IL SOGNO DI UNA PACE All’ora di cena la voce del Nemico
sabato 23 gennaio 1993 La Stampa 0 commenti
LENTAMENTE, i sogni dei bambini cambieranno; la paura, l’immaginario
collettivo israeliano del nemico si faranno nemico in carne ed ossa.
Quella voce che giovedì dalla radio e dalla televisione israeliana
si rivolgeva alla popolazione era proprio la voce che per legge fino
a qualche giorno fa non poteva essere ascoltata in un colloquio
diretto pena la prigione, e a cui (per una legge decaduta da due
giorni per il coraggio del governo Rabin) non si sarebbe mai dovuto
opporre altro che il silenzio. Era la voce dell’idea stessa di
nemico, la voce del capo supremo dell’Olp Yasser Arafat. E chi sa che
cosa siano le hadashot, le notizie per gli israeliani, e che cosa sia
Arafat nella coscienza del popolo d’Israele, non può non sentire
tutt’intera una rottura storica e conoscitiva nel fatto che Kol
Israel, la Voce d’Israele, abbia irradiato da Gerusalemme a tutta la
popolazione un messaggio di pace del capo dell’Olp. La radio e la
televisione israeliani non hanno niente a che fare con le nostre:
intrattenimento e film sono soltanto un comma del tutto secondario di
uno strumento necessario, che a ogni ora ti dice se c’è pace o c’è
guerra, che ti porta notizie spesso tragiche sui figli tuoi e dei
tuoi vicini. Ascoltare le notizie è un’attività primaria, per la
quale si smette d’un tratto di mangiare, di lavorare, di fare
l’amore, di dormire. Arafat che parlava direttamente agli ebrei è
stato dunque di certo ascoltato da tutti quanti, capillarmente; il
timbro della sua voce di essere umano è già andato ad infrangere
l’immagine paurosa di odiatore assassino di ebrei, ma anche di un
leader politicamente astuto ma sorpassato con cui il pensiero
collettivo israeliano si consola dalla paura. Per la festa di Purim
gli ebrei celebrano la sconfitta di Aman che ai tempi del re Assuero
di Persia voleva morti tutti gli ebrei; Amalek, il terribile
guerriero del deserto, era il suo diretto predecessore biblico
nell’odio antiebraico; poi ci provarono i Romani con la distruzione
di Gerusalemme nel 70 d.C. e l’imperatore Tito entrò nel mito
ebraico come successore di Aman; più tardi, attraverso numerosi
passaggi minori, è stata la volta di Hitler. Il metafisico
persecutore è una figura consolidata. Dai tempi della carta dell’Olp
che prometteva la cancellazione d’Israele e via via attraverso
l’attentato di Monaco giù per le strade crudeli del terrorismo
palestinese, l’immaginario collettivo israeliano aveva inserito
Arafat nella storia degli odiatori eterni ed assoluti di ebrei. Ed
anche quando i palestinesi si sono seduti a Madrid con gli emissari
di Shamir al tavolo delle trattative, pure gli israeliani hanno
pensato che Hanan Ashrawi, Sarin Nusseiba, Feisal Husseini, ovvero i
palestinesi dell’interno erano coloro con cui si poteva avere a che
fare come con degli esseri umani. Arafat, col suo sorriso da tigre
addomesticata, la piega stirata perfettamente nel mezzo della kefia
anche nei momenti più sanguinosi, era rimasto il simbolo della
paura, del male, dell’antisemitismo immobile nei millenni. Chi scrive
ha intervistato lungamente a Tunisi il capo dell’Olp, e il narrarlo
agli amici israeliani, intellettuali, politici, giornalisti di vaglio
desta sempre domande che un bambino farebbe parlando di un monstrum,
di un fenomeno misterioso: com’era fatto? Cosa mangia? Quant’è alto?
Insomma, è un uomo vero, in carne ed ossa? Quando l’estate scorsa
l’aereo di Arafat scomparve nel deserto e per qualche ora il capo
dell’Olp fu creduto morto, gli israeliani sentirono nell’evento un
qualche segno metafisico, come se la fine dell’odiato nemico
contenesse in sé un messaggio da fine dei tempi, forse un segno
dell’avanzata delle orde neointegraliste, o forse invece un segno di
pace. Quando si seppe che era sopravvissuto, quasi un respiro di
sollievo percorse il Paese. Il male non muore solo perché un aereo
cade, ci vuol altro. Altri sogghignarono: il vecchio arabo è così
furbo che ci ha imbrogliati tutti. Chissà che cosa ha veramente
combinato nelle ore in cui pareva morto. Forse era morto davvero,
dicevano i bambini alle maestre, e adesso è resuscitato. Quando la
Ashrawi lo abbracciò tra le lacrime al ritorno da Madrid, a molti
passò la fantasia che si trattasse di un leader dimenticato. Era ben
vivo ed era il simbolo che teneva insieme le più disparate correnti
dei palestinesi. E quando si è inopinatamente sposato con una
fanciulla di trent’anni più giovane di lui, anche gli israeliani gli
hanno dedicato qualche sorriso ironico e perfino un po’ pietoso. Il
signor Male Assoluto adesso ha parlato alla tv israeliana.
Bisognerebbe forse adesso che anche gli arabi dedicassero lo stesso
attonito stupore, lo stesso scontro di sentimenti di segno opposto
alla voce di Rabin, cessando così di immaginare l’ebreo solo come un
crudele soldato col mitra impugnato. E poi che i corpi in carne ed
ossa si toccassero. Un vero nemico non somiglia mai a Aman né a
Amalek. Fiamma Nirenstein