Fiamma Nirenstein Blog

Il pericolo più grande è la paura della guerra

mercoledì 23 marzo 2011 Il Giornale 7 commenti

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Il Giornale, 23 marzo 2011

«Non avere paura e non sgomentarti» dice Dio a Gio­suè (8:1) e questa esortazio­ne si trova 40 volte solo nel Vecchio Testamento: è un imperativo fondamentale e indispensabile della cultura del nostro mondo. Lo è nella cultura ebraica, lo è nella cultura cristiana, ha ispirato tutti i loro sviluppi laici sia conservatori che progressisti, è un leitmotiv della letteratura di ogni tempo, e la moderna bandiera del risorgimento e delle rivoluzioni. Senza questa esortazione non siamo niente. Perché la paura è un sentimento naturale, tutti la proviamo specialmente davanti a una situazione di conflitto. Oggi, bisogna cercare di non avere paura della guerra, proprio perché guardandosi intorno si vede, si legge, si respira nella politica troppo sgomento. Il coraggio intellettuale e anche fisico hanno costruito la cultura della democrazia, così funambolica e strana. Lo sgomento che si percepisce è pericoloso per la nostra riuscita e per il nostro prestigio internazionale. A volte è travestito da ragionevolezza, a volte da cinismo, a volte da prudenza, a volte da ignavia. E invece, quando volano i Tornado lo spirito pubblico deve nutrirsi solo di coraggio. La paura è un sentimento sensato ma guai, oggi, a farne una bandiera, una politica, renderebbe il gioco facile per i prepotenti e i malvagi se le lasciassimo compiere il suo corso.

Quando si va in guerra il dovere della politica è creare lo spirito pubblico che porta alla vittoria. Abbiamo certo ragione a temere gli spauracchi di cui si parla in questi giorni, la furbizia francese che sottende alla spaccatura europea, una marea di profughi, la perdita dei nostri rapporti economici con la Libia, l’avvento di un regime peggiore di quello di Gheddafi, la paura di una nuova Somalia quasi attaccata geograficamente al nostro Paese. Ma dobbiamo smetterla di preoccuparci adesso che abbiamo un compito da eseguire, quello di salvare la popolazione libica e di conseguenza cercare di sottrarre a Gheddafi tutto il potere, e mi stupisce che proprio la Lega, che tanto spesso fa mostra di virile coraggio stavolta sia così pubblicamente angosciata. Che ne vuole fare di questa angoscia? Spingere a tornare a casa? Spaccare il governo? Sono certa che le risposte sarebbero negative.

Proprio la paura, condivisa da tutto il resto del mondo e soprattutto dalla tentennante politica di Obama, ci ha fatto compiere il primo errore, quello del ritardo che ora dobbiamo recuperare. L’Italia è il Paese che per posizione geografica ed economia ha più interessi in giuoco, più stake come si dice e quindi, anzi, questa guerra ci deve trovare appassionati e decisi. Non ci vogliamo trovare vicino rovine fumanti da cui emerge un mondo caotico che può danneggiarci, guai a lasciar perdere, siamo i più interessati a introdurre un principio d’ordine nel caos.

Ci sono molti buoni motivi per non avere paura. Andiamo dal minore al maggiore: la Francia, grande giocatore in competizione, non è certo un gran giocatore di politica mediorientale, questa sua escalation non la porterà da nessuna parte. L’ultima immagine rilevante della Francia durante queste rivoluzioni di popolo è quella del ministro degli esteri francesi ospite da Ben Ali quando questi venne cacciato dalla folla, e la fallimentare invenzione di Sarkozy, l’Unione Mediterranea... Non sembra esserci per lui orizzonte oltre le elezioni.

Non mi angoscerei neppure per l’Eni, le sue radici in Libia sono solide. Preoccupiamoci piuttosto del ruolo prossimo venturo dell’Europa in un Mediterraneo irriconoscibile. E’ un gioco molto grande: due navi iraniane ne hanno solcato le acque, come Pizie malefiche, entrando dal Canale di Suez per la prima volta dalla rivoluzione khomeinista. Altri grandi movimenti preparano grandi giochi cui dobbiamo prendere parte, pena la nostra emarginazione dal Mare Nostrum. Noi non potevamo - sarebbe bello che lo capisse la Lega se non vuole pensare al pericolo islamico in maniera provinciale - non partecipare al grande gioco del mondo che volta pagina e parteciparvi nella funzione a noi più propria: quella della difesa della libertà.

