IL VENTI PER CENTO DELLA POPOLAZIONE DIVENTA UNA POTENZIALE MINACCIA Il terrorismo degli arabi di casa nuovo fronte interno di Israele
lunedì 10 settembre 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ISRAELE è diventato un campo di mine innescate: chi ci cammina,
ovvero chi
semplicemente ci vive, chi si avventura a viaggiare per la strada in
macchina, oppure va in un negozio, oppure compie l'incredibile
audacia di
mangiare in un ristorante, lo fa a suo rischio e pericolo. Gli scoppi
sono
un rombo continuo di fondo e la giornata di ieri è stata vissuta come
un
altro anello nell'escalation del non ritorno. Di fatto vi è qualcosa
di
diverso nel contenuto politico delle bombe di ieri, qualcosa che
porta i
segni, proprio nelle ore in cui la diplomazia stava preparando
l'incontro
Peres-Arafat, di un ulteriore peggioramento delle cose.
Gli ultimi cinque morti e 81 feriti prima di tutto sono stati
sacrificati ai
quattro angoli di Israele: diciamo che il terrorismo ha mostrato una
potenza
di fuoco varia (suicidi, bombe) dislocata geograficamente per ogni
dove, e
molto differenziata ideologicamente. Gli attentati sono rivendicati
da
Hamas, dalla Jihad islamica, persino, sembra, per la prima volta, dal
Fronte
Democratico della Palestina, un'organizzazione neomarxista che non ha
niente
a che fare con l'ideologia dello « Shahid» , il martire suicida,
islamico. Uno
degli attentatori sembra provenire dal Libano con l'aiuto degli
hezbollah.
Infine, e certo questo è il punto più importante, l'attentato più
sanguinoso
è stato compiuto da un arabo israeliano.
Questa minoranza all'inizio dell'Intifada aveva avuto tredici uccisi
nel
corso di dimostrazioni che erano di sostanziale solidarietà con
Arafat e ha
quindi coltivato sentimenti sempre più antagonisti nei confronti di
Israele.
I deputati eletti dal venti per cento della popolazione (a tanto
ammontano
gli arabi israeliani) alla Knesset non hanno perso l'occasione di
ribadire,
anche in termini molto aspri e in seno allo stesso Parlamento
israeliano, la
solidarietà con i loro fratelli palestinesi; tutti i problemi di
discriminazione e di povertà sono improvvisamente diventati parte
della
lotta nazionale e religiosa in corso. Non soltanto: da settembre in
poi non
poche volte l’ autista o il punto d'appoggio dei terroristi
provenienti
dall'Autonomia Palestinese è stato un arabo israeliano. Mai nessuno,
però ,
aveva scelto personalmente la strada della cintura di candelotti.
La novità di ieri promette tempi ancora più duri per Israele:
l'attentato è
stato il primo, ma non sarà certo l'unico. La strada è aperta per
motivi
ideologici e tecnici: la migliore conoscenza del terreno, oltre a una
grande
facilità a muoversi legata al fatto che non si possono fare nei
confronti
dei cittadini israeliani blocchi di controllo come agli incerti
confini
dell'Autonomia, moltiplica per mille la possibilità degli attentati.
Un altro elemento di escalation è rappresentato dal profilo del
terrorista
diverso dal solito: Haj Shaker Hebeishi, 55 anni, marito di due
mogli, padre
di numerosa prole, proprietario di un negozio di materiali da
costruzioni,
candidato per il consiglio comunale. Insomma un insospettabile. Il
lavoro
della polizia diventa impossibile. L'arma del terrorismo suicida
evidentemente è ormai considerata legittima da quasi tutto il campo
arabo
palestinese e da un'importante appendice arabo israliana. Ieri la
portavoce
palestinee Hanan Ashrawi ha detto: « Sharon capisce solo il linguaggio
della
forza» . E non ha aggiunto una parola di dispiacere per l'accaduto,
mentre i
vari portavoce di Hamas parlavano alla tv del « diritto al terrorismo» .
Di condanne, di rincrescimento, nessuna traccia. Il gabinetto di
Ariel
Sharon è spaccato: da una parte c'è il partito della « risposta
automatica» ,
come quella dei missili su Ramallah, rappresaglie quasi proforma che
puntano
su edifici vuoti, mentre continua la caccia ai colpevoli - diretta e
personale - che si concretizza in operazioni di eliminazione. E c'è
il
partito di Shimon Peres: niente rappresaglie, solo trattativa.
Per ora sembra invece che la strategia di Arafat sia di cercare di
indurre
Sharon a una reazione di Sharon più forte delle solite e arrivare
così
all'incontro con Peres avendo dalla sua la solidarietà
internazionale.
Questo significa che Arafat ha indotto le azioni terroristiche di
ieri?
Quasi certamente non in maniera diretta. Non condanna, non si
dispiace, ma
non plaude. Si può pensare che il campo del terrore utilizzi una
generica
luce verde intermittente, che in certi giorni cruciali si spenge. In
questo
momento è ben visibile e brillante: gli uomini del terrore non hanno
da
temere nessuna punizione all'interno del loro campo, come invece è
accaduto
efficacemente in altri momenti. E sempre di più si dà fuoco alla
miccia di
un'opinione pubblica araba estrema che si è mostrata a Durban e di
cui
adesso far parte è « politically correct» persino per gli egiziani,
generalmente cauti con i movimenti islamici. Se tutti continuano a
giustificare la violenza, la violenza rischia di dare fuoco, ormai, a
tutto
il Medio Oriente.