Il terrorismo esiste da anni, eppure non lo si vuole riconoscere
sabato 1 novembre 2014 Generico 0 commenti
Shalom.it, novembre 2014 John Kerry ha fantasticato, per poi dichiararsi pentito, sul possibile nesso fra il conflitto israelo-palestinese e il terrore dell'ISIS. E le fantasie di un ministro degli Esteri americano hanno il loro peso. In questo caso, Kerry ha fatto un bel regalo ai terroristi, ha commesso un'imprudenza senza logica e senza ragione. Non si è accorto che il terrorismo dell'ISIS va dalla Siria all'Iraq, dall'Afghanistan allo Yemen, dalla Nigeria alla Libia, che il suo programma è la conquista del mondo a un califfato islamico, in cui Israele è solo un pezzetto della Ummah islamica da annettere al califfato. Che questo abbia a che fare qualcosa col problema politico di Israele e Palestina ogni mente normale vede che non c'entra niente. Se qualcuno chiedesse se gli piace la formula "due stati per due popoli" a Abu Bakhr al Baghdadi, il leader dei tagliateste, gli indurrebbe una crisi di riso. Ciò che desta più stupore è che anche Tzipi Livni sia caduta preda della stessa allucinazione di Kerry: “La questione Isis non si risolve, ha detto, senza affrontare il problema palestinese". Boh? Quale dei problemi è rilevante per Isis rispetto a questa questione?
Quello della sparizione di Israele, suppongo, e di tutti gli ebrei, ma non subito: si capisce che oggi sono più rilevanti le altre battaglie in corso, le teste da tagliare, i confini dello Stato islamico da allargare, la vittoria in Siria e in Iraq. In realtà la difficoltà di sciogliere ambedue questi nodi, e non essi soltanto, è purtroppo legata all'araba fenice del terrorismo, e non c'è nessun altro nesso sul campo. Si tratta di risolvere due casi di terrorismo, uno legato a un tema più religioso, l'altro religioso-territoriale. Per il resto, solo pensare che la conquista del Califfato Universale sia condizionata al conflitto israelo-palestinese, ovvero che se quest'ultimo trovasse una soluzione allora le bandiere nere smetterebbero di sventolare, ha qualcosa di patetico.
In questa misera proposizione dobbiamo tuttavia riconoscere un importante stimolo intellettuale: è ora di identificare che cosa sia il terrorismo, di darne una definizione internazionale, di imparare a combatterlo. L'occidente non sa, non può vedere il terrorismo. La mente occidentale si perde e si confonde quando vediamo atti di terrore nonostante siano secoli che infesta il nostro territorio, l'Europa. Esso non ha avuto sempre la stessa faccia, anzi, si è modificato sensibilmente a partire dagli anni ‘70. Prima, nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo il terrorismo ha avuto un aspetto più mirato, personalistico, persino romantico, anche se non certo per le povere vittime. Le Brigate Rosse miravano a personaggi, naturalmente innocenti, ma che erano chiaramente identificabili, per il loro ruolo, il loro mestiere, la loro posizione socio-intellettuale con il sistema da loro odiato. Giudici, generali, banchieri, poliziotti, sindacalisti, politici, tutti portavano il segno della loro folle ossessione, la distruzione del capitalismo.
Nel passato anche i rivoluzionari russi e i patrioti irlandesi avevano mirato a chi odiavano, e non avevano teso, come oggi, a terrorizzare indiscriminatamente il passeggero dell'autobus, il giornalista, l'avventore. Al loro tempo, russi e irlandesi potevano lamentare la miseria della loro condizione di oppressi, la miseria delle masse che i giovani con atti di terrorismo affermavano di volerle liberare. Non erano né di destra né di sinistra: i terroristi russi non furono seguiti dai rivoluzionari alla Lenin, più simpatia ebbe la sinistra, anche recentemente, per gli irlandesi, ma rimase aperto un dibattito sui mezzi usati. Marx e Engels condannarono l'uso del terrore. I giovani idealisti terroristi tuttavia erano ammirati per il loro coraggio, i loro obiettivi erano chiari. Questo ha influenzato la confusione sul terrorismo anche islamista e contemporaneo. I terroristi diventarono "Compagni che sbagliano". Dopo la seconda guerra mondiale il terrorismo indossò vesti estreme di ogni tipo: gli assassini di Walter Rathenau nel 1922 erano i precursori del movimento nazista ma molto più avanti ne abbiamo visti tanti comunisti, come appunto le BR o la banda Baader Mainhof. Nel secolo scorso cominciò a diventare difficile capire se il terrorismo era di destra o di sinistra e presto il terrorismo etnico e religioso sopravanzò quello comunista o fascista, o nazionalista, e ruppe tutti gli schemi.
