IL NEGOZIATO DI NUOVO IN PERICOLO Assad scatena i suoi hezbollah Ra llenta la pace in Medio Oriente
mercoledì 9 febbraio 2000 La Stampa 0 commenti
                
TRA i lampi delle bombe che hanno distrutto chirurgicamente la 
centrale 
elettrica di Beirut, muore la pace tra Siria e Israele. Sembra 
incredibile 
che soltanto qualche settimana fa, per quanto Faruk Ha Shara avesse 
ricevuto 
istruzioni da Assad di non toccare Barak e di non guardarlo mai negli 
occhi, 
Israele e Siria sedettero allo stesso tavolo, anzi, sullo stesso 
divano di 
fronte ad un caminetto acceso a Shepherdstown, in compagnia di un 
lieto, 
speranzoso Clinton. E’ vero, i colloqui non erano andati troppo bene, 
Barak 
non aveva di corsa (per fax, come ha scritto Amos Oz) consegnato al 
rais 
siriano le alture del Golan, e i siriani si erano arrabbiati; ma 
l’ accordo, 
tutto il mondo lo sa, è pronto al 90 per cento. Era chiaro che Barak 
l’ avrebbe firmato non appena un atteggiamento siriano un po’ meno 
sprezzante 
ed aggressivo avesse lasciato posto ad una simbologia pacifista a 
base di 
strette di mano e di sorrisi: il primo ministro israeliano avrebbe 
potuto 
utilizzarla, presentarla al suo popolo come garanzia perché votasse a 
favore 
dell’ accordo nel previsto referendum. Invece non è andata così . La 
Siria, 
visto che non otteneva il Golan alla svelta, ha minacciato Israele 
per la 
solita interposta persona, e Israele con l’ attacco di ieri le 
risponde per 
la solita interposta persona: il Libano. Insomma, la guerra fra Siria 
e 
Israele non è una minaccia: è in corso. Stavolta il giro è più 
complicato: 
gli hezbollah che vivono la contraddizione di aver dichiarato sia di 
voler 
liberare la fascia di sicurezza occupata dagli israeliani, sia che a 
loro 
non interessa che gli israeliani procedano ad un ritiro unilaterale, 
dato 
che la loro presenza è da spazzare via in toto, come contraria al 
loro 
fervore religioso, hanno recentemente stoccato nei magazzini molte 
nuove 
armi iraniane. Esse sono state fornite in grande quantità da Teheran 
proprio 
durante i colloqui di Shepherdstown nella prospettiva che una pace 
con la 
Siria creasse problemi nei rifornimenti. Le armi sono passate infatti 
da 
Damasco, e non è peraltro pensabile che né gli hezbollah, né il 
governo 
libanese (che approva le azioni degli hezbollah) agiscano mai senza 
una 
previa decisione siriana. Anche questa volta è andata così . La Siria 
dunque, 
già durante il colloquio di Shepherdstown mentre Clinton schioccava 
sorrisi, 
tentava l’ eventualità del bastone senza carota. 
Una volta deciso che Barak doveva subire un’ ulteriore pressione, 
interrottisi i colloqui di pace, gli hezbollah hanno avuto dalla 
Siria luce 
verde e hanno ucciso in pochi giorni cinque soldati, fra cui Akel 
Hachem, un 
grande comandante delle forze del Sud del Libano, i soldati cristiani 
filo 
israeliani, e quattro soldati di leva fra i 18 e i 21 anni. 
Questo per Barak è stato un punto di non ritorno: nonostante gli 
attacchi ad 
infrastrutture senza vittime, e a una postazione di hezbollah 
mostrino che 
l’ escalation non è nei programmi del governo, pure il primo ministro 
israeliano ha risposto ad una serie di attacchi che invitavano a 
mostrare i 
pugni, e di conseguenza a creare una situazione di instabilità nella 
zona. 
D’ altra parte però Barak è sotto la pressione dell’ opinione pubblica 
che 
chiede l’ uscita unilaterale dal Libano non concordata con la Siria. 
Di fatto 
ha promesso di « uscire dal fango libanese» come si dice qui ancora in 
campagna elettorale: ciò dovrebbe avvenire nel luglio di quest’ anno, 
secondo 
le parole del primo ministro. Ma egli, certamente sperava di portarle 
a casa 
come un punto a suo favore nello scambio con i siriani: almeno un 
elemento 
positivo mentre Israele cede il Golan in cambio di una pace gelida, 
dato 
l’ interlocutore. In più , Barak, accordandosi con i siriani, voleva 
guadagnare tempo per sistemare gli uomini dell’ esercito libanese del 
Sud, 
che con un ritiro unilaterale degli israeliani verrebbero abbandonati 
in 
balia degli hezbollah. Adesso, caduta la speranza di negoziare, Barak 
potrebbe prendere la subitanea decisione che vale la pena uscire 
comunque e 
quanto prima possibile. 
La Siria desiderava da Barak, secondo il codice arabo, durezza e 
magnanimità : invece, nelle trattative ha trovato cedevolezza e 
cautela. 
Barak, si aspettava, secondo i codici occidentali, flessibilità e 
benevolenza, e ha trovato rigidità e odio. In più , si aspettava anche 
che 
Assad capisse che doveva dargli delle carte da mostrare per vincere 
il 
referendum, parola risibile per la Siria. Nessuno là può credere che 
una 
decisione finale dipenda dal popolo che vota. Assad ha pensato forse 
anche 
che, terrorizzando il Nord, Barak sarebbe diventato più morbido. 
Barak, ha 
reagito invece alla rovescia, perché Israele è occidentale, e i morti 
giovani non fanno parte dei suoi margini di tolleranza. 
            