Fiamma Nirenstein Blog

Il primo Natale di pace di padre Peter Madros, parroco palestinese di Nostra Signora di Fatima BETLEMME le Messe dell’Intifada Sono 140 mila gli a rabi cristiani che vivono in Israele fra musulmani e ebrei

giovedì 30 dicembre 1993 La Stampa 2 commenti
BETLEMME A padre Peter Madros non pare vero: questo Natale gli israeliani hanno portato via le camionette dalla sua parrocchia. Bisogna andare a un chilometro di distanza, nella piazza di Betlemme dove sorge la chiesa della Natività per ritrovare il clima vecchio, quello dell’Intifada con tanti soldati per strada, sui tetti, attenti che nella confusione della festa non salti fuori qualcuno che, gridando Al lauh ahbar, faccia fuori un alto prelato, un pellegrino o un ufficiale israeliano. Ma Madros, parroco di Nostra Signora di Fatima a Beit Zahur, un sobborgo di Betlemme, è commosso. E quando ha letto, durante la Messa di mezzanotte, in arabo ai suoi 900 parrocchiani: , in nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, gli sono venuti i brividi. I suoi occhi scuri, rotondi e tristi di intellettuale palestinese cristiano, sono cerchiati da una condizione che prosaicamente si disegna al cronista come quella di una fettina di companatico dentro un sandwich. Centoquarantamila cristiani palestinesi su due milioni di palestinesi musulmani nel toast bollente degli israeliani da una parte e dei fratelli arabi dall’altra. , lieve sospira don Madros; l’accordo di principio sulla libertà di fede (io preferisco chiamarlo così piuttosto che il riconoscimento dello Stato d’Israele) noi palestinesi di base non lo apprezziamo. Noi vogliamo che sia almeno sincronizzato con il riconoscimento di uno Stato palestinese e della Giordania... Troppa fretta, altrimenti. Ora i musulmani diranno di nuovo che siamo dei traditori. Padre Peter Madros è l’esempio vivente del funambolismo e anche della passione cocente necessaria ai cristiani palestinesi. Ha dipinto dei colori della bandiera palestinese, nero, bianco, rosso e verde, i cancelli e le colombe che decorano la parrocchia. Da lui, quando andiamo a trovarlo, si sta svolgendo addirittura un’infuocata e molto affollata conferenza di Abdel Shafi, ovvero il vecchio capo della delegazione palestinese fin dal suo debutto a Madrid. Madros ha seppellito varie giovani vittime dell’Intifada; il suo cuore anela allo Stato palestinese. Tuttavia come potrebbe dimenticare gli ordigni esplosivi di marca integralista islamica che esplodono periodicamente nelle chiese, le croci divelte in vetta ai campanili? Difficile anche dimenticare le aggressioni anticristiane lungo la via dolorosa durante le processioni gerosolimitane della sua infanzia, sotto la dominazione giordana: intorno, prendevano in giro la crocefissione, pareva loro un evento blasfemo, ridicolo. E ancora prima nel tempo, come scordare la terribile persecuzione turca, la peggiore che i cristiani abbiano mai patito in Medio Oriente, quando la zona fu svuotata. Molti cattolici, direttisi in America Latina, furono per ghiribizzo della storia chiamati . Corano, anche i nostri giovani cristiani sono costretti a farne parametro di grammatica e sintassi essenziali. Non solo: i libri di storia in arabo hanno aggiunto al livore inglese protestante e anticattolico un di più musulmano che fa dei preti feroci colonizzatori, evangelizzatori con la spada sguainata. Pretacci] , sorride triste padre Peter, ogni forma di evangelizzazione ci è vietata non solo dagli arabi, ma anche dagli israeliani, contrari come sono alle conversioni. E inoltre esageratamente secolari in maggioranza, nel loro costume di vita. E si lamenta, padre Madros, che l’occupazione israeliana, oltre all’oppressione politica, abbia portato un rilassamento dei costumi per cui le ragazze si danno troppo da fare, le coppie si baciano per strada, i matrimoni si sfaldano. rilassatezza dovuta all’occupazione, le nostre donne neanche si peritano di andarsi a sposare con dei musulmani, abbandonando la fede di Cristo... La nostra comunità , così , diventa sempre più esigua. Come un memento vivente della difficile sorte dei cristiani, accanto a padre Peter vive un anziano pretone maronita, padre Mansur, che, fuggito dal Libano, porta con sé memorie terribili: miei occhi i cristiani infilzati e scuoiati dai musulmani. E si lamenta e infuria a lungo sull’intolleranza dei propri vicini, sull’indifferenza degli israeliani, sul fuoco incrociato di violenza. E mentre lo fa, padre Madros, nella canonica, sotto l’albero di Natale, interloquisce ripetendo con monotona e decisa convinzione guardandolo di sotto in su: Sì , ma noi siamo palestinesi, siamo arabi, il nostro posto è da una parte sola. Madros