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Il rischio che Israele sia di nuovo criminalizzato Sharon vince la pa ce non è perduta

lunedì 5 febbraio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein FRA due giorni i giornali di tutto il mondo riporteranno a lettere cubitali la vittoria di Sharon: non sarà una bella notizia per nessuno. La biografia di « Arik» è controversa; la vicenda di Sabra e Chatila, nonostante la commissione Kahana abbia stabilito a suo tempo che le sue responsabilità furono del tutto indirette, pure lo invitò alle dimissioni dal ministero della Difesa; il suo carattere è impulsivo e duro; le sue opinioni sugli arabi retrodatate; le tappe della sua vite segnate più da storie di guerra che di pace. Quando Barak vinse un anno e mezzo fa, la gioia di tutto il mondo riguardava un sogno che è tramontato, quello della soluzione pacifica dell'annoso, tragico scontro israelo-palestinese. Ed è la disillusione nata dal fallimento degli accordi di Oslo, e non un rigurgito di espansionismo, che oggi probabilmente porterà un popolo che aveva eletto Barak con quasi il 60 per cento dei voti a scegliere Sharon. La strada scelta dal partito laburista nella sua campagna è molto semplice: se vince Sharon, ci sarà la guerra. I commentatori nel mondo intero non solo tendono ad accettarla senza discuterla, ma invece di comprendere che il voto per Sharon è dettato dalla paura generata dalla guerra che chiaramente, dati i precendenti, si svolge senza nessuna intenzione strategica da parte israeliana, già si comincia a disegnare uno stereotipo assai rischioso: quello di un Israele marcato Sharon, aggressivo e conquistador. Uno stereotipo che rischia di non tenere alcun conto della storia degli ultimi dieci anni, un facile film che molti amano proiettare a ogni occasione. Sharon ha impostato la sua campagna sulla parola « pace» , e certo non dobbiamo credergli più di tanto; la sua intenzione, per durare, è far sentire i cittadini più sicuri, rispondere agli attacchi secondo strade che ancora non conosciamo, non essere disponibile a concessioni spettacolari come quelle di Barak. Strade pericolose. E tuttavia, si potrebbe al limite pensare che forse la sua fama di duro potrebbe stabilire, in quanto tale, una situazione di deterrenza persasi negli ultimi anni; Sharon, che è considerato dagli arabi capace di azioni impulsive, forse calmerà l'aggressività verbale di Saddam Hussein o il giovane Assad; forse, placherà la speranza rinnovatasi ultimamente fra i palestinesi che lo Stato d'Israele possa sparire. Può anche darsi che Sharon metterà tutte le sue forze, sempre per coprirsi le spalle dall'ombra incombente di Netanyahu, nel formare un governo di coalizione che lo conterrà e lo modererà . Il mondo ha certo diritto di osservare con attenzione e giudicare ciò che farà questo vecchio generale che senza il fallimento del processo di pace sarebbe oggi in pensione a leccarsi le ferite di una carriera controversa. E tuttavia il fatto che stia per diventare il primo ministro d'Israele, non deve creare un clima di criminalizzazione, né tantomeno coinvolgervi un intera nazione che ha, come ripete Barak, rigirato ogni pietra sulla via della pace.

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