Fiamma Nirenstein Blog

IL RISCHIO DELLA PAURA

lunedì 4 marzo 1996 La Stampa 0 commenti
IL mondo appare lontano da Israele e dal Medio Oriente intero in queste ore. Il vento della storia è un turbine su Gerusalemme, sulla vicenda degli ebrei, e su quella dei popoli arabi; e la domanda che proviene da oltre il Mediterraneo e gli oceani è sempre la stessa: che ne sarà del processo di pace? Il cronista ne è subissato, ma la sua risposta non può che essere duplice. C'è una dimensione immediata e fenomenologica del processo di pace; essa include strette di mano, incontri fra uomini di buona volontà , lodevoli pressioni internazionali, spinte economiche assai rilevanti. Tutte queste cose fanno parte indelebile del panorama mediorientale che si è creato in questi ultimi tre anni. Niente, nel corso dei prossimi anni, potrà modificare nella sostanza la scoperta del piacere della pace. Agli occhi di Peres, benché egli oggi dica , balena tuttora il sogno di costruire un nuovo Medio Oriente; in Israele esso è già là , ha costruito in tre anni un tipo antropologico di cittadino, un paesaggio urbano, una cultura completamente nuovi e diversi. Lo sviluppo dei beni e della coscienza verso una buona vita dopo tanti anni di sacrifici, sono un'acquisizione cui neppure l'opposizione più agguerrita potrebbe ormai esplicitamente rinunciare. Infatti Benjamin Netanjau, il capo del Likud, va alle elezioni sulla stessa piattaforma basilare del partito laborista: la pace. Anche se, specie adesso, i toni si solleveranno di molti decibel sulle questioni che riguardano la sicurezza. Per Arafat si può più o meno dire lo stesso: seduto ormai a pieno titolo al tavolo della legittimazione internazionale, egli contempla dalla sua casa di fronte al mare, a Gaza, le nuove alte costruzioni che costeggiano di bel nuovo la linea costiera. S'è guadagnato col coraggio politico lo sviluppo economico, la stima dei potenti, ha donato ai palestinesi la realizzazione del loro sogno: oggi un territorio e un governo, domani uno Stato. Sono acquisizioni immense dopo tante stragi e tanto sangue, a cui nessuna delle due parti vorrà rinunciare. Chi si preoccupa per il processo di pace, potrà forse tremare nei prossimi giorni per le azioni che il governo israeliano o forse Arafat intraprenderanno contro Hamas, ma non vedrà la trama spezzarsi del tutto. Altro terreno, invece, è quello su cui si gioca la sorte degli ebrei e dei palestinesi nella lunga durata. Le mura di Gerusalemme sono rosse del solito sole insanguinato. Nella lunga durata, questa pace è un atto di estrema buona volontà da parte di pochi. Israele, per quanto forte, è inscatolata in un grande mondo ostile. Più che ostile, fondamentalmente convinto della sua illegittimità , agitato da movimenti estremi, alimentati anche da fuori i confini, filosoficamente portato alla dominazione per storia e per cultura, e perché nell'Islam i dhimmi, gli ebrei e i cristiani, hanno diritto sì alla convivenza pacifica, ma se riconoscono il primato del concittadino musulmano. Inoltre il mondo palestinese ha sofferto da parte degli ebrei e in generale ininterrotte dominazioni, ha patito dai turchi, dagli inglesi, dai giordani, dagli israeliani grandi sentimenti di umiliazione. Ci vuole molta forza d'animo, e Arafat è un tipo duro, per inghiottire gli eventi (compreso il tramonto dell'Unione Sovietica), accettare, prendere ciò che è possibile e farne tesoro. E poi, e forse soprattutto, per chi non conosce la libertà è molto difficile immaginarsi, accettare, gestire l'indipendenza. Così è stato ed è per buona parte del Terzo Mondo. Una spinta interiore impaurita e quindi rivendicativa, tende a rimandare il giorno della solitudine e a preferire quindi lo scontro nel quale è più facile definire la propria identità e portare alla luce la propria dignità . Da quando nel 1923 Arthur Ruppin, un padre del sionismo socialista, fondatore del primo kibbutz, chiese a un influente notabile di Gerico, Mussa Alami, di fondare, arabi e ebrei, un paradiso comune, e ne ricevette questa risposta: morire di fame finché non vi avremo cacciato via tutti, fuori da qui, qualcosa è cambiato, certo. Ma quel sentimento basilare di identità legata all'integrità che conferisce solo l'odio o l'amore assoluto, arde sempre sotto le ceneri, ed è vasto. A fronte di questo, continua l'avventura inesausta del popolo ebraico, la cui terra è messa in questione ogni giorno quanto lo era un tempo la vita nella Diaspora. Fiamma Nirenstein

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