lo sa dai tempi dell’Intifada quando, nominato parroco da poco, trovò già una comunità in rivolta: assunse toni terribilmente drammatici. Là mi resi conto che il mio ruolo di prete palestinese m’imponeva di essere un punto di riferimento per tutti i miei parrocchiani. Per settimane le autorità israeliane chiusero Beit Zahur, il coprifuoco durò tredici giorni; in cambio delle tasse non pagate, la popolazione subì un pesante sequestro di beni. Due soldati israeliani furono uccisi in quel periodo. La nostra gente moriva di fame. I tre patriarchi cristiani volevano venire da noi con tre camion di viveri, ma la Si curezza pose condizioni impossibili da superare. Allora io trovai dei fondi, duemila shekel da parte della Caritas, e duemila marchi da parte della curia; anche gli americani e i canadesi ci dettero una mano. Così , in canonica, organizzai stufe, coperte, vestiti e cibo per i bambini. E la domenica 5 novembre dell’89, alla spicciolata, giunsero ebrei, cristiani e musulmani da tutto il Paese per pregare insieme a noi. Diciassette rabbini tentarono di entrare a Beit Zahur, ma i soldati non glielo permisero. Per me fu il periodo in cui mi resi finalmente conto che, con tutte le difficoltà che questo può comportare per un cristiano, pure l’Intifada era la mia battaglia; può darsi che in uno Stato palestinese, adesso, ai cristiani si preparino tempi non facili. Ma sono difficoltà nostre, interne alla nostra vicenda, e non derivate da un altro popolo, a noi estraneo. Per il futuro, ho fiducia anche che l’esperienza palestinese si dimostrerà più ricca e più colta di quella di tanti altri Paesi arabi; più portata alla democrazia. Eh] Se gli ebrei e i palestinesi, con un pizzico di libanesi, si mettessero tutti insieme, darebbero la polvere a tutto il Medio Oriente. Peter Madros è nato a Gerusalemme, al Mandelbaum Gate, nel cuore del cuore del popolo arabo della città santa e dell’intellettualità palestinese. Suo padre era gerusalemitano, la madre di Ramle, la nonna dell’uliveto santo di Ein Karem. la Messa, da chierichetto, la dicevo in francese dai salesiani dove aveva studiato mio padre. Tutti i miei famigliari, compresi i miei cinque fratelli, parlavano almeno quattro lingue. L’italiano l’ho perfezionato a Roma, dopo aver imparato il latino. Mio fratello era ufficiale nell’Aeronautica militare giordana. Sposò una ragazza che era la sorella del vescovo cattolico romano della Giordania. Era un uomo carismatico, che mi ha cambiato profondamente. Era la persona più felice che abbia mai visto. Lo presi come modello. Peter Madros ricorda il tempo della dominazione giordana prima del 1967 come un’età felice: È vero che noi cristiani eravamo discriminati nella vita civile, nelle cariche pubbliche, nell’esercito, nel governo... ma non ne sentivamo nessun peso, nessun desiderio di uno Stato palestinese viveva dentro di me sino ai tempi dell’Intifada. I giordani sono i più diretti congiunti dei palestinesi, le mie sorelle vivono oggi in Giordania. È pur vero che con gli ebrei ho da sempre vissuto fianco a fianco in Gerusalemme. Ma il muro che mi separava da loro mi pareva naturale. È vero che con i giordani ci sono stati conflitti anche terribili, come Set tembre Nero. Eppure quella separazione dagli ebrei, quel muro subito dietro la mia scuola a Gerusalemme, era un muro costruito forse dalla natura stessa. Mentre con i giordani, spero pur sempre in un accordo politico che ci dia un futuro comune. Madros appare sempre più triste mentre esprime una sorta di nostalgia-paura nei confronti dei suoi fratelli musulmani: mani dalla faccia ed è corso di nuovo in mezzo ai suoi compagni. Madros rivendica orgoglioso la partecipazione alla leadership di Arafat di tanti suoi amici cattolici (padre Ibrahim Sus, Afif Safieh e altri ancora), ma da prete paventa il vuoto civile che si crea in una situazione di guerra: valori e di gerarchie normali, e la malaerba cresce. Quando le scuole sono chiuse per l’Intifada, i ragazzi prendono il sopravvento sui vecchi con la loro vitalità . Il loro rumore, il loro ritmo diventano legge. È bastato in questi anni mettersi in fazzoletto a quadri sulla faccia per diventare più importante del proprio padre. Questo non è bene. È ora di tornare a scuola, dice Madros. Intanto giunge Abdel Shafi in visita, la parrocchia si trasforma in una piazza da comizio. Ci vuole pazienza, silenzio, passione di prete. E il nostro prete dà il benvenuto al leader politico dell’In tifada. Più tardi farà ascoltare a tutti il suo nuovo altoparlante multidirezionale a fungo appena giunto dall’Italia: canta con la voce delle campane gli inni natalizi. Padre Madros ne è veramente fiero. Fiamma Nirenstein

