IL SOGNO INFRANTO DELLA MINORANZA INTEGRATA Un nuovo fronte per Isr aele l’ odio dei concittadini arabi
lunedì 2 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
DA stamani qua sotto, nel villaggio di Sharafat, un sobborgo di
Gerusalemme, all'emporio arabo dove tanti ebrei fanno la spesa specie
sabato
quando tutti i negozi sono chiusi, la hamula che con tanti fratelli e
figli
gestisce il grande emporio di frutta e pane fa meno sorrisi ai
clienti che a
loro volta entrano solo quando hanno verificato che ci sia un buon
gruppo di
israeliani all'interno: « E’ chiaro che per gli israeliani non c'è
niente da
fare: qui ci sono stati i turchi, poi gli inglesi...Tutti se ne sono
dovuti
andare e così sarà anche con gli ebrei. Non lo dico per cattiveria» .
Nel suo
villaggio intrecciato con il quartiere residenziale di Gerusalemme
Ghilò
sorge una linda scuola di Hamas.
Se la rivolta arabo-israeliana di queste ore continua, la gente si
troverà
minuto per minuto in situazioni di frizione continua e non solo a
parole:
gli arabi israeliani, un milione e duecentomila abitanti su sei
milioni
circa di cittadini, con otto deputati eletti al parlamento più
quattro
drusi, sono presenti nella vita di ciascuno, minuto per minuto.
Lavorano nel
settore delle costruzioni, operai e artigiani che sanno scolpire i
lavori
tradizionali in pietra come nessuno: chiunque abbia oggi una casa in
costruzione può essere esposto a episodi di boicottaggio, come quello
più
comune del cemento nei tubi dell'acqua. Alle pompe di benzina, alcuni
lavoratori possono prendere esempio dai loro concittadini che nei
pressi di
Nazareth hanno dato oggi fuoco a un'automobile.
Nei giardini pubblici dove spesso i bambini arabi e israeliani
giocano
insieme, una delle poche occasioni di incontro intimo fra i due
gruppi
etnici, certamente le mamme israeliane non oseranno più andare da
sole o
mandare la baby sitter col figlio. Un altro punto di incontro e
frizione
sono gli autobus, perché le fermate sono consueti luoghi di attacco:
mentre
meno te l'aspetti, una macchina può travolgerti, come è capitato due
anni
fa, e sono comuni gli episodi di accoltellamento.
La Città Vecchia di Gerusalemme non è in questi giorni un luogo in
cui sia
possibile passeggiare. Le gite al nord, in Galilea, diventano un
orizzonte
proibito, il rapporto con lavoratori arabi, fra le mura di casa, nei
negozi
arabi dove si entra solo quando si è in compagnia, nelle strade dove
si
evitano i marciapiedi bui o le zone come Talpiot a Gerusalemme dove
si
tirano pietre, tutto quello che in genere è vita quotidiana, diventa
paura.
E la paura non è buona consigliera: si può trasformare in fobia, può
indurre
a fantasticare misure di sicurezza per esempio negli ospedali , dove
i
malati israeliani ebrei e arabo israeliani vivono la degenza un letto
accanto all'altro, o nelle cliniche ginecologiche, dove le donne
partoriscono insieme, e si vedono vicine nei corridoi, che allattano
sedute,
le puerpere con il fazzoletto bianco delle mussulmane insieme alle
ebree
religiose o alle mamme moderne.
Il mondo arabo israeliano, che ha sempre rivendicato una vita
paritaria,
laddove invece soffre di indubbie discriminazioni, ma che non fa il
servizio
militare e mostra anzi sempre di tenere per la sua parte
etnico-religiosa,
ha sempre mostrato tuttavia di tenere molto ad appartenere al mondo
democratico israeliano, dove si scelgono i propri rappresentanti e si
ha il
diritto di controllarli, rimuoverli, di rivolgersi a un'autorità
giudiziaria
sicura e affidabile. Gli arabi israliani non hanno mai mostrato
particolare
desiderio,anche se tengono molto alla causa palestinese, di entrare a
far
parte di un modno autocratico come quello di Arafat.
E tuttavia la rabbia di uno stato inferiore socialmente, in cui la
loro
cultura è secondaria rispetto a quella ebraica, il sionismo impone
loro un
inno e una ideologia che non li contempla, periodicamente li scatena
in
piazza con a fianco i loro rappresentai alla knesset israeliana .
Stavolta
proclamano la loro fedeltà alla Moschea di Al Aqsa, il loro desiderio
di
vederla consegnata ad Arafat, a percepirla come dominio dell'Islam,
cui
negli ultimi anni molti arabi israeliani, come del resto molti
palestinesi,
sono tornati. Chiamarli arabi israeliani in questi giorni non è per
loro,
politicamente corretto: essi si sentono « palestinesi con passaporto
israeliano» .
E gli israeliani li vedono dunque per come essi si mostrano in queste
ore:
un vicino, e anche un concittadino che tuttavia risulta carico di
un'immensa
carica di senso di rivincita e di solidarietà per la parte avversa.
Quando
adesso si incontrano all'angolo della strada, in un negozio,
sull'autobus
non possono che guardarsi con paura. In piena notte, qua sotto, o
all'alba
nel villaggio di Sharafat il mufti grida al microfono della Moschea.
Diffile
immaginarsi che dica parole amichevoli per gli israeliani.