IL PREMIER NEL LIKUD E’ IN MINORANZA, NETANYAHU E LANDAU PIÙ POPOLARI DI LUI Sharon resiste alle sirene del grande centro
giovedì 25 agosto 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
La violenza dell’ antipatia verso Ariel Sharon proprio dentro il suo partito,
mentre nel Paese ha ancora la maggioranza dei consensi, è una sorpresa per
tutti, ma forse non per lui, che mantiene un volto totalmente indifferente.
« Sharon a casa» scrivono gli attivisti del Likud, il partito del primo
ministro, sui loro cartelli durante le riunioni intensive del post-sgombero.
« La nostra sarà una vendetta politica senza pietà : ti manderemo nella tua
Mukata, nel ranch di Havat ha Shikmim a accarezzare le pecore per il resto
dei tuoi giorni» , gli ha urlato in Parlamento il presidente del partito
nazionalista religioso, Effi Eitam. E Uzi Landau, capo dei ribelli del
Likud, lo ha trattato niente di meno che di « corrotto, crudele e senza
cuore» .
Così la destra tratta Ariel Sharon, dopo il più grande successo della sua
vita, la riuscita dello sgombero di Gaza e di parte della Samaria: si
prevedevano scontri letali, spargimento di sangue, e una pioggia di missili
kassam sui soldati e i cittadini nel Gush Katif: niente di tutto questo è
accaduto. Molta disperazione, qualche irrilevante scontro fisico, e
un’ uscita dolorosa, talora tragica, ma veloce, pacifica e sostanzialmente
contenuta nei limiti delle regole democratiche. Ma la regola per cui una
scelta di leadership molto coraggiosa costa sempre cara, unita all’ ondata
emotiva che ha accompagnato la sofferenza dei settler e alle preoccupazioni
per la sicurezza di Israele di cui Netanyahu è portabandiera da quando è
uscito dal governo, hanno creato una situazione di pericolo per Sharon
proprio nel momento in cui la sua popolarità raggiunge vette senza
precedenti sul terreno internazionale.
E di fatto, una ricerca del giornale Ha’ aretz di ieri, confermata da
un’ altra del quotidiano Yediot Aharonot mostrano che nel Likud la sua
situazione è grave: faccia a faccia, Netanyahu prende il 47 per cento delle
preferenze nel partito, e Sharon solo il 37; Landau, l’ altro aspirante a
essere prescelto alle prossime primaries prende il 45 contro il 37 di
Sharon. In una gara a tre, Sharon è sul filo del rasoio: prende il 30 per
cento mentre Landau può contare sul 24 e Netanyahu il 26. In effetti, Sharon
ha sempre avuto solo il supporto di un terzo del suo partito per attuare il
disimpegno. Adesso, dunque, che cosa può fare il premier, che ormai comincia
ad essere accusato anche di avere i suoi 78 anni, per ambire di nuovo al
ruolo di primo ministro?
Se la strada deve essere quella dell’ incarico del Likud, non può che fare di
tutto perché Abu Mazen seguiti a contenere, come ha fatto nei giorni dello
sgombero, le organizzazioni terroristiche e non consenta loro di colpire nei
prossimi mesi; e d’ altra parte deve fermare con aiuti e abilità straordinari
la protesta dei nuovi « profughi» del Gush Kativ, che accusano il governo di
averli abbandonati a un destino crudele dopo averli strappati dalle loro
case. Oppure, ha altre due strade: andare a una spaccatura del Likud,
guidarne la fazione di sinistra e battere la parte di Nethanyahu. O, infine,
dare il via a un tsunami politico senza precedenti: abbandonare il Likud e
creare, con i laburisti e con il partito laico dello Shinui, una formazione
di centro lasciando le estreme al loro destino.
Ma Sharon è affezionato al Likud, e di certo, col carattere pertinace e duro
che lo caratterizza, rimugina in compagnia dei suoi consiglieri una
strategia di riconquista di quello che considera a tutti gli effetti il suo
partito.
Il premier Ariel Sharon