Il viaggio di Pompeo e la dottrina Trump. Caccia alla pace con i Paesi musulmani
domenica 22 novembre 2020 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 22 novembre 2020
Dieci giorni di corsa, il titolo del viaggio "antiterrorismo e libertà religiosa": e lui lo intende davvero così. È così facile, logico, ragionevole, ha ripetuto tranquillo Mike Pompeo, fino a giovedì in Israele bombardato di domande dai giornalisti, sospettato di essere un colonialista, un imperialista, insomma, l'emissario di Trump. In realtà è un uomo con una missione, il suo largo viso energico è paesano, da abruzzese di Pacentro come i suoi nonni. Indossa un tocco di orgoglio militare, costruito da capitano a West Point, e di astuzia, da laureato ad Harvard in giurisprudenza. A pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, Pompeo ne ha speso dieci in un giro che ha compreso la Francia, la Turchia, la Georgia, Israele, gli Emirati Arabi Uniti, e il Qatar.
Il giro di Pompeo ha voluto disegnare un tracciato, una dottrina: ai nemici di Trump la sua politica estera è apparsa destrutturante e provocatoria, e invece con questo viaggio, di radicarsi nel futuro degli Stati Uniti, e, da subito, nella politica di Biden. Così i continui richiami alla pericolosità dell'Iran e alla necessità di bloccarne l'imperialismo, la corsa alla bomba atomica, la violazione dei diritti umani. Così l'oramai condivisa sospettosità verso la Cina.
Nel suo viaggio Pompeo ha incontrato Macron per dimostrargli la disponibilità a combattere al suo fianco il terrorismo, l'ISIS e le incursioni iraniane, e non c'è dubbio che non gli mancano gli argomenti, l'eliminazione di Qasem Soleimani l'ha visto in prima fila; in Turchia non ha incontrato Erdogan, ma il patriarca ortodosso; intanto inaugurava un nuovo rapporto militare con la Grecia, stabilendo da che parte stanno gli USA nel Mediterraneo orientale; poi a Tbilisi ricordava che la Russia ha sempre di fronte un contendente mondiale del peso degli USA; ed ecco il Medio Oriente, dove Pompeo con Trump ha portato un'innovazione formidabile, quella che tutti cercano, la pace con alcuni Paesi islamici dell'area, il segnale che anche l'Islam può accogliere altre religioni accanto a sé, persino a Gerusalemme. I Paesi arabi vogliono questa pace, Pompeo l'ha ribadito, anche dicendo la verità, senza fingere di credere che Israele sia un aggressore mentre è stato aggredito fin dal 1948, via via fino a quel fatale '67, data di occupazione dei Territori.
Bevendo un po’ di vino di Psagot, nella zona di Benjamina, dove appunto una delle dodici tribù, quella di Binjamin, già risiedeva più di duemila anni fa, Pompeo ha ribadito quello che tutti sanno: l'accordo di Oslo ha diviso i territori del ‘67 in tre zone, la zona C è stata affidata a Israele, Rabin e Arafat hanno firmato quell'Accordo, il vino di quell'area è israeliano, togliete le etichette del BDS, che sono semplicemente antisemite. Letteralmente censurato dai media di tutto il mondo intero, ha ribadito poi che invece i prodotti delle altre aree, A e B, una palestinese, l'altra in comune gestione, devono avere le etichette della loro zona: "West Bank". Un sorso di realtà che cancelli la forzatura per cui i palestinesi esigono che ogni trattativa parta dalla loro conclusione, quella di essere i padroni di una zona occupata dalla Giordania finchè la guerra di difesa del '67 non l'ha rimessa in un gioco internazionale in cui l'Unione Europea e l'ONU, con le loro ,maggioranze automatiche, sostengono l' illegalità della posizione israeliana.