Nessuno infatti fu più in grado di stabilire se all'origine, come i terroristi proclamavano, c'era una condizione umana e sociale intollerabile, se si stava cercando di colpire un tiranno o solo un nemico (ci furono pochissimi tentativi di uccidere Hitler e Mussolini, e nessuno di colpire Stalin). Non furono i regimi totalitari a essere attaccati ma i loro successori: lo racconta Walter Laqueur, il migliore analista del terrore, parlando della Spagna, dei Paesi Baschi, di Grecia, Germania, Italia. Qui il terrorismo arrivò dopo la fine dei regimi, non contro i regimi. Il terrorismo dunque, ha spesso tentato di presentarsi come reazione alla cattiveria umana, ma non è mai vero: anche la povertà non presenta un nesso evidente col terrore, moltissimi dei terroristi musulmani contemporanei sono cresciuti in ambienti che hanno consentito loro di emanciparsi e studiare, sia nei loro luoghi di origine (pensiamo a Bin Laden, di una ricca famiglia saudita) che nelle terre di emigrazione (Ahmed Sheikh, assassino di Daniel Peral, nato a Londra ricco e colto). I nostri terroristi italiani, tedeschi, sono in genere appartenenti alla classe media.
Più avanti, il quadro si fa del tutto evidente quando si va al terrorismo islamista contemporaneo nel suo insieme, molto più che una pulsione sociale: l'islamista terrorista si vede come l'eroe del nostro tempo, combattente per una società nuova, le pulsioni evidenti sono quella religiosa e psicologica, la ricerca dell'avventura, il fascino della vita del tempo vittorioso di Maometto, il misticismo da film di cappa e spada del travestimento, le bandiere, i mitra, le scimitarre, i pick up, i cavalli, le bandiere nere al vento, il terrore dipinto sul volto della loro prossima vittima. Lo stesso vale per i terroristi palestinesi, la fascia verde intorno alla testa, le adunate di massa, l'illusione che il nemico terrorizzato da tanta determinazione scapperà come un coniglio di fronte alla potenza virile della rivoluzione terrorista di massa di Hamas, l'esaltazione dei cortei che in Europa inneggiano contro ogni logica a Gaza e gridano morte agli ebrei.
C'è nella scelta terrorista un poderoso elemento irrazionale che viene tuttavia nutrito, è inutile illudersi, da credenze religiose e anche da idee molto moderne, idee "verdi" di vita "secondo natura". Piace al nuovo selvaggio che odia il consumismo e i costumi corrotti occidentali la ferocia intrinseca nell'Islam primigenio, quello delle armate a cavallo di Maometto che conquistano il mondo nel VII secolo, quello dell'applicazione diretta e spietata della sharia, la legge coranica: teste tagliate, nessuna pietà per i traditori e gli infedeli che per loro colpa si frappongono fra i musulmani e il disegno di purificare il mondo col califfato, mani mozzate, donne rapite, vendute, stuprate. Sul giornale dell'ISIS c'è persino una spiegazione teologica di questa schiavitù sessuale inflitta alle poverine: tenendole soggette e miserande si evita, tramite l'uso legale della donna (perché è ammesso secondo loro prendere una schiava sessuale), di tradire la moglie o le mogli con amanti, proibite dalla sharia. L'odierno terrorismo è larghissimo territorialmente, indiscriminato negli obiettivi, il reclutamento molto vasto e soddisfacente da Parigi a Londra. Le risorse del moderno terrorismo sono enormi, lo si ottiene con rapimenti e petrolio, ma soprattutto il Qatar è uno degli stati che fornisce fondi senza fine; per anni ha ospitato Hamas a casa sua, e quanto all'ISIS benché faccia parte della coalizione che dovrebbe batterlo, molti analisti lo ritengono, con la Turchia (anch'essa parte della coalizione) di fatto simpatetici verso il movimento che, come piace al Qatar, è sunnita e destabilizzante abbastanza da creare spazi allo staterello che ha dalla sua petrolio e Al Jazeera, con sede a Doha. Mai si è trovata una definizione chiara di terrorismo, perché "il tuo terrorista può essere il mio combattente per la libertà", perché gli organismi internazionali sono di fatto governati da maggioranza islamiche e terzomondiste, perché la questione degli obiettivi è molto controversa: una bomba che fa saltare per aria duecento soldati americani a riposo in caserma in Libano (Hezbollah), non è un terrorista perché a essere colpiti sono soldati, e non civili? Difficile davvero stabilire che si tratta di un attacco legittimo. Per Hamas poi, ogni neonato israeliano è un soldato di domani, e quindi un obiettivo legittimo, anche se poi il suo statuto rivela che di fatto è un obiettivo legittimo perché è ebreo, e la sua Carta stabilisce che bisogna uccidere tutti gli ebrei. Il fatto è che l'immensa guerra senza definizione di cui siamo di fatto l'oggetto è irriconoscibile ai nostri occhi confusi e spaventati. Intanto cerchiamo di evitare di avere a che fare col tema "Islam", per paura che questo ci collochi su un fronte razzista islamofobico.
