Il nemico in casa
Shalom, luglio 2011
Per il tribunale internazionale dell’ONU, Hezbollah è responsabile dell’omicidio del presidente libanese Rafik Hariri. Ma Hassan Nasrallah non si farà processare e annuncia una nuova stagione di sangue e di violenza che spaccherà il Paese dei cedri.
Fu una strage immensa, lo scoppio si udì per chilometri, Beirut ne fu investita come da una lingua di fuoco che giunse per ogni dove. Era il 14 febbraio del 2005: il presidente Rafik Hariri, uno dei più popolari politici sunniti libanesi fu ridotto in frammenti insieme ad altre ventidue persone, guardie del corpo e passanti. Da allora il tribunale internazionale dell’ONU ha lavorato su una pista che subito si dimostrò verosimile e che nel tempo acquistò una forma sempre più certa, quella che gli ha consentito, finalmente, fra mille minacce di rappresaglie e di instabilità per l’intero Medio Oriente, di presentare al Libano la richiesta di incriminare e di arrestare quattro prominenti membri dell’organizzazione sciita estremista parte del governo Hezbollah, il partito di Dio. Hassan Nasrallah, un individuo che giunto alla leadership dell’organizzazione ha raffinato negli anni specialmente la specialità di maledire Israele e gli ebrei con goebelsiana costanza e di usare l’arma dell’odio e del terrorismo più brutale per minacciare innanzitutto il suo popolo e poi l’intero Medio Oriente, ha già definito gli accusati “fratelli che hanno fatto la storia nel resistere all’occupazione sionista”: si è dimenticato il piccolo particolare che la striscia che Israele occupava al confine è stata completamente sgomberata da undici anni. Nasrallah ha anche tenuto un discorso in cui ha spiegato che sono stati gli israeliani a uccidere Hariri e che il tribunale è “politicizzato”.
E’ vero, l’ONU è politicizzato in ogni sua espressione, ma per la stragrande parte delle sue risoluzioni e dei suoi movimenti lo è contro Israele. Tuttavia stavolta la forza degli indizi ha condotto alla coraggiosa conclusione di accusare quattro membri degli Hezbollah, di cui uno è il cognato del grande “martire” e capo militare Imad Mughniyeh, che si suppone ucciso a Damasco dagli israeliani e di cui si può certamente intuire la leadership nel pianificare l’assassinio di Rafik Hariri. Infatti Hariri era un leader che la Siria e l’Iran, i due grandi sponsor di Hezbollah, consideravano un nemico giurato, un personaggio da eliminare nell’ambito del grande scontro di potere sciita sunnita la cui potenza non dobbiamo mai dimenticare.
Per Hezbollah non potrebbe esserci un momento peggiore per essere portati alla sbarra, e si può immaginare che faranno di tutto per evitarlo, comprese le azioni violente sia interne che internazionali di cui sono specialisti: soprattutto quelle contro Israele, cui sono avvezzi. La rivoluzione in Siria e gli scontri interni in Iran, che diventano sempre più rilevanti, minano alla base il potere di Nasrallah. Adesso, ecco che arriva l’accusa, anche se già da tempo circolava con tutti i crismi della veridicità, che mina alle fondamenta la pretesa degli Hezbollah di essere la forza che rappresenta il vero spirito nazionale, l’autentico interesse libanese di fronte alla incertezza di chi non vuole combattere Israele fino in fondo, ovvero la parte sunnita del figlio di Hariri Saad, ex primo ministro, che dopo la costituzione di un governo in cui gli Hezbollah hanno ogni facoltà di decisione si è rifugiato a Parigi, la parte cristiana e quella delle altre, spaventate minoranze. Hezbollah, dall’essere una organizzazione sciita di poca importanza guadagnò una gran fama negli anni ottanta con l’uso esteso del terrore più brutale, introducendo nel mondo moderno l’uso del terrorismo suicida che uccise a centinaia soldati americani e francesi delle forze internazionali. Il rapimento di cittadini stranieri divenne uno dei suoi mezzi preferiti.
Poi, con l’aiuto di Hafez e quindi di Bashar Assad si dette alla costruzione, finanziata dall’Iran, di una poderosa forza militare. Bashar ha persino permesso che alcuni dei suoi più sofisticati armamenti siano dislocati in Libano nelle mani di Nasrallah. L’organizzazione dispone di una grande struttura armata messa in piedi dalla Guardia Rivoluzionaria Iraniana, ormai un esercito che ha piazzato armi in tutto il Libano del sud pronto agli ordini dell’Iran e di Bashar Assad. Hezbollah ha usato sempre, bombardando e rapendo, senza fare i conti con nessuno, la sua forza contro Israele, come fece quando provocò la guerra del 2006. Gestisce anche una rete economica e religiosa onnipresente e minacciosa, e una forza terroristica presente all’estero. Dopo la guerra con Israele nel 2006 Nasrallah usò parecchie espressioni pompose per vantare un’inesistente vittoria su Israele in una guerra che invece era costata assai cara ai suoi concittadini, ma nel 2008 nonostante tutto il consenso che aveva pensato di guadagnare, fu costretto a usare dentro Beirut stessa e in varie città libanesi i suoi armati contro i suoi concittadini per occupare con la forza il potere che gli veniva negato. L’accusa del Tribunale mette in luce anche il terremoto di instabilità che crea una forza le cui decisioni devono necessariamente essere state influenzate a fondo dai suoi sponsor, Iran e Siria. Adesso, di nuovo, Nasrallah torna a confrontarsi col suo tallone di Achille, la contraddizione fra la pretesa di essere una forza panaraba tutta devota al bene del mondo musulmano, e la sua dipendenza, invece a un blocco di interessi sciita iraniano e siriano (anche se Bashar è alawita, pure dipende dall’Iran). Adesso, di fronte alla richiesta del tribunale, se il rifiuto di consegnare gli accusati sarà, come si può pensare, quella di Nasrallah, non gli resterà che usare le sue armi preferite: ricatto, violenza, odio… e il Libano, prima vittima designata, Paese pluralista per natura che ha sempre sofferto il divieto di seguire la sua vocazione, di nuovo saprà con certezza che Nasrallah non rappresenta i suoi interessi nazionali, ma vi si oppone. Sostenitori di Hezbollah a Beirut ascoltano un discorso tenuto dal leader del movimento, Hassan Nasrallah. Un dimostrante libanese detiene un ritratto dell'ex primo ministro Rafik Hariri e un cartello con la scritta "giustizia" in arabo.
Fiamma Nirenstein eletta presidente dei parlamentari ebrei Lo scorso fine giugno a Gerusalemme, Fiamma Nirenstein è stata eletta all’unanimità presidente dell’International Council of Jewish Parliamentarians (il Consiglio Internazionale dei Parlamentari Ebrei). L’ICJP - fondata nel 1992 – è una organizzazione che riunisce i parlamentari ebrei da tutto il mondo. Alla neo presidente gli auguri della redazione.
gli sciiti non sono una forza maggioritaria in Libano. Una volta, anni '70 lo erano i maroniti e ora chi ha potuto è scappato. Ma ancora ci sono i sunniti, i drusi, la minoranza cristiana quella che non fa capo al gen.Aoun. MI chiedo perchè l'Arabia S. che trabocca di dollari non pensi a creare un contraltare, uno stato nello stato con i sunniti (E MAGARI con chi altri ci potrebbe stare)