Un ciclo storico si chiude, l’Italia, l’Europa non possono portare la giustificazione dei genitori, il papà americano è malato anche lui. Se un dittatore decima la sua popolazione, tanto deve bastare all’Occidente democratico per intervenire in nome dei suoi principi, pena la sua rispettabilità. Tutti si chiedono, e non solo per la Libia, chi verrà dopo i dittatori al tramonto e in particolare dopo Gheddafi. La verità è che può andare davvero molto male: può darsi che il desiderio di libertà non coincida affatto con quello di democrazia e che i Fratelli Mussulmani e gli amici dell’Iran dovranno diventare la nostra interfaccia islamica nei prossimi anni. Sarà durissima.

E allora? Sarebbe capitato in ogni caso, sia col nostro intervento e la nostra approvazione, per esempio in Egitto, che senza. Per ora, devono cadere i dittatori, questo è il nostro credo, la nostra guerra. E quelli che verranno domani e che sono in ogni caso la nuova classe dirigente del mondo arabo, islamisti o meno che siano, sapranno che noi abbiamo una nostra guerra, un nostro credo. Un nostro coraggio. I nostri Tornado. Quando il dubbio ci attanaglia e la paura ci aggredisce, pensiamo che solo un cambiamento in senso democratico è quello che ci interessa, e il futuro indica la strada della volontà e del coraggio.


The worst danger is the fear of war

Il Giornale, March 23, 2011

“Do not be afraid or discouraged” God said to Joshua (8:1). It is an exhortation that can be found 40 times in the Old Testament alone: it is a fundamental and essential imperative of our Western culture. Be it in Jewish or Christian culture, it has inspired all their secular developments, both of the conservative and progressive camp. It is a leitmotiv common thread running through literature across the ages, and the modern flags of Renaissance and revolution. Without this exhortation we are nothing. Because fear is a natural feeling, we all feel it, particularly when faced with a conflict. Today, again, as we face a new war, we have the duty to save politics from discouragement.

But the Italian and European media only speak about how unhappily we face the fight; how much it was imposed to us by circumstances and by the UN; how terrible will be the wave of immigration and how dangerous will be the future after Gheddafi, and they insist that we only want to save lives and not destroying Gheddafi’s regime... in a word: that we have been almost unwillingly dragged.

Discouragement is a threat to our success and to our international prestige. In Italy in these days we see it disguised in the shape of wiseness, sometimes of cynicism; at times it is masked as prudence, other times sloth. Italian politicians fill the air with these attitudes. But when the Tornados fly, public spirits should be raised solely by courage. Fear is a sensible sentiment, yet nowadays it is forbidden to turn it into a political flag: it would make things all too easy for the domineering and evil if we were to let it run its course.

When a people go to war, it is the duty of politics to generate the public spirit that will lead to victory. Of course we have reasons to be worried; the French cunning which underlies the split in Europe, a tidal wave of refugees, the loss of our economic relations with Libya, the possibility that there will raise a regime worse than of Gaddafi’s, the fear of a new Somalia stuck to the Italian borders… But now we have a task to carry out: saving the Libyan population, and accordingly attempting to remove the power from Gaddafi’s hands. I am astonished that the Lega Nord party, which all too often makes a show of its virile courage, is so publicly worried.

This very fear, shared particularly by Germany and first and foremost by Obama’s wavering politics, led us to make our first mistake: a relevant delay in taking action, that we now have to catch up on. Italy is the country whose geographical and economic position puts it mostly at stake.

There are many good reasons therefore why we must fight in the front line. In order of importance, from smallest to largest: France, a smart player in competing within the EU, is by no means a great player in Middle Eastern politics. The latest revealing snapshot of France during these popular uprisings shows the French Foreign Minister as a guest of Ben Ali when the latter was about to be kicked out by rebels. And don’t forget the failure of Sarkozy’s brainchild, the Mediterranean Union.

Nor would I worry about ENI: its roots in Libya are sound. We should instead be worrying about Europe’s forthcoming role in an unrecognisable Mediterranean. It is a major game: two Iranian ships have ploughed its waters like evil Cassandras, entering the Suez Canal for the first time since the Khomeini-led revolution. And wherever along the Mediterranean coasts the Islamic danger can become a very present actor, we are obliged now to take part in the world’s great game as it turns over a new leaf, and participate in the role that suits us best: defending freedom.

A historical era is drawing to a close. Italy and indeed Europe cannot hand in a note from their parents justifying their absence, as their American father is also ill. If a dictator decimates his own population, that is all the democratic West should need to intervene in the name of its principles; by failing to do so it would lose its respectability.