Quando Obama dichiara, dopo l'ennesima decapitazione, che è chiaro che il problema non è l'Islam, semplicemente mette il mondo su una pista sbagliata, e di conseguenza non trova le strategie corrette. Siamo inondati di bugie in questa guerra contro il terrore: vogliamo pensare che la Turchia sia un ottimo alleato, che l'Iran ci può dare una mano mentre gli ayatollah sono la maggiore fonte di terrorismo mondiale, con l'aiuto degli hezbollah. La politica poi costringe a passi addirittura controproducenti: venerdì 24 ottobre un giovane palestinese è stato ucciso dalla polizia mentre lanciava bombe molotov, non caramelle, sui passanti a Gerusalemme. L'amministrazione Obama ha fatto sapere che "esprime le sue più sentite condoglianze alla famiglia". Un giornalista, Matt Lee dell'AP ha chiesto al suo portavoce Jen Psaki se fosse appropriato porgere le condoglianze del presidente americano a un uomo ucciso mentre stava portando un attacco violento a civili. "Il fatto che stesse lanciando bombe molotov non ne fa un terrorista, come dice l'amministrazione israeliana?", ha chiesto Lee, "non siete d'accordo con questo?". Psaki ha risposto misteriosamente: "No non lo siamo".
Il giornalista ha insistito sul fatto che il giovane era stato seppellito con la fascia verde di Hamas, ma Psaki ha detto che non aveva niente da aggiungere. E' una presa di posizione irresponsabile, che alla fine nega ogni protezione internazionale contro il terrorismo nel momento che essa è invece necessaria in tutto il mondo. Le conseguenze politiche di questo mancato riconoscimento dell'esistenza del terrore, la sua vaghezza nella definizione devono essere prese di petto una volta per sempre. Prendiamo l'ultimo caso a Gerusalemme; un giovane si butta con la sua auto su un gruppo di cittadini che scendono dal tram, li schiaccia percorrendo tutta la pensilina, uccide una neonata, ferisce sette persone, di cui una è poi morta, una bella ragazza che aveva solo la colpa di esser scesa dal tram.
Un film che mostra l'auto che si avventa sui passanti non lascia l'ombra di dubbio sulla determinazione a uccidere: il terrorista arriva a tutta velocità e anzi accelera sul corpo delle persone. Il giovane terrorista è stato ucciso. Gerusalemme est si è riempita di manifesti col viso dello "Shahid" il martire rivendicato come tale nella sua guerra contro gli ebrei, Hamas e la Jihad lo esaltano come jihadista eroico. Intanto la sua famiglia, che issa la bandiera di Hamas sulla casa, sostiene tuttavia che si è trattato di un incidente automobilistico in modo da accusare Israele di assassinio, e questo mentre si dava vita a una manifestazione di esaltazione dell'atto eroico di terrore. E’ il solito doppio sistema palestinese, da una parte terrorista e in ogni sua parte dedito alla criminalizzazione di Israele, dall'altra assecondato nel giocare la carta della disponibilità alla trattativa, in realtà negata ad ogni tentativo.
Il risultato è di nuovo devastante: come può Israele fidarsi e cedere territori a Gerusalemme, o poco lontano dall'aeroporto, ovunque si possa prevedere un pericolo decisivo alla sicurezza? E' certamente una domanda molto semplice e diretta, ma ci parla in modo altrettanto diretto del terrorismo per quello che è: un' arma micidiale che non può essere placata politicamente. L'errore è pensare che si tratti di un problema di povertà, di disagio, di oppressione, niente di tutto questo. Qui sta il nesso fra Isis e terrore palestinese. E non è certo quello fra soluzione dell'uno e dell'altro problema, per carità: c'è un elemento imperialista, razzista, totalitario nell'uno e nell'altro, un rifiuto di condividere, la verità sta da un parte sola per diritto divino.