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IL SUO POTENZIALE ELETTORATO TROPPO SICURO DI AVER GIA’ IN MANO IL GO VERNO Per Kadima il rischio è l’ astensionismo

lunedì 27 marzo 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein Con tutto quello che capita in Israele ogni giorno, appare strano che lo sbadiglio sia l’ insegna della campagna elettorale che si conclude in queste ore; che sia il presidente della Repubblica Moshè Kazav sia il primo ministro incaricato Ehud Olmert si preoccupino soprattutto di invitare pressantemente il popolo a esercitare domani il proprio diritto al voto. Eppure è così . Che diamine, ha detto il presidente ci sono una trentina di liste per meno di sei milioni di elettori, ce ne sarà pure una che vi piace. Andate a votare. Ma la minaccia di astensionismo seguita a sussistere alta: alle elezioni precedenti circa il 75% degli aventi diritto andò alle urne; stavolta, secondo le previsioni, si potrebbe toccare il 60. Chi potrebbe beneficiare e chi venire danneggiato da questa tendenza, e perché succede? « Kadima» è il più spaventato dall’ astensionismo. Perché il suo pubblico va a votare fischiettando, con il fatalismo di chi ha avuta la testa tagliata via da un ictus devastante, e la vittoria di Hamas per contentino; e anche, con la rischiosa sicurezza di chi ha già vinto. Se guardiamo lo spettro politico in lizza, vediamo in primo piano tre partiti, Kadima, partito centrista fondato da Sharon e oggi passato alla leadership di Ehud Olmert, che nonostante nei giorni scorsi sia calato un poco nel consenso popolare, è attestato intorno ai 33-35 seggi. Subito dopo viene il partito laburista, l’ Avodà , che sta intorno al 20 e che è guidato, invece che dai suoi antichi pilastri ideologici alla Shimon Peres, da un sindacalista sefardita populista, Amir Peretz. E’ debole nonostante la sua battaglia sociale sia ben motivata, data la miseria in Israele. Alla fine, un po' cresciuto nei consensi popolari e soprattutto ringalluzzito dalla speranza del fronte nazionalista e religioso, rinfocolatasi da poco, di arrivare a comporre una maggioranza che strappi il governo a Kadima e ai suoi alleati con 56 seggi complessivi, il Likud di Bibi Netanyahu: anche lui va per i venti. Ma alcuni sondaggi promettono la sopresa del partitino di Yvette Lieberman, che propone lo scambio tra villaggi arabo-israeliani e insediamenti. Le posizioni specialmente di Olmert e dei suoi alleati e quella di Netanyahu sono distanti sulla questione territoriale, perché Olmert vuole attuare un grande sgombero in Cisgiordania e invece Netanyahu gli chiede se è pazzo a voler affidare una vasta porzione di territorio a Hamas. Nel frattempo, oltretutto, l’ unico fronte attivo è quello del terrorismo. Il fatto è che la contrapposizione fra Likud e Kadima non galvanizza, e la sfida di sinistra non esiste perché siamo di fronte a un’ evoluzione ideologica, che esclude per la prima volta nella storia alcuni « lied» fondamentali della politica di Israele. In realtà , per esempio, lo scontro fra Bibi e Ehud Olmert non si svolge sulla sacralità della terra, sui confini naturali della patria ebraica, sul dovere morale di difendere la Giudea e la Samaria o invece di promuovere la sovranità nazionale palestinese, come ai tempi di Pace Adesso contro i movimenti religioso-nazionalisti degli anni di Oslo. Il vero scontro avviene su come ci si difende meglio dal terrorismo; e se Olmert pensa che sia meglio la separazione che la dominazione, invece Bibi crede che sia meglio evitare di far regali a Hamas con sgomberi ulteriori dopo quello, mal riuscito, di Gaza. Si tratta di una questione pratica, terribile, fatale, ma non straziante come quella sui confini della patria ebraica. Inoltre, lo scontro fra religiosi e laici, da quando si è spappolato il partito Shinui, che era lo scudo di difesa del laicismo israeliano, quasi non sussiste. E la contrapposizione sefarditi-ashkenaziti e assai diminuita. Così viene a mancare un altro elemento davvero cogente nella storia di Israele, la sua questione meridionale. E soprattutto l’ idea di Sharon di attuare uno sgombero unilaterale, di separarsi per restare democratici e quieti, oggi è vincente, giusta o sbagliata che sia. Riflette il sistema politico d’ Israele, la necessità del consenso internazionale, la spossatezza del cittadino della società del benessere di fronte a una guerra continua. Separiamoci, pensa il normale cittadino israeliano come dimostrano le indagini, diamogli una parte di Gerusalemme, cerchiamo di vederci e di scontrarci il meno possibile, noi non vogliamo dominarvi con le armi, cercheremo di evitare che ci uccidiate. E’ una mentalità giusta? Ci sono molti rischi che non funzioni, che Hamas veda la vittoria di Olmert, che pure è determinatissimo a non avere niente a che fare col suo governo, come una resa e un’ ulteriore fase di conquista armi in pugno, come ha visto l’ uscita da Gaza. Per questo Netanyahu spera che piova, che il cittadino medio stia a casa, che vadano alle urne solo quelli che Olmert ha dichiarato di non voler nella sua coalizione (« Prenderò con me solo chi è pronto all’ uscita unilaterale» ). Ma in Israele questa stagione non è tanto piovosa.

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