We are all asking ourselves who will come next, and not just in Libya, after the sun goes down on these dictators. The truth is that things might go very badly indeed: it may be that the desire for freedom will not coincide with that of democracy at all, and that the Muslim Brothers and their friends in Iran will become our Islamic counterparts in the next few years. Things will get very tough indeed.

So what? Should we go home because of this? It would have happened anyway, whether we intervened or gave our approval, as was the case in Egypt, or not. For now the dictators must fall; this is our credo, our war. Those that come tomorrow, who in any case are the new ruling class of the Arab world whether Islamic or not, will know, if we fight now with courage, that we have a warfare, an identity of our own. Our own courage. Our Tornados. When doubt seizes us, and fear assails us, we must think that the only thing we are interested in is democratic change. And the long road ahead is pointing in the direction of will and courage.

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loris , Bolzano
 giovedì 24 marzo 2011  21:46:53

Condivido totalmente quanto da Lei espresso nel suo bellissimo articolo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!



Sergio Olper , Carimate
 giovedì 24 marzo 2011  13:08:33

(continua)... si, mi ha molto colpito il tuo ultimo articolo per il modo preciso ed esauriente in cui lo hai scritto. Oltretutto, ben scritto. Te lo dico in modo franco come si convire tra amici: sono spaventato e confuso. Seguirò le tue idee perchè ti stimo e di te mi fido. In fondo basta che mi armi solo di un po' di Hatikva', anche se l'attentato al ponte mi ha, come al solito, disgustato ed inferocito.



Sergio Olper , Carimate
 giovedì 24 marzo 2011  12:49:52

Cara Fiamma, Vecchio Testamento? Antico avrai voluto certamente dire... (continua)



fabiana sandler , lecco - italia
 giovedì 24 marzo 2011  11:05:02

Rimuovi postFabiana SandlerFabiana Sandler Purtroppo ho già visuto questo momento politico tanti anni fà in un altro continente, e posso assicurare gente che sta finta e disttrutiva guerra che colpisce innocenti serve solo ai capi dello stato ENTRAMBI de tutte edue le parti a farsi propaganda per continuare ad essere sostenuti e votati dal gregge popolo che si autoflagela con la sua stupida scelta...permettendo a LORO di dominare...



Massimo Lavatore , Roma Italia
 giovedì 24 marzo 2011  10:36:14

un articolo vibrante e gagliardo. MA PERCHE' I NOSTRI POLITICI HANNO PAURA ? PERCHE' SONO IPOCRITI E NON CHIAMANO LE COSE CON IL LORO NOME E CIOE' NON DICONO CHE I NOSTRI PILOTI, CHE NON SONO SECONDI A NESSUNO, STANNO ATTACCANDO POSTAZIONI NEMICHE E LE STANNO DEVASTANDO?QUESTO E' UN PAESE DI VILI O DI IPOCRITI IMBECILLI E IMBELLI.PER FORTUNA CHE CI SONO DONNE E UOMINI COME TE FIAMMA.CIAO,MASSIMO



Marco Morello , Torino
 mercoledì 23 marzo 2011  12:51:57

Cara Fiamma,è un magnifico articolo. Abbiamo tutti paura che il male si trasformi in peggio e per gli ebrei il peggio è il ritorno di un nuovo Aman senza che ci sia un' Ester a salvare la baracca. Il mondo vive la pace come un intermezzo fra due guerre, noi la viviamo come un respiro fra due Aman.Ma la speranza e la riscossa dalla paura è proprio nella domanda "e allora?" che non cambia il mondo di fuori ma certamente cambia il nostro mondo interiore.GrazieMarco



Dott. Sergio HaDaR Tezza , Turin, Italy
 mercoledì 23 marzo 2011  12:33:29

La Turchia - che alcuni vorrebbero nell'UE!!! - sta reprimendo - proprio ora! - nel sangue le manifestazioni dei Curdi nel Sud Est della Turchia, cosí come fece con i propri aerei da combattimento nel Nord dell'Iraq massacrando Curdi.Qualcuno pensa a fermare codesti sanguinari, ora governati da integralisti islamici alleati di Hamas, della Siria e dell'Iran, oppure tutto quello che fanno i turchi va bene solo perché sono nella NATO, e Frattini pensa di fare un po' di "sweet talk" anche con loro come Berlusconi pensa di fare col suo amico Gheddafi per convincerlo ad andarsene?



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