Il peso dei gruppi etnici e religiosi oscura le tradizionali categori e politiche Israele, caccia al voto tribale Netanyahu strizza l'occhio al revanscismo sefardita il rivale Barak corteggia l'appartata comunità russa
giovedì 13 maggio 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
nostro servizio GERUSALEMME
Chi acchiappa i russi, vince le elezioni. Chi si accaparra i
marocchini, gli va bene. Chi ci sa fare con gli arabi, ha un bel
mazzo di 600 mila voti su cui giocare. Cominciò qualche anno fa,
quando Netanyahu sussurrò all'orecchio di Rav Kadouri, uno dei
santoni oggetto della venerazione superstiziosa del popolo
religioso maghrebino, che gli ashkenaziti di sinistra non sapevano
più cosa volesse dire essere ebreo. Un sussurro, per caso captato
da un microfono della tv che suscitò una guerra. Era
l'inaugurazione dell'arma politica etnica, la più sfoderata
durante queste elezioni israeliane ormai vicinissime.
Se si vuole sapere chi sono i Butrascioli della Georgia, Ehud
Barak, il candidato di sinistra, ve n'è può dare buona
informazione: pochi giorni or sono lo si poteva seguire ad Ashod
dov'è andato per incontrare questo gruppetto di nuovi immigrati, e
mangiare con loro le tradizionali blinches (una specie di crepe).
Oppure, si possono durante queste elezioni ricavare molte
informazioni sullo snobismo e i costumi americanizzati della
"elita", come si chiama qui, seguendo le chiacchiere di Netanyahu
fra i banchi del mercato dove regna il rivendicazionismo sefardita;
oppure, si può ricevere una lezione di storia sulla seconda guerra
mondiale e il ruolo dell'Urss seguendolo a un raduno di veterani
russi.
Il primo politico abbastanza spregiudicato da usare l'arma etnica
fu Menahem Begin, che vinse le elezioni del '77 col voto sefardita
contro il potere dei grandi vecchi, Ben Gurion, Golda Meir, Moshe
Dayan, Ygal Allon, tutti atei e tutti socialisti, chi più chi
meno. Ma lo stile era alto, i toni più contenuti. Negli anni il
voto sefardita si è poi sfrangiato: non ha trovato grandi
leader, non ha trovato grandi cause sociali, anche perché i
processi di integrazione sono stati piuttosto veloci e intensi,
checché se ne dica. La rabbia della gente religiosa di origine
maghrebina si è andata fondendo con l'abile politica acquisitiva
dei religiosi di Shas, il partito di Arieh Deri, il figlioccio
elettivo del grande rabbino Ovadia Yossef. Deri è un cinquantenne
marocchino di grandi capacità politiche travestito come i tutti i
suoi simili nella gabbana nera da europeo; da poco è stato
condannato al carcere dal tribunale per corruzione, ma è
attivissimo sulla piazza elettorale, e adorato dai suoi. È Shas
adesso, che nella propaganda televisiva, basandosi proprio sulla
condanna di Deri, racconta le tribolazioni del cittadino di seconda
classe, la sua povertà . È Shas che gli promette rispetto,
infrastrutture e beni mobili e immobili, a detrimento
dell'influenza del Likud che rappresentava tradizionalmente la
folla marocchina. I leader maghrebini come David Levy sono stati
eclissati: Netanyahu stesso, come un Zeus che mangia i suoi figli,
li ha fatti fuori e ora la folla gli scappa di mano. Il Likud,
adesso che Shaf ha indicato Bibi come suo candidato a primo
ministro, di fatto prenderà alcuni voti dei religiosi, ma rischia
di perdere nella zona di centro, solo moderatamente
tradizionalista, che non vuole essere confusa con gli
ultraortodossi.
E anche i russi non sono più tutti suoi: nel '96 Bibi prese il 68
per cento dei loro voti, e adesso, secondo i sondaggi, appena il 60
per cento. Se le cose restano così , Bibi può perdere. I russi
sono un mondo a parte; a differenza dei sefarditi molti si
rifiutano di parlare ebraico per tutta la vita e il loro
corporativismo è basato sulla profonda convinzione di essere
culturalmente e socialmente migliori degli israeliani. È molto
più importante avere un figlio violinista che non un figlio eroe
in un'unità combattente. Il poeta Bialik, al confronto di
Dostoevskij, li fa ridere. I loro spot elettorali televisivi,
neppure si degnano di avere i sottotitoli in ebraico. I russi
giunti fra l'89 e il '98 sono circa un milione e 700 mila, gente
scappata dalla rovina dell'Urss, decisa a cercarsi una vita agiata
più che non una vita sionista. Gli immigrati degli Anni 70 avevano
un'ideologia anticollettivista, liberale, decisa a difendere la
Terra Promessa a fianco di chi glielo proponesse. Gli immigrati
più recenti sono invece delusi, poveri, declassati, decisi a
battersi per se stessi. Una comunità con 78 mila ingegneri, 16
mila medici e dentisti, 16 mila artisti, 37 mila insegnanti e
12.500 scienziati è ben difficile da sistemare. Si aggiunga che la
mafia russia è un fenomeno autenticoo, come anche la prostituzione
russa.
Nei giorni scorsi un esponente di Shas ha dichiarato in pubblico
che i russi sono tutti gangster, puttane e mangiatori di maiale.
Un'attrice di sinistra, durante un rally a cui Barak era presente,
d'altra parte ha proclamato che qualsiasi cosa dica la sinistra è
completamente incomprensibile per quella "marmaglia di ignoranti"
dei sefarditi.
Ambedue i gruppi più consistenti di votanti ambiscono ad ottenere
il ministero degli Interni poiché regola i problemi degli
immigrati e dell'ordine: Netanyahu secondo il suo stile ha promesso
tutto a tutti cercando di giocare su tutti i tavoli disponibili.
Barak quanto meno poiché risulta poco credibile ai religiosi punta
decisamente le sue carte sui russi, e può darsi che sia una buona
puntata. Ultimamente una biografia di Barak è stata tradotta in
russo con una frase immessa fraudolentemente da qualche nemico
della sinistra: secondo questa frase Barak si è rifiutato di
comprare una casa a Gerusalemme Est "perché tanto poi dovrà
essere restituita". Una brutta manovra, che mostra da parte della
destra un disperato tentativo di recuperare terreno.
Esiste poi un altro bel gruppo di votanti, gli arabi israeliani.
Con una lista nuova di zecca presentano un loro candidato primo
ministro, Azmi Bishara, un giovane filosofo, che corre sotto lo
slogan "Un Paese per tutti i suoi cittadini". Ma forse Bishara si
ritirerà all'ultimo istante per dare i suoi voti a Barak un giorno
prima delle elezioni, sperando in una vittoria secca al primo
turno: gli arabi restano una riserva di consensi destinata alla
sinistra. E tuttavia, stufi delle promesse disattese dei governi
precedenti e in fondo indifferenti al nome del prossimo primo
ministro, sembrano in piccola parte attratti niente meno che da
Shas! In fondo il suo popolo è povero come loro, ha bisogno di
case e di infrastrutture, parla la sua stessa lingua, ama la stessa
musica, mangia humus e falaffel.