IL NOBEL DELLA SUA « TEORIA DEI GIOCHI» SPIEGA: FUNZIONA PER RISOLVERE LE DISPUTE, NON LA COSTANTE DEI CONFLITTI TRA PAESI DI CUI L’ UOMO NON HA ANCORA COMPRESO LA RAGIONE Aumann: per Israele altri 80 anni di guerra
mercoledì 12 ottobre 2005 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
Inaspettatamente, piange il neo premio Nobel Robert Aumann; la lunga barba
bianca appare come appoggiata per scherzo su un viso fresco e roseo, la
cravatta marrone e bianca uguale alla kippà fatta a uncinetto segnalano la
piccola civetteria di un « ragazzo di yeshiva» una scuola religiosa. Non
piange di emozione per il premio dato alla sua « teoria dei giochi» . Del
grande riconoscimento sembra importargli molto relativamente. Il 75enne
professore di matematica dell'Università Ebraica (la Hebrew University) di
Gerusalemme alla vigilia della solenne festa di Kippur vorrebbe « tornare a
casa» , dice, mentre tutto il mondo gli si fa intorno con sorrisi e
congratulazioni, e la sua casa, come dice la Bibbia, spiega, era Esther, la
moglie uccisa dal cancro sette anni fa. Non che sia solo: anche
all'Università dove lo incontriamo è in compagnia di una dei suoi diciotto
nipoti e di un suo bisnipote.
Quando parla della specialità per cui è stato premiato (settimo premio Nobel
israeliano) insieme al professore americano Thomas Schelling, ovvero la
teoria dei giuochi per risolvere i conflitti, spiega che l'idea base è
trasformare in modello matematico il confronto continuo fra tutte le
variabili (psicologia, economia, biologia, strategia...). Ma appare come
immerso in un ripensamento continuo su se stesso, la sua modestia suggerisce
che l'esperienza è una pietra senza la quale la logica stessa non capisce
niente; e torna con gli esempi alla sua famiglia, alle tragedie o alle gioie
tipiche di un israeliano immigrato dagli Usa nel 1956, per forza l'anno di
una guerra, visto che ce ne sono tante, compresa quella nell'82 in Libano in
cui ha perso il figlio Shlomo, soldato. Forse è per quello che ha sognato di
risolvere i conflitti con la logica.
E poi ci si riesce, professore?
« No. Non ci si riesce. E' sbagliato il nostro approccio stesso al problema
delle guerre. La guerra, insieme alle malattie, è una delle circostanze più
drammatiche in cui l'uomo si viene a trovare da millenni. Ora, quando
cerchiamo con qualche parziale successo di curare il cancro, è perché
abbiamo conquistato una conoscenza di che cosa è . Con le guerre, noi ci
affrettiamo a cercare risposte sia qui, che in Irlanda, o nel conflitto fra
l'India e il Pakistan. Ma esse rispondono solo alla nostra fretta, non
conoscono neppure le domande giuste. La guerra, come la religione, è una
costante delle storia umana. Perché ? Cerchiamo di rispondere a questa
domanda, e forse accorceremo di un poco la lunghissima via che ci separa da
una soluzione»
Si può trovare il « perché » anche di qualcosa di irrazionale?
« La guerra non è irrazionale: dirlo è un modo di fuggire alla realtà .
Diciamoci più realisticamente che non sappiamo analizzarne i significati» .
Quindi nella zona la pace non è in vista.
« Non credo proprio: il conflitto arabo-israeliano durerà altri ottant'anni,
forse anche di più . Dobbiamo essere pronti ad affrontare l'idea che gli
arabi non vogliono qui il nostro Paese, e, data questa variabile, cercare di
affrontare il futuro con razionalità . Dobbiamo sapere stare qui, nel nostro
Paese, nel modo migliore, sapendo che la corsa è di lunga durata, senza
soluzioni fasulle» .
Dicono del Premio Nobel che sia per chi lo riceve il riconoscimento più
emozionante perché consente di lasciare ai posteri il retaggio delle proprie
idee, di sé stesso in modo definitivo. Anche lei ha questa sensazione?
« Sono molto orgoglioso che la nostra ricerca, compiuta nell'Università della
mia Gerusalemme che nomino tre volte al giorno nella preghiera, sia già
appannaggio di miei allievi, e allievi dei miei allievi, fino alla terza
generazione. Ma i miei figli, i miei nipoti e insieme i miei ricordi, sono
il retaggio più importante. Tutta questa gente che cammina per il mondo, e
che si moltiplica. Questa è la mia gioia, più del premio Nobel» .
Se non risolve le guerre, che conflitti può risolvere il suo lavoro
matematico?
« Un gran numero, che riguardano i rapporti internazionali, quelli interni,
l'economia, ogni problema. Niente è come sembra: nel 1990 ci fu qui uno
sciopero lunghissimo. Alla fine il governo accettò le nostre proposte e
tutti dissero: “ Che spreco, avrebbe potuto accettare subito e evitare un
danno enorme per tutti". Non è vero, fu proprio la dinamica del "gioco", la
nostra resistenza, che costrinse a risolvere positivamente, non le nostre
ragioni» .
Professore, crede che lo studio del Talmud l'abbia aiutata a elaborare la
teoria del gioco per la risoluzione dei conflitti?
« Certo che sì , ma mi permetta di ricordare che con la teoria dei giochi ho
anche risolto un passaggio del Talmud che nessuno aveva mai capito» .