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Il peso della memoria Una donna e il suo passato

domenica 16 febbraio 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV PRESTO il presente di Madeleine Albright ne avrà coperto il passato, o meglio il grande senso di mistero e anche lo storico paradigma che ne emana. Perché la Albright è destinata ad essere un Segretario di Stato che attacca e sfonda. Non appena la Albright in questi giorni metterà i piedi nel piatto dell'allargamento della Nato, non si discuterà più dell'incredibile distrazione, della strana dimenticanza per cui la sua origine ebraica era stata obliterata fino a qualche giorno fa. Ma finché l'onda del presente non ci travolge, è bene soffermarsi su questa vicenda, così emblematica che si può giudicarla perfino catartica, dato che la incarna il ministro degli Esteri degli Usa, che oltretutto è una donna. Che grande combinazione di simboli. Come ormai è noto, questo personaggio ha saputo solo dai giornali di essere ebrea. Mezzo mondo lo sapeva ma lei, invece, no. Perché ? Il personaggio è tale da non far pensare a viltà o a opportunismo; qui c'è qualcosa di molto più profondo e radicato, un misto, un incontro fra l'ideologia della guerra fredda e la più antica storia dell'assimilazione ebraica, il tutto messo nello shaker dell'afflato universalista degli anni successivi. Il risultato è un unico, grande svisamento storico. Il padre di Madeleine, Joseph Korbel, due volte è scappato dalla Cecoslovacchia con tutta la famiglia, davanti ai nazisti e davanti ai comunisti. Ma i suoi genitori, mentre lui andava verso un destino di profugo intellettuale che sarebbe diventato poi ambasciatore ceco e scrittore, venivano catturati in quanto ebrei e mandati a morire a Terezin. Da loro stessi aveva imparato ad amare e servire la Cecoslovacchia. Korbel non aveva mai dato importanza all'essere ebreo più che non l'avrebbe data a un'altra delle tante nazionalità racchiuse nell'impero che lui amava: magiari, cechi, germani, slovacchi e altri ancora. E quando scrisse un libro dopo che i suoi erano stati uccisi dai tedeschi, lo intitolò comunista in Cecoslovacchia; lo dedicò , sì , alla memoria dei suoi, ma non parlò molto del nazismo, quanto piuttosto del comunismo. La Albright ha probabilmente accettato questo messaggio come il più importante che le è stato trasmesso: del resto il tempo della sua presa di coscienza è stato quello della guerra fredda. E ciò che è più stravagante, probabilmente la sua ideologia è stata paradossalmente corroborata dall'interpretazione che i comunisti stessi dettero del nazismo. Nel campo di concentramento di Terezin ancora campeggia una croce in memoria, molto più grande della stella di David che là , proprio là , sono stati sterminati quasi tutti gli ebrei cechi. Questo campo è stato più volte ricordato dal potere comunista, negli anni a venire, come il luogo delle sofferenze e della fine di tanti combattenti comunisti e per la libertà , mentre i nomi degli ebrei rimasero sepolti. Era un'indistinta battaglia tra le forze del bene e quelle del male (i nazisti) che secondo i comunisti, e poi gran parte della sinistra, aveva avuto luogo, ed è interessante come l'ebraismo assimilato abbia abbracciato inconsapevolmente questa visione delle cose, forse per sentirsi meno solo, forse per non dover ammettere che quell'identità apparentemente secondaria, fragile, si era trasformata per i propri cari e per se stessi nella cosa più importante, nell'unica cosa vitale. La Albright che è fatta della pasta dei vincenti, non aveva intenzione di attraversare la palude della memoria. Per questo ora dice: dalle rivelazioni. Il fatto è che l'Olocausto è ancora un nero scrigno di segreti. Le sue verità sono solo per i forti. Fiamma Nirenstein

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