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Il ponte di Pace

sabato 27 luglio 2013 Generico 0 commenti
La Discussione, 27 luglio 2013

Il Medio Oriente è la fumosa fucina del domani del mondo. Niente è più misterioso, promettente e insieme minaccioso, di quello che si sta muovendo nel mondo islamico da un paio di anni a questa parte: si crede sempre che l’ultimo evento ci abbia sorpreso oltre la misura di ogni possibile aspettativa, ed ecco che all’improvviso un rivolgimento improvviso ci costringe a domandarci se non avessimo capito niente fino a quel momento. Guardiamo la incredibile giostra degli ultimi giorni. Israele e i palestinesi si siederanno di nuovo al tavolo delle trattative a Washington, l’Egitto, dopo un breve predominio dei Fratelli Musulmani è in mano a un governo rivoluzionario laico sorretto con mano potente dall’esercito, Bashar Assad, il rais della Siria, dopo una strage di centomila vittime fra i ribelli, minaccia di restare al potere almeno in una parte del Paese, gli hezbollah sono stati messi dall’Europa nella lista delle organizzazioni terroriste… e molto altro ancora.

I nuovi colloqui Israelo Palestinesi, sempre che il formato venga definito a Washington in questi giorni in modo soddisfacente per le parti e si possa dare inizio alle danze, sono una fonte di speranza per tutto il mondo. Nessuno avrebbe mai pensato che il segretario di Stato americano John Kerry avrebbe portato gli israeliani e i palestinesi a sedersi al tavolo delle trattative. Fino all’ultimo minuto l’allampanata, amichevole figura di Kerry, fiduciosa nella sua diplomazia della spoletta, è stata guardata con compatimento: non ce la farà mai. E’ venuto ben sei volte in Israele e nell’Autonomia Palestinese dall’inizio del suo mandato (il secondo per Obama, che certo deve aver spinto Kerry con tutte le sue forze, dato che i successi americani nel resto del Medio Oriente sono così scarsi). Gerusalemme, Ramallah e anche la capitale della Giordania, Amman, gli sono diventate più consuete della sua propria casa.Ma fino all’ultimo minuto Kerry ha dovuito combattere per conquistare il sì di Abu mazen, il presidente dell’Autonomia. I palestinesi insistevano con “precondizioni” che di fatto concludevano la trattativa prima che iniziasse: uno Stato Palestinese che avesse come confine la Linea Verde, ovvero la linea armistiziale del 1949, quindi con l’attribuzione dei Territori conquistati da Israele durante la guerra del 67; la liberazione dei prigionieri nelle carceri israeliane (molti per atti di terrorismo); lo stop a ogni costruzione nell’West Bank e a Gerusalemme; il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato Palestinese.

Benjamin Netanjahu invece aveva in mente sopratutto il riconoscimento di Israele come Stato del Popolo Ebraico, in modo che cessi la continua delegittimazione dell’esistenza stessa del suo Paese nell’area, e anche l’idea che i confini, secondo le risoluzioni dell’ONU 342 e 338, debbano tenere conto degli immensi pericoli che corre Ia sicurezza della sua popolazione, e quindi stabilire norme preventive e scambi territoriali. Tanto per fare un solo esempio, Israele non può consentire che il territorio intorno all’aereoporto di Israele sia sotto un controllo palestinese che possa sfociare in continui lanci di missili, come è accaduto appena sgomberata Gaza. Kerry ha cercato l’aiuto dalla Lega Araba, favorevole al vecchio ago della bilancia americano nel nuovo Medio Oriente, in cui forze eversive come Al Qaeda o i Fratelli Musulmani rischiano di prendere il sopravvento e mettono in pericolo anche i vari rais. E alla fine ha ottenuto che Abu Mazen rinunciasse alle precondizioni e che anche Netanyahu lasciasse perdere. Si sussurra tuttavia che il capo della diplomazia americana abbia consegnato a Abu Mazen una lettera in cui gli promette che di fatto la base di partenza per i colloqui sia la linea del 67.

Quanto a Netanyahu, probabilmente il terreno di accordo è quello della sicurezza, dato che l’Iran sta per portare a compimento la bomba atomica ed è i gran lunga il maggior problema nella zona, e dato anche che i dintorni di Israele, dalla Siria all’Egitto ribollono del solito incitamento antisemita. Difficile prevedere il seguito dei colloqui tano desiderati: si può forse dire che poichè i punti di partenza sono tanto lontani, ogni piccolo accordo apparirà importante e creerà ottimismo, e anche che Kerry sembrava incapace e illuso, e invece ce l’ha fatta. Potrebbe dunque riuscire a fare altri passi.

Intanto, le carte che vengono distribuite in quest’estate di fuoco, sono già diversissime da quelle di qualche settimana fa, e questo a causa del rivolgimento egiziano. La Fratellanza Musulmana ha subito una grave sconfitta che si riverbera su tutta la grande organizzazione internazionale. Hamas, che aveva abbandonato l’alleanza con Assad di Siria e con l’Iran per passare a quella più naturale, dato che anch’essa fa parte della Fratellanza, si è trovata all’improvvvsio con le unghie spuntate. E’ lei ora a passare le armi provenienti da Gaza ai Fratelli Musulmani che lottano contro il nuovo governo, ma per i militari egiziani è una delle tante organizzazioni che si uniscono ai ribelli islamisti del Sinai, compresa Al Qaeda. L’Arabia Saudita, che era assai imbarazzata dal fatto che l’altro grande stato sunnita dell’area fosse in mano della Fratellanza e tentasse un’alleanza col suo peggior nemico, l’Iran, è tornata in buoni rapporti col Paese dei Faraoni. Ambedue non hanno simpatia, anche se si tratta di sunniti come loro, per i ribelli anti Assad, fra cui oltre alla Fraellanza si annida Al Qaeda. Ormai i sunniti si combattono anche fra di loro, e nuovi attori entrano sulla scena, come i curdi, che cercano di spingere avanti la loro battaglia indipendentista approfittando della confusione siriana. E’ in crisi per questo anche la vicina Turchia. Il Paese di Erdogan, anti Assad per eccellenza, tuttavia spara addosso ai Curdi che conquistano villaggi di confine e che in Turchia rappresentano una pericolosa minoranza alla ricerca dell’indipendenza. Erdogan in realtà dovrebbe occuparsi della sua “primavera” che ha portato in piazza decine di migliaia di persone brutalmente assalite dalla polizia, oltraggiate del suo governo islamista che proibisce a gente educata dalla storia a essere l’unico paese islamista laico di vivere secondo i costumi occidentali.

La grande tragedia siriana e segnata ogni giorno da battaglie che sempre di più si allargano dal fronte pro o anti Assad a scontri tribali e religiosi fra organizzazioni, tribù, sette. che si moltiplicano, si uccidono, non hanno nessun rispetto per donne e bambini. La strage di civili è pane quotidiano, Assad che all’inizio sembrava dover sparire dalla scena ad ogni minuto, invece, a causa dell’aiuto iraniano, degli hezbollah e della Russia desiderosa conservare la presenza sul Mediterraneo nel porto di Tartus, mantiene per ora il controllo di una parte del Paese. Il genio è fuggito dalla lampada, il prezzo della mancanza di istituzioni, dell’assenza di strutture democratiche trasforma ogni palpito, ogni giusta aspirazione del mondo arabo, come quella alla libertà, in un falò che può appiccare il fuoco a tutto il mondo.

Tratto da La Discussione

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