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IL NUOVO FRONTE APERTO DAI PALESTINESI DOPO IL FALLIMENTO DI CAMP D AVID Dall’ altra parte del muro di Gerusalemme Nel villaggio cristiano da c ui si spara sulla Città Santa

sabato 21 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME IERI sera, di nuovo si è sparato da Beit Jalla. Muraglie di cemento e sacchi di sabbia sulle finestre sono ormai l'arredo urbano del quartiere di Gilo, sistemati in fretta e furia a difesa delle case bersagliate ormai da giorni dalla vallata palestinese. La mattina, quando Ehud Barak è venuto a trovare i cittadini di Gilo per rassicurarli, ha trovato la muraglia nuova di zecca invece della solita vista di olivi, pietre, case bianche. Da quelle case bianche ormai si spara da giorni, a tratti, in mezzo alla notte o alle due del pomeriggio. Raffiche di armi automatiche che fanno buchi nelle mura di cucina o della camera da letto. Le donne circondate dai bambini urlano ormai isteriche che Barak deve attaccare, che cosa ci stanno a fare quei due carri armati sulla collina con i cannoni puntati su Beit Jalla se tanto si sa che Barak non darà l'ordine di sparare? Barak dice parole di sostegno e di promessa e cerca di acquietare gli animi andando a sedersi nella capanna montata per la festa di Succot da un membro del consiglio di un quartiere che credeva di essere fuori della mischia, fitto di popolazione ebraica di ogni genere, dai russi ai marocchini religiosi, con il grande Centro acquisti nuovissimo, fino a Sud, nella parte borghese di Givat Canada. Non c'era mai stata disputa su Gilo fino al fallimento di Camp David, quando Arafat ha puntualizzato che vuole tutte le terre catturate nel ‘ 67: e Gilo era nella West Bank sotto il potere giordano. Gli spari su Gilo non sono quindi casuali, come quelli che talvolta si abbattono sulle automobili in viaggio: hanno un carattere politico e ideologico preciso. Scendiamo a Beit Jalla per dare un'occhiata ai luoghi di provenienza degli spari, e ci troviamo nella vallata in cui i fedeli cattolici pregano nella chiesa dell'Annunziata. Il quartiere è abitato per due terzi da palestinesi cristiani, falegnami, operai specializzati, sarte. Anche le donne qui lavorano. La famiglia che mi riceve in una casa bianca trecento metri sotto le bocche da fuoco dei due tank israeliani che proteggono Gilo, ha appeso al muro delle immagini del Buon Pastore. Non diremo i loro nomi. C'è un padre di famiglia carpentiere, una moglie sarta, molto gentile, vestita in pantaloni come anche la sua nuora, una bella ragazza già madre di due figli. Anche uno dei due figli siede con noi. Padre, madre e figlio sono in questi giorni spaventati e angosciati e senza lavoro perché le loro fonti di reddito sono in Israele. Vediamo poco lontano da qui proprio le case dentro le quali sono arrivate le pallottole a Gilo. La famiglia di Beit Jalla è impaurita: il villaggio è sostanzialmente pacifico, « preghiamo giorno e notte perché qui non si spari. Ci sono donne e bambini. Coloro che sparano da qui vengono da Betlemme, e non restiamo poi a tremare di fronte al rischio delle rappresaglie» . La signora più anziana esprime i suoi sentimenti molto accuratamente e con calma: « Non abbiamo il potere di far smettere gli spari. Prego per la pace, credo che sia l'unica soluzione possibile» . E il marito: « Questa non è più una guerra fra persone: mi sembra che il diavolo ormai sia onnipresente negli scontri» . Il figlio è molto arrabbiato contro gli israeliani, ribadisce che tutti i diritti dei palestinesi devono trovare soddisfazione, che si sono comportati in maniera brutale in guerra.. Non gli piace che Arafat sia andato a Sharm el-Sheikh. Però tutta la famiglia è concorde nell'auspicare la pace, l'unica via ragionevole. A Betlemme centro chiediamo a un importante dirigente dei Tanzim, Abdullah Abuhadid, se gli spari di Beit Jalla siano strategici o spontanei. La sua risposta è questa: « Gli spari provengono dall'ira popolare perché i bambini palestinesi vengono uccisi. Sono spontanei e legati alla rabbia della popolazione che soffre per colpa degli israeliani da anni. Inoltre, Gilo era parte della Palestina, e deve tornare nelle nostre mani. Quella non è Gerusalemme, sono insediamenti» . La conversazione è lunga e il leader dei Tanzim insiste sulla spontaneità degli spari. Potranno smettere dunque, chiediamo, questi spari se Arafat lo deciderà in base ai nuovi accordi? Abuhadid da una parte dichiara la sua fedeltà a Arafat, e spiega che una decisione del raí ss è un obbligo « anche perché noi siamo gente da decenni in lotta, e quindi molto bene organizzata» ; dall'altra parte spiega che i Tanzim gestiscono la rivolta per conto del popolo. E anche che il popolo agisce autonomamente. Al quadro bisogna aggiungere la polizia, che talora si trova dalla parte della rabbia popolare, come la chiama il capo dei Tanzim, e talora invece assume un ruolo d'ordine. E a tutti questi la gente di Beit Jalla aggiunge un attore silente e quieto: quello del cittadino palestinese che desidera tornare a parlare mentre tacciono le armi.

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