IL NEOPREMIER ISRAELIANO MARTEDÌ A WASHINGTON Olmert porta a Bush p rove controTeheran
domenica 21 maggio 2006 La Stampa 0 commenti
analisi
FIAMMA NIRENSTEIN
OGGI nel primo pomeriggio Ehud Olmert vola per la grande prova degli Stati
Uniti: è la sua prima visita a Bush, che incontrerà martedì dalle tre e
mezzo fino alla cena insieme. Un numero strabordante di ore, in cui i due si
studieranno, parleranno, srotoleranno carte e esibiranno foto, si
valuteranno, capiranno quanto l’ uno piace o dispiace all’ altro e quanto i
programmi di ciascuno in Medio Oriente siano compatibili, utili, vitali, o,
al contrario, fastidiosi o fatali per l’ altro. Il primo appuntamento,
domani, è con Condoleezza Rice, il secondo con Rumsfeld, poi martedì ancora
Bush e infine un discorso alle due camere del Congresso riunite. Mercoledì
infine Olmert tornerà a casa.
E’ l’ « hic Rodhus hic salta» del primo ministro appena insediato, che parte
con tre compiti fatali sulle spalle: presentarsi, presentare la sua Israele
che vuole lasciare la maggior parte dei territori ma ricevere per questo
l’ appoggio della comunità internazionale, stabilire una chimica che crei
comunicazione e simpatia. I due sono coetanei, amanti del jogging, Olmert
parla un inglese molto ben controllato, ma l’ ombra della calda relazione di
Bush con Sharon costituisce una pietra di paragone non semplice. In secondo
luogo, Olmert deve presentare al Presidente degli Stati Uniti la logica
profonda del ritiro, spiegare che non c’ è nessuno con cui parlare dall’ altra
parte, deve però accettare che Bush discuta la possibilità di fidarsi di Abu
Mazen in tempi di governo Hamas. Quindi deve cercare di ottenere un « sì » per
nuovi confini che l’ Europa ha già rifiutato in anticipo.
Olmert è sorpreso dalle voci per cui la Casa Bianca vorrebbe, almeno per
ora, restare neutrale sull’ abbandono unilaterale dell’ 80-90 per cento della
Cisgiordania con lo sgombero di 80 mila residenti, mentre apprezzò subito e
senza riserve lo sgombero di Sharon da Gaza. Al terzo punto, ma più
importante perché più immediato, il rapporto con l’ Iran, su cui Israele
possiede una quantità di informazioni di intelligence che certo verranno
portate nella Stanza Ovale per dimostrare a Washington quanto siano letali e
avanzate le minacce atomiche di Ahmadinejad senza spingere apertamente a un
attacco militare agli impianti atomici; ma Israele sa molto bene che
Ahmadinejad è un pericolo per sé e per l’ Occidente. La linea è mostrare il
rischio all’ intero consesso internazionale; ma d’ altra parte vuole anche che
sia chiaro che Israele non si tirerà indietro, non può accettare la minaccia
di morte iraniana. Se poi gli Usa vorranno essere protagonisti della
vicenda, essendo il Paese più a rischio, chiederà di essere avvisato in
tempo per disporre le difese.
Olmert si è preparato meticolosamente all’ incontro prospettandosi che non è
piacevole per Bush essere ancora e ancora messo di fronte al problema dei
problemi, quello del Medio Oriente. Regione già cambiata dal tempo di
Sharon, in cui la dimensione jihadista avanza, Al Qaeda sbarca in Israele,
l’ Iraq è incontrollato. Per Bush - che vorrebbe vedere il suo compito di
democratizzatore facilitato e non ingarbugliato dalle soluzioni offerte da
Israele - si tratta di capire cosa gli porta di fatto Olmert, se considera
la possibilità di parlare con Abu Mazen reale, come vede lo sgombero, se
esso include anche l’ esercito o solo i settler, quale sarà lo stato di
Gerusalemme, che tipo di legittimazione si aspetta dagli Usa Olmert. Questi
a sua volta si aspetta un viatico incoraggiante e vuole essere certo che,
finché lui non sarà pronto, gli Stati Uniti non si lascino affascinare dalla
proposta di Abu Mazen di saltare a colloqui definitivi, e che restino
ancorati invece alla Road Map che chiede lo smantellamento delle strutture
terroriste.
In generale i due leader sanno che hanno a che fare con una situazione di
difficoltà senza precedenti, in cui, a causa dell’ integralismo islamico,
dell’ incredibile negatività di Hamas, del faro di luce nera costituito
dall’ Iran, si è persa anche quella vaga speranza di pace che caratterizzava
gli anni fino al 2000. La miseria dell’ Autonomia palestinese ha creato una
situazione in cui i Paesi occidentali non sanno a che valore rifarsi, se a
quello della carità o al dovere dell’ autodifesa contro il terrorismo; i
palestinesi, sia Hamas che Abu Mazen, cercano, ciascuno per sé , di aprire
varchi politici in questo dilemma. Nella Sala Ovale si misurera ancora una
volta l’ ampiezza di questo fatale interrogativo.