processo di pace, è il soldato più decorato della storia d'Israele. Il suo sorriso da gatto e il suo viso dai tratti minuti gli hanno consentito una quantità di operazioni antiterroriste in abiti femminili, sia in Libano, quando Fatah vi aveva stabilito la sua roccaforte, sia quando Israele affrontò , dopo la strage di Monaco, l'operazione ordinata anch'essa da Golda. E' Golda Meir certo l'audace progenitrice della guerra contro il terrore. Fu lei a gestire il terribile periodo degli attacchi agli aerei, e fu lei a decidere di eliminare uno a uno in tutto il mondo i membri del commando palestinese che aveva ucciso undici atleti della squadra israeliana olimpica inviata a Monaco il 5 settembre 1972. I tedeschi, durante l'atroce eliminazione degli sportivi che si svolgeva di ora in ora sotto gli occhi del mondo, non consentirono a Israele di inviare il suo commando, e dopo estenuanti quanto inutili trattative consentirono a Settembre Nero, la cellula palestinese in azione, di portare in elicottero i prigionieri superstiti del massacro all'aereoporto. Lì tutto finì con un improvvido quanto sanguinoso assalto del commando tedesco, che uccise attentatori e rapiti. E qui entra in scena Golda: con le spalle rotonde e curve, una veste da casa, un sabato mattina un certo « Avner» fu invitato insieme al generale Zvi Zamir nel soggiorno del Primo Ministro. « Come sta tuo padre?» , chiese a questo « Avner» , un ragazzo di kibbutz con alle spalle una breve ma intensa carriera nel Mossad. In Israele, che è così piccola, tutti si conoscono. « Una tazza di caffè ? Un po' di frutta?» Arrivò Ariel Sharon. I capelli grigi ribelli, le dita forti. Golda zittì i due generali che parlottavano fra di loro. E rivolta solo a Avner, lo investì di parole commosse e turbate, come parlasse all'intera nazione. Il suo era il manifesto che proclamava la morte della pietà verso chiunque avesse avuto a che fare con quel gesto di orrore terrorista, che andava al di là di ogni sentimento umano. « Lo Stato d'Israele - disse Golda - deve finalmente difendere gli ebrei e tutta l'umanità dagli orrori che noi abbiamo patito per primi, e troppo a lungo. La decisione è mia, me ne addosso la completa responsabilità » . Sharon spiegò ad Avner che avrebbe dovuto lasciare il Paese per mesi, forse per anni, non mantenere alcun rapporto con i suoi cari e i suoi amici, negare ogni rapporto con il Mossad nel caso fosse stato scoperto. Avner mormorò che sua moglie Shoshana era incinta. Golda lo guardò affettuosamente. « Allora non puoi andare» , disse. Qualche giorno dopo Avner, al comando di un pugno di uomini in incognito, con somme di denaro a disposizione per qualunque evenienza, partiva con licenza di uccidere. E uccise, lui con i suoi uomini, uno a uno, a Roma, a Parigi, in Germania e in Olanda, quasi tutti i componenti del commando terrorista. Commise anche un errore di identificazione, per cui morì un cameriere marocchino. Israele, in base a un'inusitata, inventata, nuova legalità internazionale, che non esiste da nessuna parte del mondo, si scusò e risarcì la famiglia del pover'uomo. Erano i primordi di una guerra che oggi ci spaventa e ci travolge tutti. In cui, per vincere, occorre soprattutto una voglia di vivere primordiale e sicura, una certezza di essere nel giusto, che forse la vecchia signora - Golda - aveva molto più di qualsiasi giovane d'oggi. Infine Entebbe, l'epitome di tutte le risposte al terrorismo, il modello che per quanto possa essere studiato contiene un segreto, lo stesso della guerra di Troia, in cui Achille muore, ma alla fine la sua parte vince la guerra. Qui l' eroe puro e bellissimo, il comandante dell'unità di é lite lanciata al salvataggio dei 104 israeliani ostaggi dei palestinesi è Yoni Netanyahu, soldato poeta e filosofo (fratello di Bibi) che sacrificò la vita. Gli uomini sono la chiave di questa esemplare vittoria contro il terrore: un primo ministro come Yitzhak Rabin, un ministro delle Difesa come Shimon Peres, un capo di Stato maggiore come Motta Gur, capi operativi come Dan Shomron e Muki Betzer, un re dei servizi di intelligence come Shlomo Gazit, e la determinazione insieme sentimentale e ideologica, assoluta, di non arrendersi al terrorismo, di salvare vite umane a costo della propria, di eliminare il nemico che vuole distruggerti. L'aereo era stato sequestrato sulla sua rotta da Israele a Parigi il 27 giugno, da terroristi saliti nello scalo di Atene. L'aereo con i terroristi, gli ostaggi ebrei e 12 membri dell'equipaggio era poi stato fatto atterrare, con la complicità del dittatore locale Idi Amin, in Uganda, a Entebbe, 4000 chilometri da Israele. Israele impazzisce di angoscia; le riunioni con mappe, registrazioni, informazioni di intelligence si fanno incessanti, notte e giorno. Sabato 3 luglio, nel buio più completo, bassi sotto il raggio dei radar, quattro Hercules sorvolarono la penisola del Sinai diretti a Entebbe. Peres che aveva appena dato il via all'operazione, dissimulando l'immensa tensione quella sera, fra cristalli e porcellane, dovette cenare con Vip americani che discorrevano solo di Entebbe: uno dei giornalisti ospiti, un noto pacifista, disse a Peres: « Manderei subito l'esercito!» . Subito Peres e il generale Gazit gli spiegarono che era un'idea del tutto irrealistica. Il commando atterrò al buio, occupò l'aereoporto, ingaggiò una battaglia con i soldati di Idi Amin e finalmente liberò sparando ai terroristi gli ostaggi increduli, ammassati in un capannone. Si gettarono per terra quando un altoparlante gridò : « Questo è l'esercito israeliano, state giù » . Joni, che aveva guidato gli uomini all'attacco fu caricato sull'aereo, ferito. Gli sforzi per salvarlo durarono alcune ore, frenetici, sin dal decollo. Giunse morto in Israele. I terroristi furono uccisi. Tutti gli ostaggi vennero salvati: Tutti fuorchè una signora di ottant'anni che fu eliminata a sangue freddo, alla notizia dell'incursione, dagli uomini di Amin.

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