IL RE DI GIORDANIA, UN ANNO DOPO HUSSEIN L’ AFFETTUOSO
lunedì 7 febbraio 2000 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
QUANDO il suo corpo esprime interamente un’ idea senza bisogno della 
parola, 
allora un leader politico cambia il costume, ridefinisce il mondo. Re 
Hussein di Giordania, di cui ricorre oggi il primo anniversario della 
morte, 
ha portato nella carne, unico fra i leader arabi, il segno di che 
cosa 
rappresenti o possa rappresentare per il mondo arabo la pace con 
Israele, e 
in modo traslato con tutto l’ Occidente. Sadat aveva un’ altra luce: la 
sua 
memoria porta l’ aureola abbagliante di una subitanea ispirazione. Ma 
Hussein 
è il segno dell’ identità regale araba, della complessità e della 
costanza 
nella ricerca della pace. La memoria della sua apparizione a Wye 
Plantation, 
l’ ultimo colloquio di pace con Clinton, Arafat e Netanyahu, pallido, 
calvo, 
scavato dal cancro, porta, oltre al segno dell’ eroismo che occorre 
per 
raggiungere la pace, anche quello, fondamentale, dell’ affettuosità 
senza la 
quale essa non è possibile. 
Hussein, che aveva saputo costruire uno Stato per quanto povero da 
uno 
scatolone di sabbia segnato da confini artificiali, che ha condotto a 
una 
stabilità , pur guerreggiata, la dinastia hashemita nonostante la 
maggioranza 
palestinese del suo Paese, che ha saputo restare un re molto 
orientale, 
molto arabo (anche nel tratto autoritario, e anche nella sua pretesa 
di 
mantenere buoni rapporti con tutti, compreso Saddam Hussein nel 1991) 
nonostante la sua sincera stretta di mano con l’ Occidente, ha fatto 
quello 
che serve per la vera pace: trasferire una decisione cartacea nel 
respiro, 
nel calore. Dopo che un soldato giordano nel ‘ 97 sparò su un gruppo 
di 
bambini israeliani uccidendone sette, andò casa per casa in 
pellegrinaggio, 
nella cittadina israeliana di Beit Shemesh e si gettò ai piedi dei 
genitori 
delle bimbe, chiedendo perdono e dicendo: « Per me è come se fossero 
state 
mie figlie» . Un gesto così coinvolge il completo riconoscimento 
dell’ altro, 
dell’ ex nemico come essere umano; solleva dalla sua immagine la 
demonizzazione, e avvia quindi il tanto agognato rapporto fra la 
gente che 
non è il comma necessario di una firma sotto un documento. Proibisce, 
in una 
parola, di immaginare che la morte dell’ altro e dei suoi figli sia 
meno 
importante, meno significativa della tua e di quella dei tuoi figli. 
Questo aspetto della pace, ovvero la pace fra i popoli, è ancora 
molto 
lontano. Fra palestinesi e israeliani ancora non c’ è ; neppure con gli 
egiziani esiste, dopo tanti anni che non si spara, tuttora 
l’ israeliano è 
agli occhi degli egiziani un intruso sfruttatore. I siriani poi 
mostrano la 
loro durezza addirittura come un valore-condizione della pace: la si 
può 
ottenere solo attenendosi con obbedienza alla loro severità . Re 
Abdullah, 
figlio di Hussein, si sta mostrando buon navigatore, è apprezzato da 
tutto 
il mondo arabo e da Israele insieme, ha espulso Hamas, cede la 
sovranità 
delle grandi moschee di Gerusalemme ai palestinesi senza rimpianti. 
Ma il 
suo compito più grande, sulla scia del padre, resta la regale 
affettuosità , 
il sorriso che seduce la Storia, lo sguardo che vede e rispetta 
l’ Altro. 
Questo è il dono di Hussein al processo di pace. 
            