Il portavoce di Hamas ucciso: così Israele combatte la propaganda

Il Giornale, 01 settembre 2025
Guerra e simboli
La comunicazione è un fronte di guerra importante come gli altri 7 con cui si confronta Israele e da cui proviene, in tutto il mondo, una minaccia sostanziale al mondo democratico. Crea odio antisemita e contro i cristiani. Gli episodi odierni, lontani per quanto possano sembrare, dell’eliminazione del portavoce di Hamas e della decisione americana di proibire l’ingresso di Abu Mazen all’Assemblea Generale dell’ONU, sono un modo di fronteggiare la forza della propaganda antioccidentale. Anche chi crede di non conoscere Abu Obeida, perché ha visto la sua faccia sempre avvolta nella kefiah sul teleschermo o issata come bandiera alle manifestazioni, lo conosce bene. Obeida, al secolo Hudayfa Abdallah al-Kahlout, eliminato sabato con un’incursione aerea di cui gli israeliani, nonostante 11 morti, dicono di aver guidato con estrema cautela l’azione per salvaguardare la popolazione, era molto di più di un portavoce.
È lui che ha amministrato la popolare, vittoriosa campagna di criminalizzazione di Israele che si è pasciuta dei termini genocidio e fame; quella in cui si è visto nelle lerce gallerie la disperazione dei rapiti, le loro ossa senza carne, le lacrime e le preghiere, così da demoralizzare e dividere l’opinione pubblica israeliana; lui che, col sostegno dei media, di al-Jazeera, coi “ministeri” di Hamas che forniscono i numeri poi ripresi senza verifiche, ha inondato l’opinione pubblica. Abu Obeida era popolare e famoso, un simbolo per il suo popolo e per quello dei propagandisti affascinati dall’immagine mascherata, dalla voce nasale in arabo eccitato: quando al-Arabiya ha annunciato la sua morte, Hamas ha diffidato dal diffondere la notizia. Ma una volta verificato che lo spokesman di Izza din al-Qassam dal 2004, famoso da quando annunciò nel 2006 il rapimento di Shalit, era stato colpito, lo stesso Ministro della Difesa Israel Katz l’ha annunciata di persona. Il suo stile era la minaccia di morte a Israele e ai rapiti. L’ultima volta, venerdì, ha detto, che se l’esercito entrerà a Gaza “gli ostaggi saranno coi nostri guerrieri nel combattimento, soggetti agli stessi rischi”.