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FIAMMA NIRENSTEIN , Miranda de Ebro
 sabato 28 dicembre 2019  17:59:54

Peter Madros è stato un mio grande amico, un difensore dei cristiani,modesto e instancabile nella realtà di una Betlemme sempre più aggressiva verso i suoi correligionari cristiani, espulsi e perseguitati dai loro concittadini musulmani. Ha sempre rifiutato i luoghi comuni anche se era un patriota arabo. Combatteva per difendere i suoi ragazzi e i suoi poveri cristiani, abbandonato in povertà. Era coltissimo, parlavamo in italiano, sapevca l’ebraico, il latino… amava Roma. Era dolce e cortese, come un santo. I Cristiani d'Oriente perdono un paladino fondamentale.La Chiesa dovrebbe onorarne la memoria.



gimapiero rorato , MOTTA DI LIVENZA
 mercoledì 18 dicembre 2019  19:17:46

La notizia del passaggio alla vita eterna di padre Pietro Madros mi addolora molto. Conoscevo le sue condizioni, ma tanti anni di affettuosa e solidale amicizia nell'aiuto a tanti bambini e ragazzi d'ambo i sessi, figli di famiglie povere, che, per il solerte impegno cristiano di don Pietro abbiamo aiutato a studiare, non si può dimenticare. Don Pietro è stato un grande uomo, umile e instancabile nel cercare aiuti per i suoi bambini, cattolici, protestanti, ortodossi, copti, aiutava tutti. Non sarà dimenticato e ringrazia Fiamma per il bellissimo ricordo. Per don Pietro una preghiera: perché dal cielo continui a proteggere e aiutare quanti hanno bisogno del suo aiuto, per crescere in bontà, con una giusta cultura, coscienti della difficile situazione in cui vivono e soprattutto tenaci operatori di pace secondo l'insegnamento di Gesù. Riposa in pace, caro amico don Piero.



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