IL VERTICE ARABO AD AMMAN BACI E COLTELLI
lunedì 26 marzo 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
IN un film a colori di kefiah rosse bianche e nere, divise militari,
galabjah e doppiopetti comincia domani a Amman il vertice della Lega
Araba,
un mondo veramente speciale a cui il resto delle nazioni occidentali
e
orientali, del Nord e del Sud del globo, che ogni giorno hanno a che
fare
con i problemi della democrazia e dell'economia globale, non può che
guardare sempre con un misto di tesa aspettativa e di stupore.
Stavolta poi
quello che può uscire dal summit dei leader di tutte queste autarchie
militari, religiose, dinastiche, civili è di importanza strategica
fondamentale.
I due problemi che essi fronteggiano post mortem del processo di pace
sono:
quale appoggio dare alla Intifada di Al Aqsa; se appoggiare lo sforzo
di
riabilitazione di Saddam Hussein. C'è un giocatore nascosto in questo
incontro, ed è il nuovo presidente degli Stati Uniti George Bush, che
incontrerà nei prossimi giorni sia il re di Giordania Abdullah sia
Mubarak,
il presidente egiziano. Di fatto, il fronte moderato è costituito da
questi
due Stati, con un qualche aiuto dell'Arabia Saudita che non ha
mandato
personaggi di primo piano al summit. Non vuole essere responsabile
della
rimessa in circolazione del rais arabo il cui arsenale di armi non
convenzionali sta crescendo a vista d'occhio e a cui Bush guarda
fisso.
Anche Abdullah e Mubarak ricevono forti aiuti da un'America che ha
già
mandato a dire al Medio Oriente: « Non intendiamo intervenire, ma non
tollero
i mestatori» . Bush ha avvertito anche Sharon. Arafat, in queste ore
che
precedono il summit, fa di tutto per suscitare una grande ondata di
scontri
che convinca gli arabi a fornirgli l'appoggio strategico ed economico
che il
summit del Cairo invece non gli diede. La Siria si propone come
grande
mallevadore dell'escalation, incitando a un'Intifada totale,
spingendo
Saddam, e spingendo (con la Libia, il Sudan, l'Iran) all'isolamento
totale
di Israele; ma di nuovo il fronte moderato non vuole.
Per dare un segnale di calma, ormai non bastano le mezze parole.
Forse
dovrebbero cambiare tono le doverose solidarietà incendiarie, cessare
i baci
tanto comuni nel Medio Oriente accoltellatore. Amr Mussa, il ministro
degli
Esteri egiziano che sarà da adesso il nuovo segretario generale della
Lega,
circondato in questi giorni da un coro di media egiziani che spandono
veleno
antisemita e antioccidentale, già non rinuncia nelle interviste a un
tono
duro, guerriero. C'è da chiedersi dov'è scritto che per essere un
leader
arabo ce ne sia tanto bisogno. Un antico e navigato diplomatico come
Moussa
non potrebbe usare questa occasione per pilotare una fra le più colte
e
prestigiose civiltà della storia del mondo fuori dalla dinamica della
vittima che cerca un'indennizzo, e fare infine politica?