Il regista gira il film tratto dal romanzo di Yehoshua nell'Israele d el dopo accordo FAENZA l'Amante di pace
venerdì 6 novembre 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME. Vicino a Nabadieh, in mezzo a un anfiteatro di deserto
su cui fioriscono qua e là cupole di moschea, campanili di
monastero, fra Gerusalemme e Betlemme, Roberto Faenza gira l'ultima
scena del suo nuovo film: "L'amante perduto", tratto dal romanzo di
Abraham B. Yehoshua, "L'amante", uscito nel 1977.
Roberto Faenza, sotto una piccola tenda nera che lo ripara da un
improbabile solleone di novembre, è concentrato, compatto. Sembra
soddisfatto del lavoro compiuto nella lavorazione di una storia che
"non ha al centro un protagonista, ma sei figure diversissime fra
di loro, che intrecciano la vita in un disegno complesso quanto lo
è Israele, quanto lo è la vita di tutti noi al giorno d'oggi. È
su questa grande complessità che ho lavorato, studiato, imparato.
Perché per me ogni film è una grande occasione di studio".
Sul set, sulle pietre e la polvere rossa, una piccola "Mini
Morris" antica, scura e brillante; di fronte al cofano Adam,
l'attore irlandese Ciaran Hind, che disperato si affanna intorno
a un motore che sta prendendo fuoco. Poco lontano, in primo piano,
con la schiena volta verso Adam (un meccanico cinquantenne di Haifa
che per tutto il libro cerca l'amante scomparso di sua moglie,
Asya, poiché la vuole vedere felice) avanza la figura adolescente
di Nà im, interpretato dall'attore sudamericano Erick Vaz quez.
Nà im è un quattordicenne palestinese che si è innamorato,
riamato, della figlia di Adam, la tredicenne Dafi. Quando il padre
scopre che il ragazzo, un suo dipendente, ha una storia con la
figlia, lo riaccompagna al paese. Senza astio, ma con la netta
determinazione che le vite dei ragazzi non debbano incrociarsi.
Questo nel libro. Nel film, invece, Faenza disegna un'ultima scena
più ottimistica, una somma del suo pensiero su Israele e sul Medio
Oriente: "Perché , se i problemi di convivenza non si risolvono
qui, per tutti noi, per il mondo intero, si prospetta un futuro di
incompatibilità , di estraneità fra culture, di incapacità a
vivere essere umano con essere umano". Adam, infatti, nella scena
ripetuta con estenuante perfezionismo, dopo avere aperto il motore
fumante, chiama a gran voce Nà im che ormai si allontana triste e
arrabbiato e chiede il suo aiuto: "Non posso farcela senza di te",
gli grida. Il palestiense vede l'israeliano in panne, impaurito,
sotto il sole, si gira e torna indetro ad aiutarlo: "Perché - dice
Faenza - qui c'è una speranza di pace poiché gli israeliani hanno
bisogno degli arabi e viceversa. Basta guardarsi intorno: qua un
villaggio palestinese, poco più in là un insediamento israeliano,
a un passo Gerusalemme, a un centimetro una moschea, una chiesa,
una sinagoga... Questa è la realtà che ho sperimentato
faticosamente. Sono grandi problemi: mi ci vorrebbe ancora un
secolo per capirli fino in fondo. Ma una cosa ho compreso: che non
si può basare la pace sui confini, quanto piuttosto sulla
collaborazione, sull'incontro, e, quanto più possibile, sulle
opportunità economiche che la collaborazione può offrire ai
palestinesi".
Il set di Faenza, il suo casting e in genere il suo reclutamento
di lavoro locale è una riproduzione della sua visione del mondo.
Aiutato dalla giornalista Simonetta Della Seta come coordinatrice
in Israele e nei Territori Palestinesi, Faenza ha lavorato per due
mesi sia in quello israeliano, sia in quello arabo con un gruppo
misto, oltre che con molti italiani e professionisti di tutto il
mondo. Fra questi, il suo aiuto Roberto Castellani e il direttore
della fotografia, lo spagnolo Josè Luis Alcantre. Ma il direttore
generale della produzione è il palestinese Jacques Hanna, e anche
il capo dell'organizzazione Elias Zananiri. Sul set i due gruppi di
amici-nemici si mischiano in perfetto accordo: "All'inizio c'erano
diffidenze e incomprensioni, ma molto positivamente ha poi giocato
l'assoluta parità di trattamento: tutti erano pagati allo stesso
modo, tutti avevano lo stesso numero di ore di lavoro. Questa
situazione, per molti versi inedita, ha creato dei miracoli di
concordia - racconta il regista -. E in più , lavorare con gli
israeliani è stato molto piacevole dal punto di vista della
disciplina. Forse perché tutti quanti hanno conosciuto un duro
servizio militare, ma sanno restare freddi meglio di chiunque
altro, e affrontare terribili difficoltà . Perché un set è una
guerra continua su cui bisogna fronteggiare il nemico ad ogni
istante".
Faenza, infatti, ha girato nel mercato di Gerusalemme come al Muro
del Pianto dove sono sempre presenti e determinanti gli
ultrareligiosi ebrei, così come sotto le moschee dei villaggi
arabi dove Hamas è il padrone di casa, o sotto i campanili delle
chiese. I permessi, i rapporti di cortesia, le complicazioni, tutto
è stato moltiplicato per quella complessità che è tanto cara al
regista. A sera, quando in un antico edificio arabo affacciato
sulle mura della Città Vecchia, Faenza incontra i giornalisti,
accanto a lui siede il grande scrittore, Yehoshua. "Quando Faenza
venne a trovarmi - racconta-, e mi parlò del suo progetto, pensai
che il mio fosse un libro troppo israeliano perché potesse
entrarci dentro fino al punto di estrarne un film. Ma dopo aver
visto gli altri suoi film, "Jona", o "Sostiene Pereira" o
"Marianna Ucria", ho sentito che il suo cosmopolitismo, la sua
poetica, potevano benissimo incontrare i miei personaggi, i miei
paesaggi. Così , Roberto ha costruito liberamente il suo film dal
mio libro. Il film è suo, l'autore del libro deve scomparire, e
per questo in genere i registi preferiscono gli autori morti. Io,
così , mi sono suicidato per alcune settimane".
E tuttavia, nonostante la concordia fra il quieto sorriso di
Faenza e lo scompiglio geniale dei riccioli di Yehoshua, un punto
di distanza divide i due artisti. Da una parte l'universalismo di
Faenza, il suo ideale di un Medio Oriente senza confini. Dall'altra
Yehoshua che i confini li vuole, li esige: "Essi sono la
salvaguardia della nostra identità , e lo saranno anche di quella
dei palestinesi che non li hanno mai avuti. Guai a diventare una
koinè senza patria: diventeremmo tutti affabulatori in un inglese
smozzicato, ispirato alla Cnn".
Fiamma Nirenstein