Il premier israeliano tra pace e guerra
domenica 13 agosto 2006 La Stampa 0 commenti
Il Consiglio di Sicurezza ha votato la sua risoluzione: il documento è decisamente migliore per Israele di quello che si era prospettato giovedì sotto la spinta della Lega Araba, il cui capo Amr Mussa era volato a New York per fare pressioni. Ma Ehud Olmert sa che la riunione odierna del governo, a cui spetterà l’ accettazione delle decisioni, sarà molto controversa. Nonostante la svolta diplomatica, il numero di tank, di mezzi corazzati leggeri, di soldati di leva e riservisti che sono penetrati ieri notte nel Libano dal confine settentrionale è , in questa guerra, senza precedenti. E già parte dei soldati israeliani vedono il Litani senza cannocchiale. Le tecniche usate dell’ esercito dimostrano che si cerca di velocizzare le operazioni: per esempio, invece di combattere casa per casa, villaggi interi sono stati circondati dall'esterno per impedire i movimenti degli Hezbollah. L’ ordine di Ehud Olmert al capo di Stato maggiore Dan Haluz di intraprendere una corsa militare verso il fiume Litani e insieme la scelta di accettare la risoluzione dell’ Onu, sono decisioni parallele. La seconda gli costa il ritorno dell’ opposizione al suo ruolo classico, fuori dall’ unità nazionale della guerra, e una quantità di critiche politiche e strategiche. In fondo la domanda che Israele rivolge a Olmert è questa: se questa è una guerra per la sopravvivenza, e lo è , perché accettare una decisione internazionale che lascia agli Hezbollah la possibilità di ricreare la loro forza con l’ appoggio siriano e iraniano, destinato a sua volta a crescere? Ma Olmert sostiene invece che la risoluzione sancisce di fatto un successo israeliano, se non una vittoria completa. Olmert pensa in questi termini: abbiamo ottenuto per la prima volta che il mondo riconosca la responsabilità degli Hezbollah, la necessità di disarmarli. Abbiamo inoltre ottenuto che il mondo si sia mobilitato per garantire che la risoluzione 1559 (che sgombera i miliziani dal sud del Libano) sia presa in considerazione pragmaticamente, con il dispiegamento dell’ esercito libanese e un’ Unifil molto rafforzata. Soprattutto Olmert pensa che alla fine - nonostante svariati balbettamenti politici sulla decisione di lanciare la forza di terra, invece di usare soprattutto l’ aviazione per paura di grandi perdite fra i soldati - l’ esercito abbia confermato il suo primato in Medioriente. E che quindi Israele abbia di fatto sgominato gli Hezbollah, dimezzati e boccheggianti, che infatti hanno accettato l’ esercito libanese nella zona che è da sei anni sotto la loro totale sovranità . Di fatto, ieri, la quantità di missili lanciata sulla Galilea è diminuita. E Nasrallah, che naturalmente ha rivendicato la vittoria, ha tuttavia detto ai suoi che è ora di smettere. Inoltre la risoluzione non prevede che Tsahal lasci il terreno prima che entri l'esercito libanese più l’ Unifil, come invece vorrebbe Nasrallah. Olmert viene tuttavia duramente criticato. La destra israeliana, il Likud, ha definito « vergognosa» la risoluzione dell’ Onu, perché « equivale a cedere al terrorismo» . In effetti, la risoluzione mostra anche molti punti deboli: parla dei soldati rapiti, ma non fa della loro restituzione un punto centrale (e questo è per gli israeliani con i figli al fronte un punto centrale). Olmert inoltre aveva detto che « faremo di tutto per farli tornare a casa, lo giuro, e prometto di farlo in modo che non ci siano mai più rapimenti» , ovvero aveva promesso di cambiare per sempre la situazione strategica. In secondo luogo, altri elementi - che potrebbero anche essere considerati positivi - vengono invece visti come inutili e destinati a mostrare la corda molto presto, col risultato di una prossima guerra. Per esempio l’ Unifil, sebbene rafforzata fino a 15mila uomini, potrebbe essere pur sempre, come dice Olmert, « un esercito di pensionati» . Questo se Francia, Australia e Italia non decideranno di unirsi armati e decisi all’ esercito libanese, di cui Israele si fida meno che mai, dato che è in gran parte formato da sciiti simpatetici verso i loro fratelli Hezbollah. Nella risoluzione, inoltre, si stabilisce l’ embargo delle armi agli Hezbollah, ma non c’ è previsione di controllo del confine siriano-libanese. Il disarmo dei miliziani non è nel testo un punto del tutto esplicito: è invece suggerito in termini morbidi, evidentemente per venire incontro alle paure di Fuad Siniora, che ha gli Hezbollah nel governo. Infine viene risollevato il problema delle Fattorie di Shebaa, e questo sembra una caramella-premio per Nasrallah, dato che il governo libanese dal 2000 non aveva mai sollevato il tema. Olmert sa che forse quello che viene votato è destinato a restare sulla carta. E sa anche delle richieste di dimettersi perché a fronte di una battaglia esistenziale contro lo jihadismo, proprio ora che il mondo intero dopo l’ episodio di Londra se ne rende conto, non fornisce una risposta abbastanza decisa. Ma può anche sperare che nel momento del voto la bandiera di Israele sia già piantata sulle rive del Litani e che Tsahal gli abbia restituito il senso di orgoglio che può evitare che il mondo arabo dica: Israele è debole, porge un facile fianco per l’ attacco definitivo. Perché questa, soprattutto, è la grande preoccupazione israeliana.